L’onestà vince i concorsi: Intervista a Michel Béroff
Uno dei primi giorni di Concorso Tchaikovsky a Mosca riesco a incontrare Michel Béroff, membro della giuria per la sezione Pianoforte. Il pianista francese, celebre per le sue incisioni del grande repertorio Novecentesco con particolare attenzione agli autori francesi e specialista dell’opera di Olivier Messiaen, è anche storico docente del Conservatorio di Parigi, nonché membro regolare di giurie di grandi concorsi, tra cui lo stesso Tchaikovsky.
- Maestro Béroff, vorrei cominciare chiedendole subito cosa significhi stare dall’altro lato del tavolo!
Ovviamente è un grande privilegio. È la terza volta che torno in giuria a questo concorso e ogni volta ho ascoltato splendidi virtuosi, ottimi pianisti ed anche grandi musicisti! È fantastico trovarsi qui ad ascoltare questi giovani, che saranno la futura generazione di grandi artisti. E il Concorso ha raggiunto standard di preparazione così elevati che ormai è tradizione trovarvi sempre grandi pianisti: si spera anche grandi musicisti!
- E come si valuta se un pianista ha il potenziale per divenire parte di quella futura generazione?
È complesso, ma innanzitutto credo che se dobbiamo trovare pianisti che arrivino in Finale, questi debbano essere pronti già da subito ad affrontare una carriera. Certo, negli artisti più giovani si può scorgere il potenziale, ma se vi sono ancora troppi elementi che vanno puliti, rifiniti e sistemati, forse non è ancora il momento giusto per loro. Quindi bisogna cercare un pianista che sia a posto sia tecnicamente sia come maturità, cercando sempre il vero musicista. Perché il livello dei pianisti è incredibile al giorno d’oggi e non solo al Tchaikovsky, ma anche a tanti concorsi meno importanti si incontrano splendidi esecutori. La qualità del musicista, però, quella è rimasta rara. Non è più rara che in passato, penso sia solo un discorso di proporzione: ora ci sono molti più pianisti. Ovviamente questo questo non toglie che non tutto sia così chiaro e spesso si discuta, ognuno ha il suo sistema di valori. Io ad esempio mi trovo molto legato alla parte, amo i musicisti che hanno rispetto della musica, che servono la musica e non si servono della musica. Certo, l’interprete è sul palco e si esibisce secondo la propria personalità, ma cerco artisti che abbiano umiltà e semplicità. Il che non esclude il momento da gran virtuoso, quando è richiesto!
- Trova che i concorsi siano il luogo giusto in cui portare la propria idea, la propria musicalità, il proprio modo di comprendere la musica?
Il concorso non è una condizione normale, certo, devi essere in grado di sostenere questa situazione. Alcuni grandi musicisti non ci sono riusciti, non erano adatti a questa strada, ma non per questo non erano grandi musicisti! Ma in generale penso che se un musicista è onesto (cosa che ogni buon musicista in genere è), riesca semplicemente ad andare oltre e suonare, a scegliere un repertorio che risponda alle richieste del concorso, ma senza chiedersi «Cosa devo mostrare?». Suona la musica che ama, su cui si trova a proprio agio. E il resto poi sta alla giuria farlo. L’onestà, l’umiltà, la comprensione di chi siamo rispetto ai geni di cui suoniamo la musica è il minimo che un vero artista deve avere. Poi ovviamente questo è più facile da dire che da fare, la realtà è ben più complessa, ma questa è la direzione, secondo me e anche ai concorsi si può seguire.
- A volte è piuttosto chiaro quando un pianista è veramente un musicista, ma il processo di voto, opinioni, idee e visioni musicali diverse possono rendere questa individuazione più complessa. Lei pensa che la vera musicalità porti comunque tutta la giuria a concordare?
È una domanda complessa. Ormai ho una certa esperienza di giurie e ricordo diversi concorsi in cui il primo premio è emerso davvero con chiarezza, perché il talento era lampante: basti pensare a Trifonov! In altri concorsi è più difficile perché ognuno porta una propria visione, ma trovo falso il luogo comune secondo cui ai concorsi i grandi talenti vengono esclusi subito perché chi è eccezionale non piace a tutti, mentre a vincere è il candidato il cui modo di suonare è quello che non dispiace a nessuno. Certo, capita che alcuni talenti molto originali non mettano d’accordo i giurati, ma lì penso sia responsabilità della giuria stessa di comprendere che i musicisti sono giovani e molte cose possono svilupparsi e maturare. Quando sei giovane capita spesso di avere idee e atteggiamenti provocatori, ma alla fine si riesce a comprendere quando uno è un vero musicista o meno. In musica niente è veramente oggettivo, ma credo ci siano comunque degli elementi che puoi valutare. Uno di questi è l’abilità del pianista di comunicare la sua musicalità, a tutti. E ognuno la riceverà diversamente: le giurie alla fine sono composte di persone e se tutti avessimo la stessa opinione non sarebbe proprio necessario averla! Basterebbe un singolo giudice!
- Quindi lei crede che diversi approcci e diverse visioni della musica in una sola giuria siano importanti?
Molto importanti! Certo ogni tanto si può restare un po’ delusi perché il candidato che ti piaceva non arriva primo, ma la maggior parte delle volte il grande talento emerge. Magari non è primo ma è secondo o terzo. Quando un talento è davvero evidente, un giurato se ne accorge. Quando c’è ma è meno evidente, ci sono comunque diverse opportunità per valutare, tra prima, seconda e terza prova.
- Lei, oltre alla sua carriera come pianista, è anche un riconosciuto docente. Come ritiene che si possa essere pronti per esprimere la propria musicalità, come si può studiare per essere espressivi sotto un livello di pressione simile?
Ovviamente devi essere pronto molto prima del Concorso, devi essere sicuro in ogni situazione, qualsiasi cosa succeda. Non dico arrivare al livello di quegli studenti russi che si svegliano alle tre di notte per provare il programma, ma deve esserci un margine tra il meglio che puoi fare e ciò che non è il tuo meglio. Poi conta moltissimo l’indole del musicista, ciò che ti guida dentro, il modo stesso in cui suoni il pianoforte. C’è chi analizza la musica così chiaramente da averne sempre la struttura perfettamente chiara in mente, così da essere sempre sicuri. Tutti i buoni musicisti devono avere radici forti. Anche l’immagine sonora dev’essere ben chiara. Se desideri raggiungere determinati suoni e colori e non hai ben chiaro cosa vuoi fare, poi è molto difficile mettersi a cercarlo su un pianoforte durante il concorso. Tutti questi elementi devono andare insieme, bisogna essere pronti ad adattarsi rapidamente ad ogni situazione ed è fondamentale non solo rimanere concentrati e connessi con se stessi, ma anche consapevoli di ciò che si sta producendo, ascoltare ciò che si fa. E ti rendi conto di chi si ascolta con attenzione e di chi invece non si ascolta per nulla e magari suona anche bene, ma senza cura dei dettagli, del suono, della polifonia. Ecco queste sono le cose cui fare attenzione per essere pronti, secondo me.
- Parlando di colori e dettagli, lei è uno specialista del repertorio del XX Secolo e soprattutto francese. Non si suona molta musica francese in questo concorso!
Già! Penso sia perché i pianisti vogliono in primo luogo mostrare la propria abilità, ma il virtuosismo non è solo suonare forte e veloce, anche il controllo del suono è virtuosismo. E chiama in campo l’immaginazione: se non hai abbastanza immaginazione, la musica francese forse non fa per te. D’altronde il repertorio francese è legatissimo ad un’idea di suono, il 50% della sua riuscita arriva direttamente dalla qualità di questa ricerca sonora. Se non lo cogli corri il rischio di ritenere un brano non sufficientemente brillante da poter esser portato ad un concorso.
- A meno che non sia Gaspard de la nuit.
Ah sì, quello è un brano che viene distrutto piuttosto spesso ai concorsi! Ma poi bisogna considerare che qui siamo in Russia e il virtuosismo è veramente leggendario. I pianisti sono più abituati a suonare Rachmaninov che Debussy e alla fine ai concorsi porti il repertorio su cui ti senti a tuo agio. Non che manchino pianisti russi che suonino splendidamente Debussy. Ravel è in un certo senso più facile, perché tutto è più chiaro; in Debussy tutto è più flessibile, come in Chopin, ma con un suono ancora più complesso perché non hai limiti, il pianoforte diventa davvero più che orchestrale. Si tratta sempre di una questione di abitudine: devi amare il suono. Ma d’altronde la musica è fondamentalmente ritmo e suono, quindi queste due componenti sono sempre importanti. E a volte nei concorrenti mancano. Entrambe! (ride) Se invece hai ben curato entrambi gli elementi, allora hai gettato le prime fondamenta: la musica è come un edificio, con le sue grandi colonne: se queste vengono meno, tutta la struttura collassa.
- E questo non solo per la musica francese…
Ah, assolutamente, anzi in quella tedesca è ancora più importante ed anche in quella russa. Ma come tutte le musiche, quella francese ha le sue richieste specifiche che vanno comprese e amate. Per fortuna Ravel viene suonato molto, Debussy anche e la musica di Messiaen si sta diffondendo molto non tanto nei concorsi ma in università e conservatori.
- Anche fuori dalla Francia?
Soprattutto! Dopotutto è capitato spesso che compositori francesi venissero suonati molto all’estero prima di diventare popolari in Francia. Mi vengono in mente Chabrier, Berlioz, Schmitt. Ma in questa direzione sto ancora aspettando di avere una competizione veramente importante dedicata al repertorio francese: con questa vastità di possibilità si potrebbero fare cose meravigliose!
Alessandro Tommasi
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