Roma: il pianista Evgeny Kissin ospite d’onore di un Fantastico Berlioz

Continua all’Accademia nazionale di Santa Cecilia il tributo a Hector Berlioz nel 150° anniversario della scomparsa del compositore. Per il secondo concerto della stagione, il direttore musicale Antonio Pappano, ha scelto un ospite d’onore, il pianista russo Evgeny Kissin, e un programma coi fiocchi: l’Ouverture del Benvenuto Cellini, primo lavoro teatrale di Berlioz composto nel 1838: il Secondo concerto in la maggiore per pianoforte e orchestra di Franz Liszt composto nel 1849 e per concludere la Symphonie fantastique con cui Berlioz nel 1830 segnò il suo debutto da compositore.

E pensare che in vita il grande musicista fu tormentato dai dubbi, dagli insuccessi, dal disamore e dalla continua ricerca di appoggi necessari per mettere in piedi concerti che richiedevano imponenti masse orchestrale, tanto che decise di prendere la strada delle tournée all’estero pur di obbedire al suo genio creativo. Bisogna rileggere le sue Memorie (c’è la ristampa originale pubblicata da Calmann Lévy e la traduzione pubblicata da Ricordi a cura di Olga Visentini), capolavoro dell’autobiografia ottocentesca, per ritrovare le passioni, i tormenti e l’inquietudine che segnarono la vita del compositore romantico. E allora quale emozione, riscoprire grazie a questa serie di concerti straordinari dell’Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, la tessitura musicale di quell’esistenza sofferta. Il “Benvenuto Cellini”, la prima opera di Berlioz, s’ispirava alla vita del famoso scultore che conobbe un’esistenza avventurosa, antesignano agli occhi di Berlioz del genio romantico tormentato dal proprio impulso creativo. Scritta su libretto di Léon de Wally e Henri Auguste Barbier, l’opera fu messa in scena alla Salle du Vauxhall il 6 febbraio 1840, e fu un memorabile fiasco. Tranne l’ouverture che ebbe “un successo strepitoso”, come ricorderà Berlioz nelle sue memorie, “tutto il resto venne inesorabilmente fischiato, con un accordo e un’energia mirabili”. Nemmeno le modifiche suggerite da Liszt, dopo un primo rimaneggiamento in due atti e sfociate nella versione in tre atti, per la rappresentazione a Londra nel 1853, riuscirono a scongiurare l’insuccesso. Fu così che l’opera cadde in un lungo oblio con la sua commistione di stili, la parodia del registro tragico in funzione comica e viceversa di quello leggero in corrispondenza di situazioni drammatiche, per non parlare dell’espressionismo delle scene di massa, e dell’audacia nella sperimentazione di ritmi e i timbri, tratti salienti di Berlioz, che oggi risultano profetiche anticipazioni, pre-mahleriane secondo Daniele Gatti, della musica del Novecento. Ecco infatti il rigoglio di timbri, la varietà di colori, gli effetti di grande contrasto voluti dal grande orchestratore, che cede alle giravolte improvvise tra l’esplosione nervosa e i momenti melodici, per inseguire la dimensione della musica pura.

Franz Liszt chiamò il Secondo concerto “Concert symphonique” in omaggio a Henry Litolff, famoso per i suoi concerti con grande partecipazione orchestrale, e scelse di dargli una forma inconsueta, con un adagio in sei brevi movimenti secondo il modello del poema sinfonico. Inconsueto anche il rapporto tra pianoforte orchestra dove ora il primo predomina sulla seconda, ora si fonde ad essa in un continuo gioco delle parti. Un rapporto complesso, reso ancora più toccante dall’interpretazione superlativa di Kissin, che è riuscito a restituirci tutti i passaggi della partitura di Liszt, la dimensione intima, i bruschi risvegli dettati dal gusto del grottesco, la corsa verso il comico e il beffardo, e la sua imprevedibilità di composizione, con quella disarticolazione che tanto l’avvicina alla sperimentazione di Berlioz. Alla fine, commosso da dieci minuti di applausi, il grande virtuoso del pianoforte ha regalato al pubblico romano un ricco bis, suonando un brano di Chopin, un brano di Schumann, e infine una sua personale composizione, intitolata “Méditation”.

Liszt, d’altra parte, conosceva benissimo le innovazioni di Berlioz, avendone trascritto per pianoforte la Sinfonia fantastica. Giusto dunque dedicare proprio a quest’opera la seconda parte del concerto romano. La più famosa delle composizioni di Berlioz è un capolavoro dell’autobiografia in musica, ispirata a quello che diventerà un suo leit motiv, e cioè all’amore dell’artista sconosciuto inizialmente respinto, e al dramma vero del suo amore per l’attrice irlandese Harriet Smithson, che da principio non lo degnò neanche di uno sguardo, salvo poi cedere all’assedio, diventarne la sua prima moglie e compensarlo di tutte le nequizie di un matrimonio impossibile. Scritta nel 1829, la Sinfonia fantastica è un poema in cinque movimenti, che rappresentano altrettante fasi di quell’idea fissa della donna amata, oggetto di un desiderio impossibile. Dunque sogni, passioni, fantasticherie, deliri, furori, gelosie, compresa la marcia verso il patibolo per averla uccisa, e la quiete finale in una calma religiosa.   Antonio Pappano ha diretto l’orchestra romana con la sua consueta energia, sposando la precisone e la sensibilità, per restituirci ogni minima variazione, ogni immagine e ogni pensiero di questo diario in musica dell’emozione di un cuore in tormento, e farci riscoprire la perfetta simmetria e la coerenza dell’insieme che Robert Schumann colse, per primo dietro, l’apparente mancanza di forma.

Marina Valensise
(17 ottobre 2019)

La locandina

Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Antonio Pappano
Pianoforte Evgeny Kissin
Programma:
Hector Berlioz
Benvenuto Cellini: Ouverture
Franz Liszt
Concerto per pianoforte n. 2
Hector Berlioz
Sinfonia fantastica

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