Venezia: al Palazzetto Bru Zane la “joie de vivre” di Reynaldo Hahn
Compositore tra due secoli, traghettatore del Romanticismo nel Novecento, attento osservatore dei mutamenti del mondo, ironico, innamorato della vita e di Marcel Proust; Reynaldo Hahn è tutto questo e anche di più.
Il Palazzetto Bru Zane inaugura la sua undicesima stagione celebrandone la multiformità, la capacità di penetrare nella natura più intima della realtà che lo circonda rendendola in una grande varietà di composizioni.
Opere, balletti, pagine per pianoforte e per complessi da camera, ma soprattutto Hahn si consacra alla storia per lo sterminato catalogo di mélodies, attraverso le quali racconta la sua joie de vivre, perche se Chausson canta la speranza dopo il fallimento e Duparc l’annientarsi nella disillusione, Hahn semplicemente celebra la vita in tutte le sue sfaccettature.
Interpreti ideali, ancora una volta, Tassis Christoyannis e Jeff Cohen, capaci di un’intesa perfetta che porta inevitabilmente ad un crescente coinvolgimento del pubblico.
Se il canto di Christoyannis si plasma duttile alla parola il pianoforte di Cohen sostiene su ali salde e leggere un dialogo appassionato e ricco di spunti.
Amplissima la selezione che il duo ha offerto all’ascolto, affrontando tutto lo spettro della poetica di Hahn e passando dall’ironia al dramma e dalla meditazione al divertissement.
Alle mélodies più note – su tutte “À Chloris” e “Aimons-nous!”, passando per la “Chanson d’Automne” e “La vie est belle” – se ne sono unite altre forse meno conosciute dal grande pubblico.
Ecco dunque, dalla raccolta Five Little Songs, tre deliziosi esempi di come la mélodie non si snaturi in una lingua che non sia il Francese, guadagnandone talvolta in brio, cosa che accade in “The Swing”.
Dal lungo soggiorno veneziano di Hahn derivano una serie di pagine in dialetto, autentiche chicche capaci ancora una volta di cogliere acutamente lo spirito della città e dei suoi abitanti; “Che pecà!” è un capolavoro.
Sono comunque le Chansons grises e Les Feuilles blssées le raccolte di maggior introspezione; qui la malinconia velata e la nostalgia di un tempo passato appaiono vissute con leggerezza e senza rimpianti, una su tutte “L’Heure exquise”.
Christoyannis interpreta con crescente sensibilità e meravigliosa varietà di accenti e colori, attento a non eccedere in sentimentalismi e padroneggiando con gran gusto una linea di canto nitidissima. Il suo Hahn è fatto anche di sguardi, di piccoli gesti che accompagnano il canto senza mai soverchiarlo.
L’artista vero si distingue anche nel gestire con garbo e spirito un vuoto di memoria che lo costringe a riprendere da capo, e per due volte, uno dei venticinque pezzi in programma, ricorrendo – dopo un fantastico siparietto con Cohen – infine al leggio.
Pubblico galvanizzato e successo pieno.
Alessandro Cammarano
(22 settembre 2019)
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