Milano: Giselle, perché d’Amore si può anche morire

Dramma, follia, inganno, soprannaturale, pathos. Le tinte fosche del romanticismo trovano con Giselle la loro espressione in danza. Nato nel 1841 su libretto di Théophile Gautier e Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges, con musica di Adolphe Adam, il balletto in due atti coreografato da Jean Coralli e Jules Perrot è un elogio della pazzia e dell’amore romantico. Una pazzia, però, dolce, tenera e deliziosa, come colei che ne è vittima, ci ricorda lo stesso Gautier in un testo del 1845. E un amore senza lieto fine, o perlomeno non il lieto fine delle favole.

Si può morire per amore? Ci si chiede fin dall’inizio del primo atto. Certo che sì, di amore tradito ma anche di amore per il ballo, quale espressione massima della gioia, della freschezza, dei propri sogni. E Giselle ne è la prova più eclatante. Quindicenne dalle belle e più rosee speranze, si ritrova suo malgrado nel triangolo amoroso del lui, lei e l’altra. E ne esce letteralmente a pezzi, tanto da finire a cavallo tra questo e l’altro mondo come spirito inquieto, vampiro della danza, condannata per sempre a vagare a notte fonda per i boschi nei ranghi del femmineo esercito delle Willi in cerca di giovani sprovveduti, sui quali sfogare la propria frustrazione e il proprio rancore per tutti i balli non goduti e una vita spezzata così presto.

Tutto ha inizio in un bucolico paesino sulle colline lungo il Reno, nel periodo della vendemmia. Qui i valori sono ben radicati quanto semplici e la gioia risiede anche soltanto in una giornata di sole. In questo idilliaco contesto ha inizio la storia della nostra protagonista, interpretata nella recita cui assistiamo al Teatro alla Scala, proprio in una bella serata di primo autunno, da una romanticissima Vittoria Valerio. In lei ritroviamo tutte le sfumature della gioventù, dell’innocenza, della bontà, della goffa quanto voluttuosa seduzione che tentano le ragazze nei primi amori. Il gesto rivela una tecnica così sicura (e che piedi!), che l’attenzione si può spostare tutta sull’interpretazione. Precisa e impeccabile negli aplomb e nei tecnicismi richiesti dalla storica ripresa coreografica di Yvette Chauviré, la Valerio dà corpo a una Giselle ben tratteggiata, senza essere eccessivamente verista, ma che dosa al punto giusto il personaggio tra il reale, l’espressivo e il simbolico.

Accanto a lei, Claudio Coviello è un Albrecht/Loys convincente, ottimo nella tecnica, soprattutto in termini di tours ed elevazione, e nell’interpretazione di un adolescente spavaldo ma ancora troppo giovane per essere totalmente uomo, a cui la gestione del gioco, tenendo come si dice “un piede in due scarpe”, sfugge di mano precipitando nella tragedia.

E se i protagonisti si confermano due punte di diamante del Ballo scaligero, anche comprimari e corpo di ballo esprimono l’alto livello che ci si aspetta, a partire dalla coppia Martina Arduino e Nicola del Freo che restituiscono un correttissimo e piacevole pas de deux dei contadini del I atto.

Anche il geloso rivale in amore Hilarion, cui dà corpo e piglio Christian Fagetti, piace: il suo personaggio è sanguigno al punto giusto, genuino, baldanzoso e irruento come si addice all’idea di guardiacaccia, così come regale e posata, e fino un po’ civettuola, è la principessa Bathilde di Emanuela Montanari. Di particolare pregio, poi, la madre di Giselle interpretata da Deborah Gismondi, ruolo per nulla secondario per un’efficace resa scenica, soprattutto nella pantomima della pazzia in cui spicca una gestione della scena convincente e non affettata.

Arriviamo quindi al secondo atto, il grande ballet blanc delle Willi. Apoteosi dell’irrazionale, qui lo spettatore si sente come il viandante nei dipinti di Friedrich, sperduto, sopraffatto dalla bellezza terribile e sublime della natura. Solo nella visione onirica, a metà strada tra la realtà e un indefinito al-di-là limbico, può tuttavia trovare la salvezza Albrecht e la pace l’anima di Giselle, personificatasi nel più alto concetto dell’amore puro, gratuito e ideale, altissimo insomma, che solo una giovane adolescente ancora non accostatasi al matrimonio può esprimere. A inizio del quadro ci si imbatte, quindi, in una foresta di lacrime e sospiri, per dirla sempre alla Gautier, sulla quale domina un’algida Myrtha, ottimamente interpretata dalla svettante Maria Celeste Losa, attorniata e supportata dalle sue fidate Willi, tra cui spiccano, tecnicissime, Alessandra Vassallo e, nuovamente sotto altra veste, Emanuela Montanari.

E qui il corpo di ballo dà prova della sua professionalità, cambiando subito registro e passando dai temi festosi e vitali, dai sorrisi e dagli ampi passi dell’atto precedente, alle atmosfere meste e introspettive che portano con sé gesti più misurati, a tratti evanescenti, che meglio si addicono agli spiriti notturni. Il tutto all’insegna di accenti e respiri all’unisono, così come delle linee coordinate che restituiscono una perfetta resa d’insieme.

Accompagnati dall’ottima direzione di David Coleman, alla guida dell’Orchestra dell’Accademia scaligera, giungiamo anche noi verso l’alba che amaramente salva, redime e perdona Albrecht, e saluta per sempre lo spirito di Giselle.

Applausi ripetuti e un bel teatro gremito conferma quanto il balletto classico sia intramontabile e certe passioni dell’animo umano immutabili attraverso i secoli e le epoche. Cos’è quindi che ci piace tanto di questa Giselle, che continua imperitura la sua fortuna negli anni? Forse nulla di particolare, non certo la scena fantastica lontana dalla nostra contemporaneità; forse la bellezza del gesto accademico; o forse il concetto romantico che, come ci racconta la cronaca ogni giorno in modi diversi, di troppo “amore” si può anche morire.

Tania Cefis
(3 ottobre 2019)

La locandina

Coreografia  Jean Coralli – Jules Perrot
Ripresa coreografica  Yvette Chauviré
Direttore  David Coleman
Scene e costumi  Aleksandr Benois
Rielaborati da  Angelo Sala e Cinzia Rosselli
Personaggi e interpreti:
Giselle  Vittoria Valerio
Albrecht  Claudio Coviello
Il Duca di Courland  Giuseppe Conte
La Principessa Bathilde  Emanuela Montanari
La madre di Giselle  Deborah Gismondi
Hilarion  Christian Fagetti
Wilfried  Riccardo Massimi
Il Gran Cacciatore  Massimo Garon
Passo a due contadini  Martina Arduino, Nicola Del Freo
Sei amiche di Giselle  Alessia Auriemma, Christelle Cennerelli, Stefania Ballone, Marta Gerani, Agnese Di Clemente, Denise Gazzo
Myrtha, Regina delle Willi  Maria Celeste Losa
Due Willi  Alessandra Vassallo, Emanuela Montanari

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