Milano: un’Ariadne minimal-pallida
«Le stelle eterne morranno prima che la morte ti tolga al mio abbraccio» sono i versi conclusivi che sgorgano dal canto di Bacco su quel flusso sonoro che pare non risolvere mai.
L’immensità emotiva del finale di Ariadne auf Naxos, in cui ritroviamo lo stile straussiano in tutta la sua aulica dimensione, è solo una parte di questo immortale capolavoro fra i più articolati e complessi del periodo tardoromantico. La sperimentazione lessicale di Richard Strauss –già in atto su larga scala in opere precedenti e ravvisabili invero in molte sue pagine soprattutto liederistiche– trova suo compimento in un’opera il cui esordio non fu particolarmente felice.
Le (auto)citazioni non mancano nel tessuto orchestrale finemente ricamato dell’ Ariadne, complice il organico ridotto di stampo cameristico, in cui Strauss fa emergere nitidamente ogni dettaglio timbrico in perfetta simbiosi col testo, talora sovrabbondante, di Hugo von Hofmannsthal.
Ancor più sottile è la fusione dei diversi registri: l’elemento comico del Prologo e quello tragico-eroico dell’Opera in duplice prospettiva teatrale, in cui i personaggi agiscono in una vicenda pressoché inesistente, ma assai realistica nel ritrarre i cliché del mondo teatrale.
Un bel ginepraio, insomma.
La Scala, a distanza di tredici anni dall’ultima rappresentazione, ripresenta il famoso titolo straussiano in una nuova produzione affidando la regia a Frederic Wake-Walker il quale coglie solo in parte le molteplici potenzialità di quest’opera perdendosi in citazioni che creano solo confusione.
Se nel Prologo viene a mancare quel clima caricaturizzato proprio dei retroscena teatrali, crolla quella tensione drammatica e volutamente contrastante che si dovrebbe avverare nell’Opera.
E così è stato, complici le scene minimal-déjà vu di Jamie Varten e le proiezioni video di Sylwester Łuczak e Ula Milanowska.
Alla mancanza di idee registiche si è sommata la direzione di Franz Welser-Möst alquanto geometrica nella prima parte e priva di pathos nella seconda.
Emerge per bellezza vocale e presenza scenica il soprano Krassimira Stoyanova nelle vesti di Ariadne affiancata da Micheal Koenig che ha superato cautamente l’impervia scrittura tenorile di Bacchus.
Precisa ma non svettante la Zerbinetta di Sabine Devieilhe, ottimo il Maestro di musica di Markus Werba così come sono risultati efficaci il quartetto delle maschere e il terzetto delle ninfe.
Opaca vocalmente ma abile scenicamente Daniela Sindram nel ruolo del Compositore.
Bene il resto del cast con un plauso per gli allievi dell’Accademia scaligera.
Magistrale la caratterizzazione del personaggio del Maggiordomo da parte del sovraintendente Alexander Pereira che ha suscitato non poca meraviglia fra il pubblico.
La serata si è conclusa con applausi per il cast e contestazioni per la regia.
Uno spettacolo che merita di essere visto se non altro per ascoltare dal vivo una delle più interessanti partiture di Richard Strauss in cui «poco è un istante – tante cose uno sguardo».
Gian Francesco Amoroso
(23 aprile 2019)
La locandina
Direttore | Franz Welser-Möst |
Regia | Frederic Wake-Walker |
Scene e costumi | Jamie Vartan |
Luci | Marco Filibeck |
Video | Sylwester Łuczak e Ula Milanowska |
Personaggi e Interpreti | |
Der Haushofmeister | Alexander Pereira |
Ein Musiklehrer | Markus Werba |
Der Komponist | Daniela Sindram |
Der Tenor / Bacchus | Michael Koenig |
Ein Offizier | Riccardo Della Sciucca |
Ein Tanzmeister | Joshua Whitener |
Ein Perückenmacher | Ramiro Maturana* |
Ein Lakai | Hwan An* |
Zerbinetta | Sabine Devieilhe |
Ariadne | Krassimira Stoyanova |
Harlekin | Thomas Tatzl |
Scaramuccio | Kresimir Spicer |
Truffaldin | Tobias Kehrer |
Brighella | Pavel Kolgatin |
Najade | Christina Gansch |
Dryade | Anna-Doris Capitelli* |
Echo | Regula Mühlemann |
Orchestra del Teatro alla Scala |
Condividi questo articolo