Bergamo un Gala tra filtri e veleni
Filtri d’amore e vino – che in questa occasione talora coincidono – , con aggiunta di veleno, sono il Leitmotiv del Gala che ha inaugurato il Festival Donizetti Opera 2019.
Alla testa dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, che torna al Sociale di Bergamo dopo il concerto dello scorso anno, Riccardo Frizza si conferma ancora una volta non solo come bacchetta dal solido mestiere ma direttore che negli anni è andato affinandosi per sensibilità interpretativa, soprattutto nel suo repertorio d’elezione.
Ad aprire il programma – decisamente ben concepito – la Sinfonia della Luisa Miller, opera che si conclude con un doppio avvelenamento e la morte dei due sfortunati amanti protagonisti, alla quale Frizza impone un ritmo serrato che si scioglie a tratti in morbide riflessioni timbriche.
Florian Sempey dà subito dopo voce e corpo ad un Figaro – che è un “avvelenatore” di menti – esuberante e guascone il giusto, il tutto con bella proiezione di voce, destreggiandosi benissimo nell’immortale Cavatina.
L’overture da Le philtre, opera di Daniel Auber che precede di un anno l’Elisir d’amore e con cui condivide il medesimo soggetto – Felice Romani trasse il suo libretto da quello di Scribe – è risolta da Frizza con la dovuta leggerezza, condita per l’occasione con un pizzico di ironia che non guasta e introduce due pagine tratte dalla cugina italiana.
Alessandro Corbelli – che ancora una volta incarna una lezione vivente di canto e stile – veste i panni Dulcamara con classe inarrivabile spacciando prima l’elisir-bordeaux a Nemorino per confrontarsi poi con le astuzie femminili di Adina.
In “Ardir” Ha forse il ciel” Corbelli-Dulcamara, sempre meravigliosamente a tempo e padrone di un gesto scenico di perfetta misura, inganna bonariamente Konu Kim, che seppur perfettibile nella pronuncia italiana disegna un Nemorino deliziosamente adolescenziale, sicuro nello squillo e padrone di un fraseggio appropriato.
Più difficile, se non impossibile, da abbindolare è l’Adina di Marta Torbidoni che, forte di una verve ben calibrata e di una linea di canto limpidissima, tiene testa al ciarlatano venditore d’elisir in un vivace “Quanto amore…”, in cui l’elemento elegiaco-malinconico si fonde perfettamente con la vena più squisitamente brillante che pervade la musica.
L’atmosfera cambia con Anna Bolena – qui il veleno è quello dell’inganno e del tradimento – con Frizza a restituire all’ascolto la Sinfonia con concitata urgenza, esaltandone la componente ritmica e optando per agogiche stringenti.
Nel grande duetto Anna-Seymour “Sul tuo capo aggravi un Dio” giganteggiano Marta Torbidoni nei panni della Bolena e Carmela Remigio in quelli della rivale Giovanna, dando vita ad uno scontro di tigri che si scioglie in un soave “Va infelice” cui risponde il disperato “Ah peggiore è il tuo perdono”. Le due primedonne rivelano grande carattere e bella complementarietà delle voci.
Ad aprire la seconda parte il Preludio di Tristan und Isolde – qui il filtro d’amore coincide con quello di morte – reso più con meditata introspezione che non con sensualità. L’orchestra qui trova la sua dimensione ideale nell’ampiezza delle arcate e nel respiro che le concede una pagina confacente alla sua estetica.
Konu Kim canta una bellissima “Furtiva lagrima” tutta in voce, dimostrando la capacità di plasmare la linea di canto a morbidezze suadenti.
Nella Fausta l’imperatrice incestuosa muore suggendo il veleno contenuto nell’anello sottratto al figliastro Crispo; peccato che la Sinfonia – aggiunta da Donizetti per la ripresa milanese dell’opera – sia musicalmente parecchio debole, ancorché divertente con gli ottoni che sanno più di Tirolo che di Roma. Frizza, con intelligenza, non fa nulla per migliorarla e il pubblico si gode l’aspetto trash del Cigno di Bergamo.
Assai bella, di contro, l’aria “Amarli, e nel martoro”dalla poco rappresentata in tempi moderni Imelda de’Lambertazzi – morta avvelenata succhiando il sangue dalla ferita dell’amato Bonifacio – che dà modo a Marta Torbidoni di esibire un canto tutto sul fiato e una mutevole varietà di accenti, il tutto a dar vita ad un personaggio del tutto credibile nei suoi tormenti.
L’Hamlet di Daniel Auber chiude il concerto: dopo la Marche danoise, deliziosamente boulevardier, Florian Sempey canta i couplets di “O vin, dissipe la tristesse” con straordinaria partecipazione, oltre che con squillo perentorio.
Successo pieno – ancora una volta tanti giovani tra il pubblico; buon segno – e bis con il Finale dell’Elisir.
Alessandro Cammarano
(14 novembre 2109)
La locandina
Direttore | Riccardo Frizza |
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI | |
Soprano | Carmela Remigio |
Soprano | Marta Torbidoni |
Tenore | Konu Kim |
Baritono | Alessandro Corbelli |
Baritono | Florian Sempey |
Programma: | |
Giuseppe Verdi | Luisa Miller, Sinfonia |
Gioachino Rossini | “Largo al factotum” da Il barbiere di Siviglia |
Daniel Auber | Le philtre, Ouverture |
Gaetano Donizetti | “Ardir” Ha forse il ciel” da L’elisir d’amore |
“Quanto amore…” da L’elisir d’amore | |
Anna Bolena, Sinfonia – “Sul tuo capo aggravi un Dio” | |
Richard Wagner | Tristan und Isolde, Preludio |
Gaetano Donizetti | “Una furtiva lagrima” da L’elisir d’amore |
Fausta, Sinfonia | |
“Amarli, e nel martoro” da Imelda de’ Lambertazzi | |
Ambroise Thomas | Hamlet, “Marche Danoise” – “O vin, dissipe la tristesse” |
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