Verona: Adriana diva “Art Nouveau”
Un omaggio alle divine del teatro di inizio Novecento, Eleonora Duse in primis, ma anche alle dive del cinema muto, da Lyda Borelli a Francesca Bertini, maliarde che parlavano con lo sguardo e con l’esagerazione del gesto in una commistione in certo modo univa il teatro di prosa alla danza, dando vita ad un’arte nuova.
Su questa linea si muove il rodato allestimento dell’Adriana Lecouvreur firmato nella sua interezza da Ivan Stefanutti, coadiuvato da Paolo Mazzon per il disegno di luci e Mario Cosentino, autore dei movimenti mimici.
L’azione è spostata al tempo di composizione dell’opera – andata in scena per la prima volta nel 1902 – e calata in un’atmosfera Liberty di rigoroso bianco e nero; Stefanutti non torce un capello all’azione originale, anzi la esalta con spunti drammaturgici interessanti.
Il gesto scenico, si diceva, è volutamente esagerato da parte non solo dei protagonisti, ma anche dal coro; tutti si muovono con voluta affettazione, perfetta nel contesto.
Se gli spazi richiamano quelli immaginati da Basile e d’Aronco, passando per Fenoglio e senza tralasciare Gaudí, fra ombre e luci ambrate di lampadari a ghianda, i costumi sembrano uscire dai quadri di Corcos e Boldini, il tutto in un’intelligente e mai calligrafica reinterpretazione.
Il colore farà la sua comparsa alla fine, quando il grande ritratto di Ardiana, ormai spenta, viene illuminato, consacrando la grande tragedienne alla storia e sottolineando che di lì a poco il cinema scoprirà il colore e la voce.
Appropriati i movimenti mimici di Mario Cosentino, che sembrano ispirarsi a quelli rarefatti del Ballets Russes di Djagilev.
Massimiliano Stefanelli dirige correttamente, al netto di qualche impeto di troppo nei volumi orchestrali, garantendo un più che discreto rapporto tra buca e palcoscenico; magari qualche sfumatura in più non guasterebbe, anche perché la partitura la chiama.
Al suo debutto nel ruolo titolo Hui He, beniamina del pubblico veronese e applauditissima, non convince del tutto. La sua Adriana è precisa dal punto di vista vocale, ma acerba per quel che attiene allo scavo psicologico finendo per risultare assai poco incisiva.
Fabio Armiliato, al suo rientro sule scene, disegna un Maurizio nobilmente appassionato negli accenti, forte di una musicalità salda e di un gusto perfetto nel fraseggio, mai sopra le righe o, peggio, incline a stucchevoli manierismi. Armiliato canta per il pubblico senza nascondere le sue emozioni, anzi rendendole parte del canto stesso e creando così una rara empatia.
Il Michonnet paternamente presente, innamorato e disilluso di Alberto Mastromarino si giova di begli accenti anche laddove la voce mostra la corda, risultando così del tutto credibile.
Carmen Topciu tratteggia una Bouillon altera e volitiva, dalla vocalità ricca e ben calibrata nella recitazione.
Ottimo l’abate di Chazeuil, mezzano e spia, cui dà voce e corpo Roberto Covatta con bella varietà di colori, così come convince del tutto il Principe di Bouillon grand-viveur di Alessandro Abis, cantante in crescita continua.
Bene il quartetto dei compagni d’arte della protagonista con Klodjan Kacani come Poisson, Massimiliano Catellani nei panni di Quinault, Cristin Arsenova fizzante Jouvenot e Lorrie Garcia, buona Dangeville.
Vito Lombardi prepara il coro con puntualità.
Successo pieno per tutti, con ovazioni alla He e ad Armiliato.
Alessandro Cammarano
(31 marzo 2019)
La locandina
Direttore | Massimiliano Stefanelli |
Regia, scene, costumi | Ivan Stefanutti |
Luci | Paolo Mazzon |
Movimenti mimici | Mario Cosentino |
Personaggi e Interpreti | |
Adriana Lecouvreur | Hui He |
Maurizio | Fabio Armiliato |
Il Principe di Bouillon | Alessandro Abis |
La Principessa di Bouillon | Carmen Topciu |
Michonnet | Alberto Mastromarino |
L’abate di Chazeuil | Roberto Covatta |
Poisson | Klodjan Kacani |
Quinault | Massimiliano Catellani |
Mad.lla Jouvenot | Cristin Arsenova |
Mad.lla Dangeville | Lorrie Garcia |
Orchestra, Coro e Tecnici dell’arena di Verona | |
Maestro del Coro | Vito Lombardi |
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