Arena 2017: le pagelle dei melomani raccolte da un critico

Il vallo dell’Arena di Verona, durante le serate d’opera, mantiene ancora un po’ di sana tradizione, conservando come un tempo, un gruppetto di intenditori e di appassionati che amano dissertare sullo svolgimento artistico degli spettacoli. Ascoltandoli si traggono diversi stimoli di giudizio sulle prestazioni canore come classifiche di gradimento. Le “sentenze” arrivano anche dai vari “critici musicali” che, con l’avvento dei blog, si sono moltiplicati come i funghi e che amano pure loro sostare nel vallo prima o dopo la recita. Poi, a fine spettacolo, basta accodarsi a qualche compagnia che rientra verso i parcheggi per carpire l’opinione “popolare” su quanto hanno visto. Il giornalista osserva, ascolta, annota e, a fine stagione con questo pagellone, cerca di elaborarne una sintesi, riassumendo con un voto la prestazione dell’artista come il lunedì mattina fanno i colleghi dello sport quando raccontano le vicende domenicali dei calciatori dell’Hellas o del Chievo. Partita per partita, o meglio, opera per opera, ne è venuta fuori questa graduatoria.

 

NABUCCO

Direttori. Daniel Oren è sempre più svogliato e si sente. L’orchestra e il coro lo seguono oramai “in automatico”, ma è tutto un “tirar via”. Certo, un minuto di musica di Oren vale più di un’ora di musica di Bignamini e per questo il rammarico è maggiore perché sarebbe uno dei pochi capace di fare musica vera in Arena. Voto 7

Jordi Bernacer: le scelte di tempi e colori divergono dal sentire di Oren. Cerca di trovarli ma, contrariamente al suo predecessore, il gesto non comunica a sufficienza l’intenzione e il disegno musicale. Sembrerebbe un direttore solido cui magari dare una prova di appello con una produzione concertata tutta da lui. Voto 6,5

Regista. Arnaud Bernard: indubbiamente indovina lo spettacolo che è bello e si lascia anche guardare, pur se nel tentativo di voler superare Zeffirelli, eccede nella misura rendendo fin troppo rumorosa la pariglia del Nabucco risorgimentale inficiandone spesso l’ascolto. Ciò non toglie che lo spettacolo sia veramente riuscito. Voto 8

Nabucco. George Gagnidze: il volume non gli manca, sempre fra il forte e il fortissimo. Rimane la ragione misteriosa per cui gli sia riconosciuta una carriera che quello stile di canto, solo una decina di anni fa non gli avrebbe fatto superare la soglia della provincia tedesca. Mettiamoci anche una sorta di idiosincrasia con la lingua italiana e se ne elabora il Voto: 5,5

Leonardo Lopez Linares (Nabucco): è uno dei misteri della fede, nel senso che ci vuole fede per dire di averlo sentito. La speranza è che un domani qualche suono trovi la giusta posizione. Voto 4

Boris Staatsenko: Da una ventina d’anni questo baritono prova diverse strade per rientrare sul mercato italiano da dove era stato bandito per il suo costante becero e tonitruante modo di cantare. Per carità, la voce sarebbe anche di qualità, ma non basta avere una macchina da corsa se non la si sa guidare. Voto 3,5

Sebastian Catana: un buon baritono lirico prestato ad un ruolo e ad uno spessore di personaggio ancora troppo lontano dalle sue reali capacità. Comunque, rispetto ad altri colleghi, raggiunge la sufficienza. Voto 6,5

Ismaele. Walter Fraccaro. In questo allestimento alla fine le note ci sono, anche se in certi momenti con oscillazioni pericolose. Voto 6,5

Mikheil Seshaberidze: dopo le ottime prove dello scorso anno ci saremmo aspettati una valorizzazione diversa di questo ragazzo che ha indubbie qualità, sicuramente troppe per un ruolo come Ismaele che gli sta stretto. Una di queste è la passione e l’entusiasmo che profonde quando entra in scena. Sarebbe bello vederlo in Manon al Filarmonico. Voto 7,5

Rubens Pellizzari: Verdi non è il suo terreno migliore e lo si sa da anni. Fraseggi generici, discontinuità di emissione. Voto 5

Zaccaria. Stanislav Trofimov: da tempo immemorabile in Arena non si sentiva uno scandalo vocale di queste dimensioni. Una vera offesa alla storia dell’Arena. Voto 0 (ma solo perché non si possono usare i numeri relativi).

Rafael Siwek: ottimo artista che risolve bene il personaggio, con un bel colore di voce e un’ottima presenza scenica. Le note ci son tutte, il fraseggio è di per se abbastanza raffinato e lo si ascolta volentieri. Voto 7,5

In-Sung Sim: ha buon fraseggio e pronuncia anche se difetta in volume non essendo propriamente una vocalità verdiana. Però, memori del vecchio adagio, “beati monoculi in terrae ciecorum” ne annotiamo la dignitosa prestazione. Voto 6,5

Abigaille. Tatiana Melnychenko, che non fosse il suo ruolo lo si sapeva dall’ultima edizione di Nabucco fatta in Arena. Agilità praticamente ridotte al minimo, acuti costantemente gridati e calanti. Il do della cabaletta del secondo atto è un autentico urlo da pestone sui piedi. Si è costretti a vivere di ricordi…. Voto 4

Rebeka Lokar: una Mimi prestata a Verdi. Risolve la tessitura, ma manca il peso e la ferina incisività della frase verdiana. Sarebbe stata una Butterfly interessante, ma ha una fisicità pronunciata per essere credibile come “flebile farfalla”. Porta fuori Abigaille grazie all’esperienza maturata in Slovenia dove canta di tutto e di più. Voto 6

Anna Pirozzi: anche per lei un ruolo limite, specie per peso vocale, ma lo svolge con sicurezza di emissione, bellezza di timbro ed una certa intelligenza nella linea di canto. Voto 8,5

Susanna Branchini: vocalità gestita con continue emissioni dal basso, evocanti una scuola russa anni 50, che poco si addicono a quello che sarebbe un timbro ragguardevole. Pur non raggiungendo i livelli della Pirozzi, ne offre una lettura degna dell’anfiteatro che la ospita. Nelle recite successive recupera il suo carattere di belcantista e ci propone prestazioni di livello. Voto 8

Fenena. Carmen Topciu: funzionale al ruolo che interpreta. L’attitudine cantabile del mezzosoprano rumeno trova terreno fertile nella scrittura di questo ruolo. Voto 7,5

Anna Malavasi: altro mistero della fede. Valga solo il concertato di chiusa del primo atto, dove incurante di qualsiasi indicazione andava a “tutta canna” calando poi vistosamente. Voto 3

Nino Surguladze: poi quando arriva un’artista, anche in un ruolo contenuto come questo, te ne rendi conto dalle prime note. I concertati diventano armoniosi, vi è una linea comune di espressione, insomma tutto cammina bene e nell’aria finale è un piacere ascoltarla. Voto 8

Sacerdote di Belo. Romano Dal Zovo, concordiamo con una collega che ha recensito alcuni spettacoli: questo giovane artista merita di più, basta che sia un di più fatto con criterio e intelligenza. Rimane comunque impeccabile nel ruolo. Voto 8

Nicolò Ceriani: ci sono artisti che non dovrebbero mai mancare nel cotè di contorno areniano come nei tempi gloriosi. Ceriani è uno di quelli. Voto 8

Abdallo: Paolo Antognetti, vale come per Ceriani. Avercene! Voto 8

Cristiano Olivieri: basta un “come sopra” ed è tutto chiaro sulla prestazione di questi comprimari areniani che da anni sono la spina dorsale dei ruoli secondari. Voto 8

Anna. Madina Karbeli: detto che è un’ottima professionista la domanda che sorge spontanea è per quale ragione si debba offrire un ruolo così marginale ad un artista straniera quando abbiamo centinaia di brave soprano italiane a casa. Comunque giudichiamo la prestazione. Voto 7

Elena Borin: eccone una, per esempio di italiane. Altre proprio non ne sono venute in mente? Voto 7

AIDA EDIZIONE FURA DELS BAUS

Direttore. Julian Kovatchev: conosce a menadito sia la partitura verdiana che le dinamiche areniane. Sa fino a dove può spingersi e quando è necessario soprassedere. Voto 8 che confermiamo anche per le riprese dell’Aida storica.

Il Re. Deyan Vatchkov: ribadito il concetto per la Anna della signora Karbeli, per lo stesso metro di misura (la prestazione) qui c’è pure l’aggravante di una voce vuota, afona, alla “topo-gigio” che certamente non fa onore al teatro. Voto 4

Romano Dal Zovo: vale quanto detto per la prestazione in Nabucco. Voto 8

Amneris. Violeta Urmana: autorevolezza, presenza, sicurezza, vocalità rigogliosa, intelligenza interpretativa, insomma i fuoriclasse esistono. Voto 9

Anastasia Boldyreva: il giovane e affascinante mezzosoprano prodotto del “vivaio Gavazzeni” conferma le ottime prestazioni fornite lo scorso anno in Carmen e Aida e si candida ad essere degna erede areniana per questo ed altri ruoli per i quali ha offerto una prova eccellente. Voto 8,5

Anna Maria Chiuri: il piglio non le manca, il colore è di quelli ammalianti, ma troppi e cogenti sono i problemi appalesati in un registro acuto periglioso e di una intonazione assai periclitante. Non più che dignitosa. Voto 6,5

Aida. Amarilli Nizza ritornava in palcoscenico dopo una sosta di 6 mesi per maternità e ha offerto una prima recita prudente, cantata più con l’esperienza e l’intelligenza di 12 anni di Arena. Nelle altre recite, ripresa famigliarità con il suo mezzo, si è apprezzato come la gravidanza le abbia fornito ulteriore rotondità e smalto. Voto 8

Sae Kyung-Rim: tanta voce…e poi? Fraseggio inverecondo, pronuncia italiana deficitaria, espressività e colori (se si eccettua l’apprezzato tentativo della smorzatura del do dei “cieli azzurri”) ridotti al lumicino. Non crediamo sia l’Arena il luogo per simili “esperimenti”. Con lei si è poi verificata una vistosa emorragia di pubblico. Voto 5

Irina Churilova: altra “carneade” della lirica, spacciata per rivelazione? All’atto pratico nulla di più che una artista stabile del Marinsky dove si canta di tutto a seconda delle necessità. Voto 5,5

Radames. Carlo Ventre: è una delle poche certezze di questa stagione artistica. La voce si è anche abbellita, gli acuti sono maggiormente a fuoco e i suoi si bemolle sono apparsi degni di un vero tenore eroico. Esempio per tutti che in questo mestiere bisogna sempre continuare a studiare. Voto 9

Yusif Eyvazov: non si può dire che il “signor Netrebko” non disponga di un mezzo ragguardevole, specie nel registro acuto che non disdegna di esibire come trofeo di guerra ogni qualvolta la tessitura sale, a scapito della linea e di un fraseggio musicale che si interrompe ogni qualvolta la tessitura sale. La prestazione è comunque nel complesso dignitosa. Voto 7

Fabio Sartori: per il secondo anno consecutivo il tenore delizia il pubblico areniano con una cancellazione. Voto: 3 per mancanza di rispetto nei confronti del teatro e del suo pubblico.

Ramfis. Giorgio Giuseppini: solido, professionale, voce in ordine, di vero basso, ideale per questo ruolo tale da mettere a tacere il critico. Voto 8

Marko Mimika: anche a questo artista non mancano doti e autorevolezza. Uno dei bassi su cui far conto anche in futuro. Voto 8

Amonasro. Boris Staatsenko: quanto di negativo espresso in Nabucco in Aida si amplifica in quanto il “nostro” torna a fare del re etiope una sorta di gorillone berciante privo completamente di autorevolezza regale. Voto 2

Leonardo Lopez Linares: di linea di canto e intenzioni non se ne vede né se ne sente l’ombra. Il resto lo si lascia alla libera interpretazione di chi continua a trovarvi qualcosa di buono. Voto 4

Messaggero. Antonello Ceron: fa parte del blocco tradizionale di quei comprimari che vorremmo mai mancassero in questo teatro. Voto 8

Cristiano Olivieri: conferma quanto di buono evidenziato in Nabucco, compreso il Voto 8

Sacerdotessa. Tamta Tarieli e Marina Ogii: ci si chiede se per ruoli così marginali non c’erano due brave italiane diplomate al conservatorio capaci di cantare dignitosamente le 8 battute che Verdi riserva a questo ruolo? Voto 7

RIGOLETTO

Direttore. Julian Kovatscev: vale quanto espresso per Aida con l’aggravante (o scusante per il direttore) che avere 4 Gilda, 3 Duca e 3 Rigoletto in 5 recite non può permettere una concertazione uniforme ma costringe il direttore ad essere solo un accompagnatore. Voto 8

Duca di Mantova. Gianluca Terranova: non sarà certamente il Caruso che ha interpretato nella fiction televisiva, ma è comunque un tenore di assoluto riguardo, di bel timbro, di facile salita e ottima presenza. Un Duca sicuro e solido. Voto 8

Francesco Demuro: voce più leggera rispetto al titolare, ma comunque saldo ed efficace. Ha emissioni morbide di provenienza belcantista, che per questo ruolo non guastano, unite ad una buona dose di intelligenza scenica. Voto 8

Arturo Cachòn-Cruz: ciò che funziona ad Amburgo o Monaco può non funzionare in Italia. E non è solo con un timbro assai bello che se ne viene fuori interi da questo ruolo. Il baldanzoso spagnolo ce la mette tutta, ma troppe sono le carenze tecniche per fargli superare un’onesta sufficienza. Voto 6

Rigoletto. Amartuvshin Enkhbat: arrivi in Arena ad ascoltare una prima di Rigoletto, con un title-role praticamente sconosciuto in Italia e pensi ad un fenomeno. E la sua sortita ti fa pensare d’aver immaginato bene: è un pozzo di voce, questo ragazzone dalla Mongolia. Poi ti accorgi che canta sempre così per tutta l’opera. Se ne apprezza lo sforzo di farlo in un italiano almeno corretto e comprensibile e gli si dà atto di non scadere in momenti beceri. I suoi 31 anni gli valgono la speranza di trovarlo fra qualche anno cresciuto e maturato. Voto 7,5

Carlos Alvarez: ha la misura, la voce, lo stile, la linea, il fraseggio che servono a questo ruolo. Iracondo quando serve, intimistico e dolcemente paterno con la figlia, sprezzante con gli altri, disperato uomo fallito nel finale d’opera. Una interpretazione di assoluto rilievo. Voto 9

Leo Nucci: qualsiasi parola si dica di lui, si dirà sempre troppo poco. Vale il fatto che arriva lui e l’Arena con questo titolo poco popolata, fa sold out. Voto 10

Gilda. Elena Mosuc: sceglie la strada della Gilda bambolina e se la porta fino alle rive del Mincio. Le messe di voce sono ancora pregevoli e non va mai sotto il livello che si vorrebbe avere per gli artisti principali areniani. Voto 8

Jessica Pratt: il ruolo è di quelli a lei particolarmente congeniali. Lo conosce a menadito, lo domina e delizia la platea areniana con qualche puntatura di “tradizione”, che se fa storcere la bocca ai puristi, ma infiamma però i melomani. E visto che si va a teatro per vivere di emozioni condividiamo la scelta del soprano anglo-australiano. Voto 8,5

Ekaterina Siurina: è la meno in palla delle Gilda areniane. La voce è piccolina, aggraziata, ma non certo della vocalità richiesta per una Gilda in questo teatro. Nulla le toglie comunque un’adeguata professionalità e il mantenimento di un livello accettabile. Voto 7,5

Jessica Nuccio: avere Nucci che fa l’andatura e mettersi in scia rende tutto molto più facile se si hanno le doti. La giovane palermitana ha grinta da vendere, non può ambire a superare, in gradimento ed intensità il mito, ma accetta di buon grado il ruolo di gregario, di prima classe e offre un’ottima recita. Voto 8,5

Sparafucile. Andrea Mastroni: un baritono scuro che viene prestato al registro di basso può risolvere dignitosamente un certo belcantismo, ma quando la tessitura diventa impervia molte note in basso si sfuocano e si frammischiano ad aria rischiando di sacrificare il timbro o l’ampiezza. Voto 6

Maddalena. Anna Malavasi: nessun colore, nessun passaggio espressivo, specie nel quartetto quando le dinamiche di crescendo e diminuendo fanno di questo brano uno dei più amati non solo dal pubblico. Maddalena è solo una bella figliola. Voto 5

Giovanna. Alice Marini: brava e professionale. Sa stare al suo posto senza voler strafare ed entra a buon diritto fra le artiste che, su questi ruoli, avrebbero potuto essere maggiormente valorizzate. Voto 8

Monterone. Nicolò Ceriani: vale quanto detto per Nabucco e se ne conferma la valutazione. Voto 8

Altri. Marco Camastra (Marullo): ma allora esistono anche i comprimari italiani bravi…Voto 8

Francesco Pittari (Borsa): ed ecco che si chiude il quartetto dei quattro tenori areniani (Pittari, Olivieri, Ceron, Antognetti) e ci si accorge che anche i comprimari hanno un loro perché. Voto 8

Dario Giorgelè (Ceprano): sempre dove deve essere, funzionale al lavoro che è chiamato a fare, sonoro al punto giusto. Voto 8

Marina Ogii (Contessa di Ceprano): richiamato quanto detto sulla sacerdotessa, se ne conferma la valutazione. Voto 7

Omar Kamata (Usciere): esegue quanto prescritto con professionalità e anche buona sonorità. Per il baritono trevigiano una buona prova. Voto 7,5

Lara Lagni (Paggio): allora pescare in Veneto non è proprio un brutto affare. Veramente una giovane artista che merita di essere seguita. Voto 8

 

MADAMA BUTTERFLY

Direttore. Jaeder Bergamini: la sua Traviata (non quella di Verdi) lo scorso anno non brillò. Si dice che perseverare sia diabolico e la sua Butterfly non entusiasma, non commuove, non riscalda, non fa piangere perché è asettica, fuori da ogni coinvolgimento. E’ suono e basta, senza un’anima, ti scorre sulle spalle come l’acqua sulle pietre di un torrente, ma non ti leviga. Attoniti e annoiati non possiamo che dare il voto 5,5

Cio-cio-san. Oksana Dyka: scenicamente è difficile pensare ad una minuta geisha giapponese. Bisogna però riconoscerle che ci ha messo dell’impegno e che è stata comunque capace di accattivarsi le simpatie del pubblico. Voto 6,5

Sae-Kyung Rim: se in Aida, stile e vocalità richiedevano controllo di emissione e tentativi di canto fraseggiato, una visione troppo verista di Puccini sfocia sempre in un canto di fibra e in una ostensione del mezzo ragguardevole, a scapito del sottile fraseggio che permea tutto il capolavoro del compositore. Ne sorte fuori una Butterfly poco geisha. Voto 4,5

Hui He: è artista conosciuta e amata con i suoi pregi e con i suoi difetti. Intonazione, acuti e musicalità non sono i suoi terreni di elezione, il do dei cieli azzurri non è mai un do, ma sempre più un si o si bemolle, ma bellezza di timbro, unita a passione e comprensione del ruolo fanno pendere la bilancia verso una prestazione di qualità. Voto 8

Suzuki. Silvia Beltrami: quando si cantano questi ruoli, che non sono né carne, né pesce bisogna saper essere veramente bravi per risultare efficaci e la Beltrami lo è. Voto 8

Anna Malavasi: che pena il duetto dei fiori. Ma quest’anno va così. E’ stato il festival Malavasi-prezzomolino, quasi non vi fosse solo che lei in questo registro. Si conferma il giudizio delle prestazioni nelle altre opere. Voto 4

Pinkerton. Marcello Giordani: manca la baldanza del giovane ufficiale di marina. Scenicamente sempre lontano dal parteciparvi, vocalmente un po’ assente e spesso tirato nel registro acuto. Rimane la solidità del vecchio leone la cui zampata ha sempre un perché, anche se molto al di sotto delle sue precedenti prestazioni areniane. Voto 6,5

Gianluca Terranova: dopo aver ben risolto il Duca di Mantova, il baldo ufficiale della US Navy non può certo mettergli paura, e infatti lo canta praticamente in souplesse. Voto 8

Sharpless. Alessandro Corbelli: il valzer degli Sharpless si apre con un professionista solido, intelligente, misurato. Insomma un ottimo personaggio. Voto 8

Stefano Antonucci: se si teneva Corbelli nessuno avrebbe gridato allo scandalo anche perché se si cambia è sempre meglio cambiare in meglio e non scendere ad uno Sharpless che si fa notare per la spiccata anonimità attoriale e vocale. Voto 6

Alberto Gazale: un interprete non più che corretto, al minimo sindacale. Voto 6

Altri. Francesco Pittari (Goro): vale in tutto quanto espresso per Rigoletto. Voto 8

Nicolò Ceriani (Yamadori): vale come per i precedenti impegni. Voto 8

Deyan Vatchkov (Bonzo): qualcuno dice che vivere di ricordi non fa bene. In questa edizione il Bonzo era in ferie e ha mandato il nipotino…con il vocino. Voto 4

Marco Camastra (Imperial Commissario): stessa valutazione di quanto detto per Rigoletto. Voto 8

Dario Giorgelè (Ufficiale del registro): un “posterità” detto sempre al momento giusto. Voto 8

Tamta Tarieli, Marina Ogii, Elena Borin (mamma e cugina): siamo di nuovo al punto di partenza, con una aggravante. Avendo optato per il taglio di tradizione nella scena del matrimonio che, di fatto, annulla il ruolo dello zio ubriacone Yakouside, anche i ruoli in oggetto non hanno alcun rilievo né musicale, né di parti scoperte. Allora perché scritturare artiste, per di più straniere? Una borsa di studio a qualche studentessa di conservatorio non era meglio? S.V.

AIDA STORICA EDIZIONE 1913

Direttore. Andrea Battistoni: sulle doti di questo prodotto della nostra terra già abbiamo disquisito più volte. Ci rimane ancora incomprensibile come la sua sia una lettura “a scatti”, senza una reale consequenzialità delle intenzioni e dei tempi. L’impostazione parrebbe essere, a giudicare dall’inizio, elegiaca/meditativa, ma improvvisamente inizia una corsa vorticosa con frenata improvvisa nel frammezzo. Quasi una Aida letta in salsa Puccini. Voto 7,5

Il Re. Ugo Guagliardo: tra le tristi scoperte della stagione areniana non possiamo non includere l’afonoide basso le cui pecche tecniche sono state fin troppo giustificate da una sorta di “sindrome da debutto areniano”. Con Verdi porge il fianco a tutte le sue mancanze. Voto 4

George Anguladze: altra scoperta dalla lontana Georgia, che però non fa onore a voci sicuramente migliori che quella terra ha prodotto. Voto 4

Amneris. Olesya Petrova: fra le artiste dotate di mezzi vocali torrenziali, uniti ad una stazza altrettanto torrenziale che ne fa un’Amneris di peso nel vero senso della parola. Chiederle un’intenzione o una messa di voce nel bel mezzo di un testo, che non ha totalmente compreso, è impossibile. Le note comunque ci sono, ma è un po’ poco per quello che richiederebbe l’Arena di Verona. Voto 6

Marianne Cornetti: seppur anche lei non sia scenicamente un fuscello ha una padronanza del ruolo pari a poche altre e il cipiglio della fuoriclasse è rimasto invariato. Voto 8

Giovanna Casolla: paga il solito scotto ad inizio d’opera, a causa della tessitura troppo grave. Che ad una età non più verde sfoderi una sicurezza vocale da fare invidia ad una trentenne, questo appartiene solo alle grandi del teatro mondiale di cui l’artista napoletana ne fa parte a pieno titolo. Voto 9

Anastasia Boldyreva: vederla è un piacere per gli occhi, ascoltarla lo è per le orecchie. La speranza è di rivederla presto con un impegno maggiore visto che offre ampie garanzie di alta qualità. Voto 8,5

Aida. Monica Zanettin: forse fa tesoro degli errori della scorsa stagione e si presenta all’appuntamento con una vocalità più presente, rotonda, precisa e a fuoco. Voto 7,5

Hui He: con i suoi pregi e con i suoi difetti, con il suo registro acuto sempre un po’ in pericolo, ma ha classe da vendere e sicurezza in un ruolo per cui è fra le più apprezzate da tempo in Arena. Voto 8

Cellia Costea: ogni due giri una sorpresa, direbbe il giostraio. Eccone una delle tante catapultate in Arena. Voto 5

Maria Josè Siri: l’inizio è un po’ sulle difensive, forse per le eccessive frequentazioni pucciniane di quest’anno dell’artista sudamericana, veronese di adozione. Poi bellezza di timbro, sicurezza e un ritorno di familiarità con questo palcoscenico le permettono di tirar fuori due recite da vera artista. Voto 9

Radames. Gaston Rivero: continuiamo pervicacemente a credere che Radames sia ben altro che un Nemorino prestato all’esercito del Faraone. Voto 5,5

Hovhannes Ayvazyan: dice parole che hanno un significato e quel significato deve anche trovare riscontro nella tipologia dell’emissione che, invece, è sempre monocorde e inespressiva. La vocalità è appannata, costantemente indietro, smaccatamente comprimariale. Voto 4,5

Walter Fraccaro: più che l’eroico condottiero della Tebe imperiale dà sempre l’impressione del buon gondoliere veneziano. Lo spunto eroico gli difetta per natura. Rimane comunque uno fra i migliori delle seconde linee. Voto 7

Ramfis. Rafal Siwek: la migliore voce di basso che in Arena si sia sentita quest’anno. Questo artista ogni stagione arriva sempre maggiormente compreso nelle parti a lui affidate. Voto 8,5

Deyan Vatchkov: gli manca la ieraticità, il legato solenne, il colore brunito, il senso della frase verdiana. Insomma l’ennesima prova negativa di una stagione a lui non certo felice. Voto 4

Amonasro. Ambrogio Maestri: delizia per le orecchie. Quando ci si trova davanti ad un Amonasro di questo livello non puoi che chiudere gli occhi e ricordare il “pensa che un popolo vinto straziato”. Voto 9

Carlos Almaguer: eccezione che conferma la regola, due Amonasro su due centrati. Grande voce, grande signorilità, grande appeal scenico, professionista impeccabile. Voto 9

Messaggero. Paolo Antognetti-Antonello Ceron: per entrambi si conferma il giudizio già espresso per altre prestazioni. Voto 8

Sacerdotessa. Marina Ogii-Tamnta Tarieli-Elena Borin: alle artiste il plauso di una prova decorosa per le 8 battute a loro riservate, il resto lo abbiamo evidenziato altre volte e non ci ripetiamo. Voto 7

TOSCA

Direttore. Antonino Fogliani: dato l’esiguo numero di prove ci mette un paio di recite a prendere la misura degli spazi areniani, ma la sua concertazione è attenta, puntuale e tesa a trovare sempre l’essenza del volere pucciniano. Da apprezzare. Voto 8,5

Tosca. Susanna Branchini: l’eccessiva passionalità che mette in questo ruolo inficia l’emissione che talvolta diviene forzata e gonfiata nei centri rendendo discontinua la prova che, invece, potrebbe essere, con un maggior controllo e gestione del mezzo, di assoluto livello. Voto 7,5

Ahinoa Arteta: bella sorpresa il soprano spagnolo, che trova la giusta lettura per un personaggio di difficile gestione. Forse non coglie l’attimo del Vissi d’Arte che passa un po’ via, senza infamia, ma anche senza grandi entusiasmi, mentre disegna un terzo atto veramente superlativo. Voto 8

Cavaradossi. Carlos Ventre: è in palla, funziona, vocalmente sta bene. Cavaradossi è un ruolo che gli si addice a meraviglia, l’intesa con il direttore avviene da subito e il tenore, veronese di adozione, non ci fa rimpiangere di non aver sentito il titolare Karahan. Voto 8,5

Mikheil Seshaberidze: anche per lui un jump-in dell’ultima ora. Lo spavaldo ragazzone georgiano inanella la recita della vita. Trova una romanza d’apertura che da anni non si sentiva con tale passione, partecipazione vocale ed emotiva, pescando un si naturale di quelli che rimangono “ad perpetuam memoriam”. Nel finale si permette anche mezze voci raffinate e legati di grande scuola. Non avesse preteso troppo dai suoi polmoni (primo atto) avrebbe veramente raggiunto il top, ma ci è andato tanto vicino. Voto 9

Aleksandr Antonenko: è svogliato e lo si percepisce dalla sua entrata in scena. D’altronde è stato disturbato nel fine ferie per sostituire Marcelo Alvarez che a Verona non si sogna di venire più, specie da quando non vi sono più i cachet stellari di un tempo. Però la classe c’è, la vocalità è anche bella, se la tira un po’ via su molti fraseggi, ma non va sotto i livelli di grande teatro. Voto 8

Scarpia. Ambrogio Maestri: si nota che lo spartito di Tosca lo ha messo in gola in fretta e con poca attenzione. Presenta uno Scarpia forse un po’ troppo vigoroso e meno insinuante, ma mantiene la prestazione su ottimi livelli. Voto 8,5

Boris Staatsenko: in questa produzione il poderoso siberiano offre un personaggio ai limiti della caricatura. Siamo seri, siamo all’Arena. Come dice Gianni Schicchi “un po’ d’orgoglio”. Voto 2

Altri. Romano Dal Zovo (Angelotti), Nicolò Ceriani (Sagrestano), Antonello Ceron (Spoletta), Marco Camastra (Sciarrone), Omar Kamata (Carceriere): confermiamo per tutti l’ottimale prestazione che li rende garanzie assolute per tutta la fascia delle seconde parti. Voto 8

 

IX SINFONIA DI BEETHOVEN

Direttore. Daniel Oren: quando si fa la spola in contemporanea fra tanti teatri non si potranno mai produrre risultati eccelsi. Il popolo vuole sentire il corale del quarto movimento e Oren lo coglie mettendoci del suo. Troppo poco per un direttore di tale lignaggio. Voto 6,5

Tenore. Samir Pirgu: la voce è gradevole, il professionista pienamente compreso nel suo compito. Voto 8

Soprano. Erika Grimaldi: artista sensibile, di grande espressività, di vocalità sicura e bel colore. Impeccabile. Voto 8

Contralto. Daniela Barcellona: per l’esiguità dell’intervento e dell’impegno, forse si poteva ragionare di artisti meno costosi. Voto 8

Basso. Ugo Guagliardo: la parte per moltissime ragioni non si adatta a lui. Voto 5

GALA DOMINGO

Interpreti. Interessante proporre un genere nuovo e accattivante per l’anfiteatro areniano, a testimonianza che quando ci sono interpreti di qualità gli spettatori non si fanno pregare a riempirlo anche se non si dà Aida o Nabucco. Voto 8,5 al progetto e un meritatissimo 10 al fuoriclasse Domingo. Dopo averlo visto ancora una volta ci si spiega per quale ragione, a 80 primavere passate, rimanga un punto di riferimento della lirica mondiale. Alla Martinez e Cachon, sparring partner del leone, un ottimo giudizio. Voto 8

Coro: Nabucco e Aida sono come sempre banchi di prova importati per le masse areniane che devono reggere un peso gravoso e persistente dell’opera mentre per gli altri titoli è richiesta puntualità e grande senso ritmico. Indubbiamente siamo di fronte ad una delle compagini corali migliori al mondo per quel che riguarda l’opera, con il beneficio anche di un’ulteriore possibile evoluzione. La cura del maestro Vito Lombardi ha fatto il suo bell’effetto e questo si è largamente percepito nella pulsione, nel tactus, nella pronuncia ed in molti altri aspetti particolari. Voto 9,5

Orchestra: ha indubbiamente l’onere più gravoso in quanto abituarsi -e in fretta visti i tempi di prova sempre più risicati- a bacchette diverse, con visioni non proprio collimanti della medesima partitura, a cantanti che saltano fra variazioni programmate e cancellazioni, non è proprio cosa semplice, anche se stiamo parlando di una delle orchestre che da questo punto di vista è fra le più duttili in assoluto. Passata la prima settimana di recite, che è sempre una settimana di assestamento, si compatta e fa sentire come si suona l’opera italiana. Voto 9

Gianni Villani

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