Roma: è politico l’Idomeneo di Carsen
Un cielo plumbeo e un mare livido proiettati su uno schermo lungo tutto il palcoscenico, una spiaggia ferrosa e a separarli un recinto di ferro al quale s’aggrappa, immobile, la massa di prigionieri troiani, infreddoliti nei loro piumini variopinti e disperati come i migranti che sbarcano dal Mediterraneo sulle nostre coste e che figurano in carne ed ossa come comparse selezionate fra i rifugiati della Comunità di Sant’Egidio per un programma di inserzione sociale.
Si apre così al Teatro Costanzi l’Idomeneo re di Creta di Wolfgang Amadeus Mozart tornato in scena 33 anni dopo la leggendaria rappresentazione diretta da Peter Maag con la regia di Luciano Damiani. E sin dalle prime note dell’Ouverture, tutto lascia pensare che anche stavolta per quest’edizione romana (in cinque repliche dall’8 al 16 novembre) coprodotta col Teatro Real di Madrid e dalla Canadian Opera Company di Toronto, si parlerà di leggenda.
A dirigere il primo capolavoro di Mozart, ispirato alla tragedia di Crébillon e composto nel 1781 per il principe elettore Carl Theodor di Baviera da un genio ventiquattrenne in via di emancipazione dal padre tiranno e dall’arcivescovo Colloredo, è stato chiamato un prodigioso specialista di Rossini e del belcanto come Michele Mariotti.
Al suo debutto romano, il più talentuoso fra i giovani direttori d’orchestra, grande carriera internazionale, Premio Abbiati 2016, ha ripreso in mano la partitura dell’Idomeneo, che aveva già diretto nove anni fa, ripartendo da zero. Lavorando sui dettagli e sulla costruzione del suono con i maestri e con il coro dell’orchestra romana, Mariotti è riuscito a scavare nell’infinità varietà timbrica del contrappunto utilizzato da Mozart per gli strumenti dell’orchestra.
Ha saputo ricreare il flusso continuo e l’intensità emotiva di un’opera potente e premonitrice, esaltando gli accompagnamenti ora sincopati, ora piangenti di una lettura mobile, inquieta, tagliente, piena di venature tragiche per dire i rapporti tra vincitori e vinti, dominatori e prigionieri, dove i momenti di dolcezza si susseguono ai momenti di grande violenza. “La presenza del mare è totalizzante, il mare è sempre in movimento, unisce e divide, accoglie, e allontana” ha spiegato Mariotti convergendo in pieno “in nome del senso della musica” con la lettura attualizzante di Robert Carsen.
Il regista canadese in primavera aveva portato al Costanzi l’Orfeo e Euridice di Gluck con un allestimento di estrema purezza, tutta giocata su un’assoluta economia di mezzi. Per quest’opera rivoluzionaria di Mozart che all’insegna della riforma di Gluck cambia la forma del teatro musicale, resta fedele allo stesso criterio, insistendo però su un messaggio contemporaneo, che non deforma l’originale, ma ne rivela le potenzialità.
Dunque esalta fino allo spasimo lo scontro generazionali, insistendo sul dramma psicologico che contrappone un padre al figlio, e cioè da un lato il vecchio re di Creta Idomeneo (superlativamente interpretato dall’americano Charles Workman), il grande generale che torna in patria dopo dieci anni di guerra, salvandosi dal naufragio dopo aver giurato di sacrificare al dio Nettuno il primo che incontra; dall’altro suo figlio Idamante (ruolo affiato magnifico tenore argentino Joel Preto, secondo l’edizione di Vienna 1786, e non di Monaco che invece prevedeva un castrato e dunque un mezzosoprano) il giovane erede al trono e vittima sacrificale designata, che invece è un pacifista, innamorato della troiana Ilia (una struggente Rosa Feola), la figlia di Priamo, nemica dei Greci e prigioniera dei Cretesi, da lui stesso liberata.
Da qui la tensione inesorabile della partitura di quest’opera seria, altamente tragica anche se a lieto fine, e di una regia ansimante, dove il colore del cielo e del mare, grazie alle luci meravigliose di Peter Van Praet) cambia impercettibilmente come in un video di Bill Viola per seguire il mutare delle passioni dell’animo: l’incertezza di Ilia, nemica liberata ma prigioniera d’amore, pronta a immolarsi al posto di Idamante, il pacifismo ragionevole di Arbace (un convincente Alessandro Luciano), la furia nevrotica di Elettra (una non indimenticabile Miah Persson) la figlia bellicista di Agamennone innamorata senza speranze di Idamante, al quale riserva i suoi strali “Tutta la Grecia oltraggi e tu proteggi il nemico”.
E poi lo smacco finale di Idomeneo, che si strugge davanti al sacrificio del figlio, esita davanti alla fermezza di Ilia, si piega al verdetto divino, come Abramo pronto a immolare Isacco, o come Iefte pronto a sacrificare la figlia Masfra, salvo fermarsi in extremis per l’intervento del deus ex machina Nettuno, che tuona d’improvviso come una voce fuori campo per decretarne l’abdicazione a favore del figlio, con qualche perdonabile incongruità per il trionfo della tolleranza e della ragione, che per un sovrano illuminato della Baviera coincideva con la religione cattolica.
Marina Valensise
(8 novembre 2019)
La locandina
Direttore | Michele Mariotti |
Regia | Robert Carsen |
Scene | Robert Carsen e Luis Carvalho |
Costumi | Luis Carvalho |
Luci | Robert Carsen e Peter Van Praet |
Movimenti coreografici | Marco Berriel |
Video | Will Duke |
Personaggi e interpreti: | |
Idomeneo | Charles Workman |
Idamante | Joel Prieto |
Ilia | Rosa Feola |
Elettra | Miah Persson |
Arbace | Alessandro Luciano |
Gran sacerdote | Oliver Johnston |
Una voce | Andrii Ganchuck |
Maestro del coro | Roberto Gabbiani |
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma |
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