Milano: perché Woolf Works alla Scala è pura emozione

Perché questo balletto sia pura emozione non sono solo gli applausi interminabili di un teatro pienissimo alla sua ultima rappresentazione a dirlo. E nemmeno le ripetute acclamazioni tributate anche tra un atto e l’altro a un cast vincente, che vede protagonisti ‘top’ Alessandra Ferri e Federico Bonelli, prestato dal Royal Ballet. E forse nemmeno il denso patrimonio letterario commisto alla figura dirompente e geniale di Virginia Woolf che permea la creazione coreografica.

Ma forse tutto questo insieme, e anche di più. Sì, perché anche il matrimonio creativo tra il movimento emozionale di Wayne McGregor e l’ibrida partitura di Max Richter, cangiante e stratificata tra musica orchestrale dal vivo diretta da un bravissimo Koen Kessels, atmosfere elettroniche registrate, fonografie, campionature, ci mette del suo. Eccome. Forse proprio questo ha permesso al titolo, creato nel 2015 per il londinese Royal Ballet, di cui McGregor è coreografo residente, e approdato per la prima volta in Italia in questa stagione scaligera, di vincere il Critics’ Circle National Dance Award come migliore coreografia classica e far conferire ben due Olivier Awards come ‘Best New Dance Production’ al suo creatore e ‘Outstanding Achievement in Dance’ alla sua protagonista.

Ma andiamo con ordine. Lo spettatore al terzo segnale si siede in sala aspettando l’inizio della musica o del movimento, e invece no. Si è subito travolti per il primo quadro del balletto I now, I then dalla voce originale, profonda, cadenzata e sporcata dall’incisione fonografica e dal tempo, di Virginia Woolf, proveniente dall’unica registrazione esistente mentre legge il saggio On Craftsmanship ai microfoni della BBC nel 1939. E appare lei. Alessandra Ferri, fresca come la sua iconica Giulietta e pienamente padrona della scena, capace di rivelare tutta la sua strepitosa maturità artistica. È interprete consapevole e sicura, che infonde in ogni passo e gesto compiuto sia emozione sia valore semantico. Lei guarda all’oggi e al domani, mai a ieri, e si vede. Per questo sa incarnare con incredibile profondità il duplice ruolo di Virginia e della Clarissa protagonista di Mrs Dalloway. Accanto a lei, su una scena essenziale fatta di enormi cornici lignee, squadrate e in lenta semovenza – creata dagli studi di architettura Ciguë e We Not I in collaborazione con il coreografo – che riverbera lo scorrere del tempo quasi amplificasse il rintocco del Big Ben ricorrente nella partitura, si susseguono i personaggi principali del romanzo: Peter, Richard, Clarissa da giovane, Sally, Evans e il reduce di guerra Septimus con la moglie Rezia, ottimamente interpretati (rispettivamente) da Federico Bonelli, Mick Zeni, Caterina Bianchi, Agnese Di Clemente, Claudio Coviello, Timofej Andrijashenko e Martina Arduino, che li propongono in scena più come caratteri, che come personaggi. Caratteri, ciascuno espressione di una suggestione e portatore del proprio carico emotivo, che si intrecciano, interagiscono e si fondono nel discorso coreografico come nel flusso di coscienza letterario. Le parole danzano sulla pagina di Virginia, come i movimenti di un balletto. Del resto la stessa Woolf, amante della danza e della musica, come ha affermato McGregor voleva scrivere come se stesse scrivendo musica e coreografando danza. E Woolf Works è un lungo flusso di coscienza dove i pochi, pochissimi oggetti in scena e i costumi essenziali, stimolano rimandi. Tutto scandito dal ritmo, come il ritmo delle onde, e della vita.

E proprio il ritmo è protagonista indiscusso del secondo quadro, Becomings, ispirato al quasi fantascientifico lavoro Orlando (impossibile non pensare al film magistralmente interpretato da Tilda Swinton nei primi anni Novanta). La vorticosità che scandisce il cambio di tempo, spazio e sesso del protagonista, ora uomo ora donna, attraverso i secoli, viene restituita da un movimento energico e incalzante, rallentato solo per evocare una fugace relazione umana, ed esasperato dalla presenza di laser fluorescenti che arrivano a coinvolgere gli spettatori in sala, trascinandoli nell’azione e abbattendo la distanza dal palcoscenico. Soprattutto qui decisamente efficaci, quindi, le luci di Lucy Carter e i costumi di Moritz Junge, che man mano perdono i dettagli barocchi seicenteschi, solo accennati da dettagli di gorgiere e crinoline dorate su body essenzialmente neri con ampie trasparenze, per adattarsi al cambio di epoca e di gusto. Orlando per McGregor e la drammaturga Uzma Hameed è tanti Orlando, visti in simultanea come in un quadro cubista. E qui i danzatori scaligeri esprimono ciascuno una sfaccettatura, per un ensemble che restituisce al meglio di forma e interpretazione tempi e luoghi diversi. Un geniale sfarfallio, tra cui notiamo particolarmente apprezzato in Nicoletta Manni il connubio tra tecnica, elasticità e interpretazione richiesto dalla coreografia. Con lei ricordiamo in scena Virna Toppi, Maria Celeste Losa e nuovamente Di Clemente e Arduino, con Andrijashenko, Coviello, Nicola Del Freo, Valerio Lunadei, Gabriele Corrado, Christian Fagetti e Marco Agostino.

Infine il ritmo resta protagonista ma cambia mood per Tuesday, quadro che rappresenta l’eco del suicidio di Virginia Woolf e prende le mosse da The Waves, il lavoro forse più biografico, sicuramente più sperimentale della scrittrice, oltre a saggi e lettere, come l’ultimo messaggio scritto al marito e qui restituito dalla voce registrata di Gillian Anderson. Le onde, evocate sia sonoramente che visivamente in video, per natura inducono a lasciarsi andare, ai ricordi, al flusso della vita, al destino. Un arrendersi consapevole, come sarà quello di Virgina tra le acque del fiume Ouse che la vedono spegnersi il 28 marzo 1941. Una riflessione tra passato e presente, incarnata (embody è termine tanto caro a Virginia) dalla creazione coreografica di Wayne McGregor, che sviluppa un pensiero, il pensiero della scrittrice, che è sia restituzione del reale – della società borghese in un’Inghilterra post vittoriana – ma anche del sentire interiore che attinge dalla memoria. Lo sguardo al passato è, del resto, ben presente nella produzione della Woolf. Quest’ultimo quadro, sul piano coreografico, si apre con il richiamo ai personaggi bambini dell’inizio del romanzo impersonati dai giovani allievi dell’Accademia della Scala, con i quali cerca di interagire una Virginia frustrata dalla sua mancanza di prole in contrapposizione alla prolifica sorella Vanessa; è poi dominato dallo struggente quanto magnifico pas de deux di Ferri e Bonelli, che seguendo il ritmo delle onde quasi si moltiplica e amplifica coinvolgendo il Corpo di ballo della Scala sulla voce sopranile, lontana come un ricordo, di Enkeleda Kamani, da cui si stacca la Ferri per accompagnare la Woolf nella morte.

Per tutto questo, in definitiva, Woolf Works è pura emozione. L’emozione è ritmo ed energia, e l’energia è vita. Scrivere è vivere, come ballare. Forse, anche a Virginia Woolf sarebbe piaciuto.

Tania Cefis
(20 aprile 2019)

La locandina

Regia e coreografia Wayne McGregor
Musica Max Richter
Direttore Koen Kessels
Scene Ciguë, We Not I, Wayne McGregor
Costumi Moritz Junge
Luci Lucy Carter
Soprano Enkeleda Kamani
Personaggi e interpreti:
I NOW, I THEN
Woolf / Clarissa Alessandra Ferri
Peter Federico Bonelli
Richard Mick Zeni
Clarissa giovane Caterina Bianchi
Sally Agnese Di Clemente
Septimus Timofej Andrijashenko
Evans Claudio Coviello
Rezia Martina Arduino
BECOMINGS
Nicoletta Manni, Virna Toppi, Maria Celeste Losa, Agnese di Clemente, Martina Arduino, Timofej Andrijashenko, Nicola Del Freo, Valerio Lunadei, Gabriele Corrado, Claudio Coviello, Christian Fagetti, Marco Agostino.
TUESDAY
Alessandra Ferri, Federico Bonelli, Virna Toppi e il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala.
Con la partecipazione degli Allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala.

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