Michele Mariotti: Idomeneo, opera rivoluzionaria
L’8 novembre, per 5 recite, torna a distanza di oltre trentasei anni in una coproduzione con il Teatro Real di Madrid, Den Kongelige Opera di Copenhagen e la Canadian Opera Company di Toronto. La regia è di Robert Carsen, il protagonista sarà Charles Workman e suo figlio Idamante è affidato alla voce del tenore Joel Prieto – nel 1983 era un contralto Claire Powell a dare voce al giovane principe cretese – Ilia è Rosa Feola e per la recita del 14 novembre Adriana Ferfecka; Elettra la mozartiana Miah Persson, Arbace sarà Alessandro Luciano, il Gran Sacerdote Oliver Johnston, mentre un giovane artista di “Fabbrica” Andreii Ganchuk sarà una voce. L’Anteprima del 6 novembre è come sempre riservata ai giovani minori di 26 anni.
Abbiamo incontrato Michele Mariotti, direttore di questa seconda produzione di Idomeneo al Teatro Costanzi che segna il suo debutto a Roma.
- Maestro Mariotti Idomeneo è l’ultima opera giovanile o la prima della maturità del compositore salisburghese? Fu composta tra dicembre 1780 e gennaio 1781, Mozart aveva solo dieci anni da vivere ma in questi anni darà alla storia della musica un patrimonio inestimabile.
Penso che Idomeneo è la prima opera che ha creato un prima e un dopo; è un’opera moderna rivoluzionaria, tant’è che questa lettura di Carsen che si serve del tema della guerra, del mare che accoglie e divide, lancia un messaggio di pace accusando la violenza e la prepotenza dei regimi militari, ecco tutti questi elementi evidenziano che quest’opera ha lasciato un segno indelebile e tutte le opere successive si sono confrontate con Idomeneo. È un’opera che unisce l’antico e il nuovo; un’opera di grande impronta gluckiana. I recitativi meravigliosi hanno un peso drammaturgico musicale e teatrale.
- L’anno seguente 1782 Mozart scrisse Die Entfuhrung aus dem Serail, su libretto in tedesco questa volta, è forse un passo avanti rispetto ad Idomeneo sull’italianità di Mozart?
Secondo me già c’è in incubatrice; lo si sente… lo si sente nel peso che ha la parola poi certo sta a noi interpreti lavorare su questo individuando il focus creando una tensione, un arco verso una pausa: è il lavoro basilare che si fa durante le prove di sala.
- Per questa produzione avete preferito l’edizione viennese del 1786, con la parte di Idamante trascritta per tenore. C’è molta differenza tra le due versioni?
Sono due versioni… non posso dire una sia migliore dell’altra… sono completamente diverse, meravigliose entrambe. La scelta del tenore perde in colore, in calore ma acquista in forza espressiva. Drammaturgicamente risulta più forte il confronto tra le due voci maschili: è una sorta di confronto con l’altro sé stesso, il legame di sangue tra padre e figlio esce più evidente.
- Elettra?
Straordinaria e schizofrenica: è l’unico personaggio a cui Mozart affida un momento di gioia. Le arie di Ilia, per esempio, esprimono dolore malinconia speranza che nascono da un seme di sofferenza. La prima e la terza aria di Elettra sono arie di furore, mentre l’aria alla fine del secondo atto è l’unico momento in cui un personaggio respira, un’aria vezzosa delicata; Elettra qui è felice. È davvero singolare che l’unico personaggio che qui esprime felicità e gioia, in realtà è proprio la furibonda figlia di Agamennone, Elettra.
- Elettra mi fa pensare a Donna Elvira; chissà se Mozart quando ha messo in musica la nobildonna spagnola innamorata di Don Giovanni non si sia ricordato della sventurata figlia dell’Atride, anche ella respinta dal suo amato.
Io la assocerei a Donna Elvira per i contenuti; in entrambe vive questo immenso dolore di non riuscire a odiare chi si ama. Vorrebbero fortemente detestare gli uomini dei quali sono innamorate, ma non ci riescono.
- In Idomeneo ci sono marce, danze e il Coro ha una parte importantissima da tragedia greca…
Il Coro ha una parte beethoveniana… una potenza… il Coro stupisce… il Coro si fa l’eterna domanda: Il reo qual è? E lo ripete tre volte perché invano si cerca il responsabile; dico invano perché il responsabile dobbiamo trovarlo in noi stessi. Il “mostro” in questa nostra produzione è la guerra e che cos’è la guerra se non che l’uomo stesso. Le danze non verranno eseguite per la scelta registica di usare un linguaggio moderno. Le marce invece assumono in questo contesto un contenuto non festoso ma inquieto. Infatti le eseguirò creando un suono algido, senza vibrato un suono freddo tagliente: in scena ci sono soldati che portano i rifugiati. La danza del terzo atto prelude ad un sacrificio, un omicidio che poi non avverrà ma il significato, il colore è quello. Quella lama di inquietudine dove la morte è presente.
- Lei ha già diretto nove anni fa Idomeneo a Bologna e a Modena. Ora, ad un’età più matura, cosa vuol dire riprendere in mano la partitura di Mozart?
É un inizio, un’opera studiata di nuovo rivista con occhi diversi. Diversi perché io sono diverso, nove anni nella mia vita nella mia carriera hanno portato cose nuove. Poi cambiano gli interpreti, i protagonisti; cambiamo noi.
Annarita Caroli
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