Ravenna – Riccardo Muti docente esemplare per i giovani talenti dell‘Accademia dell’Opera Italiana

In un mondo ideale tutti i didatti dovrebbero possedere le qualità di Riccardo Muti: tra le altre, l’appassionata dedizione alla propria materia, l’ampia e minuziosa sapienza sorretta da uno scavo sempre più approfondito, l’acutezza analitica e la lungimiranza, la coinvolgente comunicativa e, non ultimo, un umorismo sdrammatizzante a fianco della serietà a tutta prova delle indicazioni e dei precetti. Tutte doti che Muti profonde a piene mani nel suo continuo lavoro con i giovani; non solo quelli dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini da lui fondata nel 2004, ma anche quelli dell’Accademia dell’Opera Italiana che si tiene a Ravenna da tre anni. I partecipanti, giovani sì ma già in carriera, arrivano dalle più autorevoli istituzioni di tutto il mondo per imbeversi della conoscenza che Riccardo Muti ha accumulato in decenni di sfolgorante carriera e che, prima ancora, gli è stata trasmessa dai suoi insigni maestri, depositari della migliore tradizione, come Antonino Votto.

Cinque i direttori d’orchestra (oltre al gruppetto, tutto al femminile, di quattro maestri collaboratori) che hanno superato le durissime selezioni, emergendo su più di seicento aspiranti: sono l’italiano trentacinquenne Marco Bellasi, il suo coetaneo Gevorg Gharabekyan, armeno di origine e residente in Svizzera, il finlandese Kaapo Johannes Ijas, ventinove anni, e l’iraniano della stessa età Hossein Pishkar; unica donna prescelta, la più giovane di tutti: Katharina Wincor, ventidue anni, austriaca. Cinque personalità d’interprete già piuttosto definite e diversissime, ciascuna a modo suo ben degna d’interesse. Durante l’Accademia, che si tiene nello storico Teatro Alighieri, i direttori salgono a turno sul podio della ”Cherubini” cui si aggiunge, nelle ultime giornate, il Coro del Teatro Municipale di Piacenza. Materia di studio, dopo Falstaff e La traviata delle scorse edizioni, è un altro titolo verdiano, quell’Aida che Riccardo Muti ha diretto da poco al Festival di Salisburgo con successo trionfale.

Aida normalmente viene «massacrata», come lo stesso Muti ci dice con amarezza, e non solo in patria; ma se la musica di Verdi all’estero viene trattata come un continuo «zum-pa-pa» e considerata tutt’al più da intrattenimento, «la colpa è di noi italiani», ci spiega sempre Muti continuando a parlare di quest’opera: abbiamo relegato nell’oblio la tradizione più illustre – che dovremmo invece essere noi a portare in tutto il mondo – privilegiando quella più facile, rozza e routinière ed esportando un modello difettoso, raffazzonato con superficialità. È evidente come a tale modello si opponga con tutte le sue forze il direttore napoletano, diffusore eccellente della musica di Verdi (al quale ha dedicato anche un libro dal titolo che rappresenta una dichiarazione di fede e d’intenti: Verdi, l’italiano, Rizzoli 2012) e strenuo sostenitore della sua genialità. Lo fa non soltanto con le proprie esecuzioni, ma con la generosa trasmissione del sapere che ha raccolto, diventando così il più affidabile tramite tra i giovani e il passato. Pronto a spronare con l’esempio, con la lode e, quando il caso lo richiede, con una correzione garbata, Riccardo Muti infonde negli allievi sul podio una quantità di insegnamenti, ma fornisce loro nello stesso tempo un vero e proprio metodo di lavoro che servirà per ogni titolo di teatro musicale che si troveranno ad affrontare.

Il direttore napoletano ha dichiarato: «Mi sono sentito investito di un compito, quello di trasferire ai giovani il metodo e gli strumenti che hanno permesso a me di arrivare fin qui: credo si debba recuperare la capacità, troppo spesso dimenticata, di concertare, cioè di costruire la regia musicale di un titolo lavorando a fondo con un cantante al pianoforte o ragionando con l’orchestra sulle caratteristiche di una partitura». Ed ecco infatti anche all’Accademia le prove al pianoforte con i cantanti, dopo le quali, come in un vero teatro d’opera, i direttori salgono sul podio. Le  indicazioni di Muti toccano tutti gli aspetti della partitura e i suoi risvolti: si soffermano sui punti nevralgici, ma anche sui passaggi che di solito vengono erroneamente trascurati, e trascorrono dall’analisi sottile di ogni componente della musica alla tecnica direttoriale (un esempio: gli attacchi più esposti «vanno dati con una mano sola, perché con due si rischia sempre di essere imprecisi»), dalle osservazioni sulla drammaturgia all’approfondimento del rapporto tra parola e suono («Verdi sosteneva: “prima il poeta, poi il musicista“», quindi bisogna sempre far sì che la musica metta in rilievo il senso della parola); le sue osservazioni rispettano le scelte interpretative, cogliendo però infallibilmente gli errori e le sbavature (il tono è comunque comprensivo: «non vi demoralizzate, anch’io sbaglio dalla mattina alla sera»); si diffondono su molto altro ancora – compreso l’aspetto scenico e registico – rivolgendosi via via ai direttori, ma anche alla ”Cherubini”, orchestra di resa sopraffina grazie alle costanti cure dello stesso Muti, all’efficiente coro piacentino e alla ben scelta compagnia di canto: Luca Dall’Amico, il Re d’Egitto; Anna Malavasi, Amneris; Vittoria Yeo, Aida; Diego Cavazzin, Radamès; Cristian Saitta, Ramfis; Federico Longhi, Amonasro.

Martedì 12 settembre si è tenuto il primo dei due concerti finali dell’Accademia dell’Opera italiana; prevedibilmente, aveva registrato il tutto esaurito da giorni: a dirigere un’ampia scelta di brani di Aida è stato infatti lo stesso Riccardo Muti, riscontrando un enorme successo. Il 14 alle 19, sempre al Teatro Alighieri, saliranno invece sul podio gli allievi. Per coloro che non avessero avuto il privilegio di assistere all’Accademia accanto agli uditori provenienti da tutto il mondo, alle educatissime scolaresche ravennati e ai ragazzi del Conservatorio di Napoli venuti in visita, è auspicabile che le registrazioni effettuate durante le giornate di lavoro diventino trasmisioni televisive e vengano riversate in DVD.

Se Verdi, l’italiano, troverà finalmente nel suo Paese e nel mondo il posto di assoluta eminenza che gli spetta, sarà in massima parte merito della vera e propria battaglia in suo favore intrapresa da Riccardo Muti. Sapiente, appassionato e carismatico, l’illustre direttore riceve in ogni caso una ricompensa immediata per tutte le energie che dedica al lavoro con i giovani: i ragazzi lo seguono con attenzione inesausta, pendono visibilmente dalle sue labbra e cercano in ogni momento, anche in quelli di pausa, il suo parere e il suo insegnamento. Quella che se ne trae è una sensazione molto confortante, una grande speranza per il futuro.

Patrizia Luppi

(Ravenna, 13 settembre 2017)

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