Verona: con la Filarmonica di San Pietroburgo Marin convince, Mustonen meno

La Filarmonica di San Pietroburgo è una delle non numerose orchestre in grado di assorbire senza problemi l’improvvisa assenza del proprio direttore principale, anche se questi la guida da oltre trent’anni e a buon diritto può esserne considerato l’anima.

Se ne è avuta la riprova al Filarmonico di Verona, dove la compagine russa si è presentata al secondo appuntamento del Settembre dell’Accademia priva dell’ottantenne Yuri Temirkanov, fermato da un’indisposizione alla vigilia della tournée italiana. Al suo posto, sul podio è salito Ion Marin, musicista esperto e preparato, che ha garantito lo svolgimento della serata senza alcun cambiamento di programma.

E dunque, concerto tipicamente “pietroburghese”, se non altro perché non mancava la musica di Cajkovskij, autore “di casa” che la formazione russa non fa mai mancare ai suoi ascoltatori. Rappresentato, in questo caso, da una delle sue pagine più popolari in assoluto, il primo Concerto per pianoforte, banco di prova per generazioni di virtuosi della tastiera.

A Verona vi si è tuffato quell’eclettico musicista che risponde al nome di Olli Mustonen, pianista finlandese di fama internazionale che si dedica anche alla direzione e soprattutto – leggendo il suo curriculum – è versato nella composizione.

Il suo approccio è parso più muscolare che incline alla rifinitura del suono in chiave poetica e magari anche (melo)drammatica.

Naturalmente, un certo “atletismo” è richiesto dalle ardue difficoltà della parte, ma a parte il fatto che non sempre l’energia è sembrata appaiata alla precisione nei passaggi più acrobatici, resta il fatto che la maggiore difficoltà di questo Concerto consiste proprio nel definire il valore del suono dentro e oltre il rombo delle doppie ottave “sparate” a gran velocità.

E il suono di Mustonen è parso un po’ troppo uniforme, mai articolato in una chiave espressiva diversa da quella dell’esecuzione di forza, con il sospetto di un certo voluto semplicismo anti-romantico che è paradossale al cospetto di questa partitura e al quale non ha giovato peraltro qualche sbavatura nel dialogo con l’orchestra. Peccato, perché intorno a lui la Filarmonica di San Pietroburgo non ha mancato di cesellare da par suo – guidata dal gesto misurato e funzionale di Marin – le molte gemme strumentali che Cajkovskij sparge nelle parti orchestrali, fra l’oro antico dei corni e l’eleganza pensosa dei legni.

Archiviato il Concerto per pianoforte di Cajkovskij senza soverchio entusiasmo da parte del pubblico che gremiva il Filarmonico, la serata è svoltata decisamente nella seconda parte, dedicata a uno dei grandi capolavori del secondo Ottocento orchestrale, la Sinfonia “Dal nuovo mondo” di Dvorák. La Filarmonica di San Pietroburgo ne ha offerto un’esecuzione di plastico rilievo timbrico, capace di illuminare tutti i dettagli di una partitura che da questo punto di vista – al di là delle citazioni “etniche”, peraltro più boeme che native americane – costituisce un vero e proprio exploit virtuosistico.

Il punto di partenza è stato l’equilibrio fra le sezioni, effettivo e “parlante” anche se gli archi nel loro insieme erano particolarmente numerosi (18 violini primi e tutti gli altri in proporzione). Poi, decisiva è parsa la duttilità di un fraseggio capace di sottolineare anche i più piccoli dettagli della straripante invenzione melodica di Dvorák, altra autentica miniera di pietre preziose di questa Sinfonia.

Infine, le scelte di tempo di Ion Marin sono sembrate le più naturali ed efficaci per dispiegare di questa Sinfonia sia la brillantezza estroversa (lo Scherzo) che il ripiegamento malinconico (il Largo), sia la concentrazione drammatica (primo movimento) che l’energia liberatoria eppure non priva di momenti riflessivi (il celebre Finale). La compattezza mai opaca dei violini e delle viole, la coinvolgente agilità dei violoncelli e dei contrabbassi, la lucidità dei legni e la brillantezza delle trombe e dei corni hanno infine completato una confezione musicale di gran lusso, solidamente tradizionale eppure mai sfiorata dal sospetto della routine.

Entusiasmo alla fine, con ripetute chiamate per il direttore Ion Marin e applausi scroscianti per la Filarmonica di San Pietroburgo. Bis ancora all’insegna di Dvorák, questa volta in qualità di brillante strumentatore di due delle Danze Ungheresi di Johannes Brahms.

Cesare Galla
(11 settebre 2019)

La locandina

Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo
Direttore Ion Marin
Pianoforte Olli Mustonen
Programma:
Pëtr Il’ič Čajkovskij Concerto per pianoforte e orchestra n.1 in si bemolle minore Op. 23
Antonín Dvořák Sinfonia n. 9 in mi minore Op. 95 “Dal Nuovo Mondo”

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