Roma: Luci e ombre nel Requiem di Berlioz

È la visionarietà di Berlioz ad aprire la stagione sinfonica 2019/20 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. La Grande Messe des morts, spesso per praticità chiamata semplicemente Requiem, ha riempito il palco della Sala Santa Cecilia del Parco della Musica giovedì 10 ottobre, alle 19.30. Riempito perché l’ampio lavoro del compositore francese ha visto la partecipazione non solo di Orchestra e Coro dell’Accademia, sotto la direzione di Pappano e con il tenore solista Javier Camarena, ma anche quella del Coro del Teatro San Carlo di Napoli, a rinforzo del coro romano, e della Banda della Polizia di Stato. Rispettivi direttori sono stati Piero Monti per il Coro dell’Accademia, Gea Garatti Ansini per il Coro del San Carlo e Maurizio Billi per la Banda della Polizia, che ha sconfinato dal palco per realizzare gli effetti di spazializzazione della partitura.

Una partitura, quella di Berlioz, magnificente e difficilissima, soprattutto per le vertiginose parti del coro, ma assai irregolare e contraddittoria, ricca di luci e ricca di ombre. Al desiderio di sorprendere con scelte anticonformiste (celebri sono il Dies irae profondo e implacabile e il Lacrimosa che, abbandonato il tono patetico, si mostra con perentorietà funesta, a tratti persino brutale) si unisce la ricerca di effetti retorici di grande forza immaginativa, a volte al limite nell’onomatopea. Non è però qui che il concerto ha dato il suo meglio. Sobria e precisa, la direzione di Pappano ha interpretato tutta la Grande Messa evidenziando e rinforzando le linee polifoniche, con una chiarezza di tessitura che ne ha esaltato con efficacia il carattere più arcaicizzante, anche al costo di sfibrare i momenti più maestosi. Questi sono stati interpretati con un piglio teso, asciutto, nervoso, che ha ben permesso di comprendere l’effetto rivoluzionario che tali sonorità dovevano sortire sui propri contemporanei, ma che ha al contempo perso quel virtuosismo dell’orchestrazione che riempie le sale e smuove le folle, anche laddove l’autore sembra richiederlo con forza. Un Requiem chiaro, storicamente contemplato, energico ma senza retorica: non stupisce che sotto la direzione di un insolitamente sobrio Pappano (che sia il ritorno alla bacchetta?) i momenti meglio riusciti non siano stati quelli roboanti, quanto quelli di più pura poesia, forse i più riusciti a Berlioz stesso, come la mesta preghiera dell’Offertorio e il bellissimo dialogo tra tenore e coro del Sanctus, anche grazie alla voce limpida e il fraseggio delicato di Camarena, perfettamente a suo agio nell’equilibrare la sobrietà della conduzione della linea con un tono più accorato ed espressivo, sul tappeto timbrico dell’Orchestra dell’Accademia. Orchestra che è parsa a tratti in splendida forma, a tratti piuttosto annoiata, con grossolane imprecisioni negli attacchi tra i legni, ma notevoli prove da parte degli ottoni e dei percussionisti, d’altronde i veri protagonisti strumentali della maestosa opera di Berlioz.

Discontinua l’esibizione del coro: la fusione tra Coro dell’Accademia e Coro del San Carlo non sempre è risultata pulita, anzi, e la difficile partitura ha messo più volte a dura prova l’estensione dei soprani. Quando invece la massa corale, ottimamente sostenuta dai bassi, trovava un maggiore appoggio, o quando invece che concentrarsi sulla compattezza della polifonia si ricercavano le tenui e soffuse sonorità (come nel citato Sanctus), il coro ha raggiunto dei risultati eccellenti. Un’eccellenza che ha più volte dimostrato il valore dei due cori e mi ha fatto domandare quanto meglio si sarebbe potuto rendere con più tempo per provare e costruire un insieme. Unire due realtà così distanti, dopotutto, non è mai una scelta semplice. Solida ed efficace la Banda della Polizia di Stato, infine, abile nel limitare al minimo i problemi derivati dalle distanze quasi areniane, che se da un lato garantivano effetti di spazializzazione e stereofonia assolutamente convincenti, dall’altra ostacolavano l’insieme nei punti più puntigliosamente ritmati. Resta comunque il coraggio di un’inaugurazione diversa, confermando il percorso dell’Accademia in questi ultimi anni: basti ricordare il meraviglioso Re Ruggero di Szymanowski nel 2017 o il trionfale (e meritato) successo di West Side Story l’anno scorso. Una felice ricerca che ha portato all’attenzione di migliaia di persone un lavoro rivoluzionario e affascinante come la Grande Messe des morts di Hector Berlioz, quest’anno, nei 150 anni della morte del geniale compositore francese.

Alessandro Tommasi
(10 ottobre 2019)

La locandina

Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Coro del Teatro di San Carlo
Banda Musicale della Polizia di Stato
Direttore Antonio Pappano
Tenore Javier Camarena
Programma:
Hector Berlioz
Grande messe des morts

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