Verona: l‘Orquesta Nacional de España sulle rive dell’Adige
Dopo i Paesi Bassi e la Russia, il viaggio musicale in Europa proposto dal Settembre dell’Accademia Filarmonica ha fatto tappa in Spagna.
Per il suo debutto a Verona, la Orquesta Nacional de España diretta da Juanjo Mena è sembrata non allontanarsi da una certa tradizione folclorica della penisola iberica, quella di grande popolarità che tutti gli appassionati si aspettano di sentire convenientemente illustrata da una formazione che i suoi compositori e la sua musica nazionale li ha nel Dna.
Eppure, oltre autori e titoli, ritmi caratteristici di danza e colori sgargianti, invariabilmente seducenti, a ben vedere l’effettivo filo rosso della serata era anche un altro: una prospettiva di grande interesse sul primo Novecento della musica in Europa e quindi sulla nascita della modernità, ovviamente in riferimento a quello che accadeva a Parigi, che della modernità novecentesca è stata la culla.
Non a caso, metà del programma era dedicato a un parigino di adozione come Ravel, che probabilmente anche grazie alle sue radici basche è stato l’autore europeo che ha scritto – all’inizio del XX secolo – la musica “spagnola” più interessante e sofisticata, sicuramente la più seducente.
E un altro pezzo forte della serata era intestato a Manuel de Falla, che proprio dal suo decisivo “sciacquare i panni (musicali) nella Senna”, a contatto con esperienze come la prima esecuzione del Sacre di Stravinskij avrebbe tratto ispirazione per un’esperienza creativa di notevole forza innovativa: autenticamente interessata alla musica etnica del suo Paese (e specialmente dell’Andalusia), molto personale e originale, niente affatto condizionata dalle propaggini del Romanticismo.
E quanto Falla fosse allora al centro della scena europea – oggi occupa ingiustamente una posizione marginale – si può ben capire considerando la storica prima del Sombrero de tres picos, il balletto di cui entrambe le Suites sinfoniche costituivano uno dei pezzi forti del concerto veronese: avvenne a Londra nell’estate del 1919, sotto le insegne dei Ballets Russes di Diaghilev, con Ernest Ansermet sul podio, la coreografia di Léonide Massine, scene e costumi di Pablo Picasso.
Rispetto a questa musica, e anche ai due gioielli raveliani che hanno incorniciato la serata – in apertura, la Alborada del Gracioso, funambolica versione orchestrale di uno dei cinque pezzi dei pianistici Miroirs; in chiusura quel sempre sbalorditivo esempio di “musica per la musica” che è il Bolero –, il pur popolarissimo Concierto de Aranjuez è apparso come una sorta di “rifugio” in più tranquille acque classicistiche.
E d’altra parte, visto che questa composizione risale alla fine degli anni Trenta del Novecento, si può ben dire che il suo autore, Joaquín Rodrigo, era in sintonia con una tendenza stilistica che si era largamente diffusa in Europa dopo il terremoto modernista dei primi due decenni del secolo.
A sostenere il ruolo del solista nel Concierto è stato Pablo Sáinz Villegas, chitarrista molto interessante perché ha unito alla cifra tecnica impeccabile (agilità, rapidità, precisione, vasta gamma di colori) un taglio esecutivo che ha evidenziato l’essenzialità della scrittura di Rodrigo e allo stesso tempo ne ha individuato i nessi espressivi in una eleganza poetica vagamente trasognata, nel celebre Adagio centrale quasi onirica.
Il tutto riuscendo peraltro nella non facile impresa di ottenere un impeccabile equilibrio con l’insieme strumentale, creando un suono capace di “correre” nel migliore dei modi anche nella non facile acustica del Teatro Filarmonico. Il pubblico è apparso particolarmente soddisfatto della prova di Sáinz Villegas, salutandolo alla fine con applausi entusiastici e strappandogli un paio di bis di grande effetto: dapprima i Recuerdos de la Alhambra di Tarrega, un brano che da tempo è riuscito a imporre, più che la sua caratteristica originale di studio sul tremolo, l’accentuato lirismo dell’insieme, adeguatamente sottolineato dal chitarrista spagnolo; quindi una scatenata Gran Jota che nei suoi ritmi popolari ha consentito a Sáinz Villegas di dimostrare quanto il suo strumento abbia caratteristiche di autentico “trasformismo” del suono, con effetti timbrici multiformi, proposti con gesto di autentico, solidissimo virtuosismo.
Quanto all’Orquesta Nacional de España, se in organico ridotto nel Concierto ha messo in evidenza qualità di misura e buona rifinitura del suono – con una doverosa citazione per il corno inglese, co-protagonista nell’Adagio –, a pieno organico nel resto del programma è piaciuta per l’energia controllata ma sempre coinvolgente, per l’omogeneità e l’equilibrio fra le sezioni, tutte di buon risalto timbrico e di efficace propensione al dialogo l’una con l’altra. Juanjo Mena l’ha guidata con gesto sicuro e incisivo, stringendo spesso i tempi senza che la chiarezza del discorso nel soffrisse.
Ne è sortito un de Falla dal suono corposo ma duttile, con dinamiche molto articolate e fraseggio concentrato, naturalmente espressivo. Il Bolero, poi, è stato “inciso” con essenziale precisione, in un’esecuzione di energia trascinante, capace di esaltare i multiformi colori delle entrate solistiche e di misurare minuziosamente “a effetto” il lungo crescendo di cui in fondo consta questa partitura.
Alla fine ovazioni e doppio bis di assoluto encanto spagnolo, tutto nella forma dell’Intermezzo: quello pensoso e notturno da Goyescas di Enrique Granados (1915) e quello solare e irresistibilmente danzante da La boda de Luis Alonso, “zarzuela” scritta nel 1897 da Gerónimo Giménez.
Cesare Galla
La locandina
Orquesta Nacional de España | |
Direttore | Juanjo Mena |
Chitarra | Pablo Sáinz Villegas |
Programma: | |
Maurice Ravel | Alborada del gracioso |
Joaquín Rodrigo | Concerto di Aranjuez per chitarra e orchestra |
Manuel De Falla | Il cappello a tre punte (Suites n. 1 e 2) |
Maurice Ravel | Bolero |
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