Intervista a René Martin, l’architetto dei Festival

Uno dei più importanti direttori artistici francesi, René Martin è noto per aver creato e seguito alcuni dei più celebri festival francesi, quali La Grange de Meslay, La folle journée de Nantes e La Roque d’Anthéron, espandendosi poi a livello internazionale dal Giappone alla Russia. Proprio a quest’ultimo festival lo incontriamo, sotto l’ombra dei platani del Parc du Florans all’indomani di un meraviglioso concerto di uno degli artisti più affezionati, Arcadij Volodos.

  • Com’è nato il Festival de La Roque d’Anthéron? E perché proprio qui?

Quando terminai i miei studi, mi venne dato l’incarico di riorganizzare la vita musicale dei Festival della Provenza. Incontrai molti sindaci della zona, ma quando incontrai il sindaco de La Roque, Paul Onoratini, capii di aver trovato una personalità assolutamente particolare, già alla ricerca di un’occasione per creare un festival musicale. Al contempo io cercavo l’occasione di organizzarne uno pianistico e appena sono arrivato qui al Parc du Florans, ho capito che era il luogo ideale. Certo, era particolare, con alberi, acqua, animali che girano per il parco (come le nostre galline!), ma per il nostro festival volevo creare un grande teatro immerso nel verde. E così fu. Il primo anno avevo già artisti come Eschenbach, Richter, Argerich, Bischoff-Kovachevich, Zimerman e un pianista russo che si trovò a suonare per la prima volta in Francia, Yuri Egorov! Fu un successo folle. Per la seconda edizione costruimmo una seconda camera acustica, mentre adesso siamo alla settima versione, da dieci anni ormai. Di fatto mi hanno offerto uno spazio acustico formidabile per un Festival!

  • Si è notato ieri sera, con il concerto di Volodos!

È davvero folle, la migliore acustica all’aperto d’Europa secondo me. Non abbiamo niente di amplificato! E Arcadij adora suonare qui, proprio per l’unicità di questa sala da concerto, in cui guardi in alto e hai il cielo, guardi in basso e hai l’acqua che scorre, sei immerso nella magia.

  • Il progetto del Festival non si è però esaurito una volta terminato l’entusiasmo iniziale. Siamo ormai alla quarantesima edizione, perché ha funzionato nel tempo?

Penso sia perché ho da sempre voluto rendere La Roque un vero punto di riferimento per i festival pianistici nel mondo. E non ho organizzato il Festival solo per invitare grandi star, quei quattro nomi che vengono invitati ogni volta. Volevo che tutti osservassero la nostra programmazione per scoprire volti nuovi: per questo invitiamo ogni anno tanti, tantissimi giovani pianisti, i quali domani saranno i migliori ambasciatori del Festival. Ne è un esempio Lugansky, ne sono un esempio i tanti grandi pianisti di oggi che a La Roque hanno cominciato la loro carriera. Poi la formula del Festival è semplice: i migliori pianisti, la migliore acustica, i migliori pianoforti. Abbiamo strumenti e tecnici assolutamente straordinari. Questa combinazione ha garantito di anno in anno risultati sempre più efficaci.

  • La sua esperienza come direttore artistico è veramente ampia, ma cos’è necessario per essere un vero direttore artistico?

Penso bisogni innanzitutto conoscere veramente bene la musica, il repertorio, i brani. Che siano per pianoforte, per ensemble, per orchestra, tutto. Poi bisogna avere una reale qualità d’ascolto e ricercare costantemente i giovani musicisti che potranno essere i migliori interpreti. Passo moltissimo tempo a scoprire nuovi musicisti e nuove opere. A casa ho oltre 35.000 CD e sul mio telefono tengo 4.000 brani, passo gran parte del giorno ad ascoltare musica. E poi l’esperienza: dopo La Roque ho creato La folle journée a Nantes, poi a Tokyo (dove abbiamo fatto un milione di persone!), poi ho organizzato a Varsavia, a San Pietroburgo, in tutto il mondo. Ed essendo il direttore artistico di queste realtà significa che ho scelto ogni artista e ho discusso personalmente ogni singolo cachet.

  • La direzione artistica di tutti questi progetti viene gestita da Nantes: come funziona?

Esatto, il mio ufficio è a Nantes ed è il riferimento per il mondo intero, anche se poi abbiamo uffici a Tokyo, Varsavia e così via. A Nantes ho uno staff stabile, tra cui ad esempio Aline Pôté, l’ufficio stampa, che si prende cura di tutti i festival francesi che organizzo. Quello staff si sposta per gli incontri necessari a creare i festival di anno in anno, insomma il mio ufficio è un po’ come lo studio di un architetto. Immagina Renzo Piano, ha il suo studio principale a Napoli con oltre cinquanta collaboratori. Renzo Piano va a ideare un edificio, per una qualsiasi città del mondo, e tutto il suo studio inizia con le ricerche e gli studi necessari, poi si appoggia ad una realtà locale per l’effettiva realizzazione del progetto. Per noi è qualcosa di affine, creiamo il progetto artistico e musicale, io contatto gli artisti in giro per il mondo, ideiamo un progetto originale seguendo le specifiche del luogo, creiamo un’equipe stabile sul luogo del progetto e poi procediamo a costruirlo.

  • E cosa cerca nel personale di questo suo “studio d’architettura musicale”?

Cerco persone estremamente ben strutturate, perché nel mio ufficio dalle nove alle dieci lavori con la Russia, dalle 10 alle 12 sei su Varsavia e così via. Quindi mi servono giovani davvero ben organizzati: si inizia un lavoro, lo chiudi, passi rapidamente a quello successivo e così via. E già durante un festival si lavora ad altri due, tre progetti successivi. Per dire, uno dei più grandi agenti giapponesi è qui e per quattro giorni durante La Roque lavorerò alla Folle journée di Tokyo. Dopodiché arriveranno i russi e lavoreremo al progetto del 2021 in Russia. Ciò non significa che non sia qui, oggi, a disposizione degli artisti, ma ovviamente devo dividermi per lavorare in contemporanea con tutti gli altri progetti. E questi sono i ritmi che chiediamo.

  • Sempre rimanendo sui giovani, cosa ricerca nei pianisti di oggi? Cosa le fa capire che un musicista possa essere uno degli ambasciatori del Festival tra dieci o vent’anni?

La prima cosa che cerco in un giovane pianista è la fragilità dell’emozione. Poi cerco musicisti che già da giovani siano ben strutturati per la propria carriera: ne è un esempio Alexandre Kantorow, che ha cominciato qui e già da subito, per la testa che aveva, si capiva che avrebbe potuto vincere il Tchaikovsky un giorno. Infine cerco artisti che abbiano bisogno del pubblico. Lang Lang ne è un esempio. Ho organizzato io il primo concerto europeo di Lang Lang e quando è salito per la prima volta sulla scena, si è percepito chiaramente il fortissimo desiderio di comunicare con il pubblico. La comunicazione è importantissima, essere consapevole di come ti poni sul palco e come interagisci con il pubblico è fondamentale. Per me il pianista è un po’ un medium, riceve tutte le emozioni del pubblico e le restituisce con tutta la forza e l’elettricità della scena. È un discorso di qualità dell’ascolto del pubblico e più questo ascolto è di qualità, più il pianista andrà lontano. L’abbiamo visto ieri con Volodos, c’era un rapporto intensissimo tra pianista e pubblico e questo ha generato un silenzio assoluto che gli ha permesso di realizzare effetti e pianissimo altrimenti inconcepibili. E i giovani pianisti questo lo sanno, sanno come comunicare e come far arrivare la propria emotività. Lucas Debargue, ad esempio, è incredibile. È un pianista che si interroga, che ricerca tutto il tempo come risolvere un passaggio, in modo quasi ossessivo, e desidera ardentemente il pubblico. Adesso sono cinque anni che viene a La Roque e solo ora mi ha detto, dopo aver suonato un concerto incredibile il primo agosto, «Sai, adesso sto cominciando a comprendere come funzioni l’acustica, cosa sia La Roque d’Anthéron, come comunicare con il suo pubblico E sono felicissimo perché la magia di questo luogo permette di comunicare anche con la natura».

  • Kantorow e Debargue sono entrambi giunti alla notorietà internazionale grazie al Tchaikovsky. Qual è il suo rapporto con i concorsi?

Ne seguo molti tra i principali: Tchaikovsky, Queen Elisabeth, Chopin… È un ottimo modo per conoscere artisti. Ma è anche la soddisfazione, quando vedi la lista dei candidati ammessi, di conoscerne già almeno tre quarti!

Alessandro Tommasi

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