Bergamo: Pietro il Grande, psichedelico kzar delle Russie
Dal baule del giovane Donizetti riemerge un’altra perla, magari non perfettamente sferica e forse con qualche asperità ma comunque figlia di un’ostrica che già mostra il suo talento.
Pietro il Grande kzar delle Russie è la seconda opera del catalogo donizettiano e l’influenza di Rossini è più che marcata, del resto da chi un compositore ventenne avrebbe dovuto trarre ispirazione?
La zampata del genio in erba è comunque qua e là presente e, se i caratteri buffi – primo tra tutti il magistrato Cuccupis – sono più vicini a Bartolo o a Don Magnifico che non a Dulcamara, ci sono personaggi già profondamente forgiati – si veda Madama Fritz – nella vena di meditazione malinconica del Donizetti che verrà.
Interessante è il libretto di Gherardo Bevilacqua Aldobrandini, ricco di citazioni metastasiane e con qualche strizzata d’occhio al Da Ponte, il cui punto focale è la clemenza di un sovrano illuminato, il tutto nello spirito libertario ed egualitario post Rivoluzione Francese.
Il ventenne compositore si lascia coinvolgere e ci mette del suo e veste la vicenda fatta di amori contrastati, agnizioni e soprattutto di giustizia giusta, con una musica, come si diceva poc’anzi, acerba a tratti ma ricca di spunti.
L’allestimento del Donizetti Opera, sempre più festival, segna una serie di debutti fortunatissimi a cominciare da quello nella regia d’opera di Ondadurto Teatro – ovvero Marco Paciotti e Lorenzo Pasquali – che fin ora si è occupato di spettacoli di tutt’altro genere realizzati in aree metropolitane scegliendo spazi “alternativi”.
A giudicare dal risultato i sembrerebbe che i due registi romani – che sono anche autori delle scene in costante divenire e dei macchinari che compongono e scompongono gli spazi – non abbiano mai fatto altro che regie d’opera tanto i loro tempi teatrali coincidono con quelli della musica, procedendo in perfetta sintonia.
Grazie anche ai costumi, bellissimi e ben costruiti nella loro varietà di materiali, realizzati da K.B. Project, la vicenda è calata in una sorta di affabulante circo psichedelico fatto di proiezioni vagamente lisergiche e colori e forme geometriche che ricordano le animazioni di Yellow Submarine e The Wall ma anche i quadri di Kandinskij e delle avanguardie sovietiche, il tutto in un gioco in continua evoluzione – ben illuminato dal disegno di luci di Marco Alba – che trascina in una dimensione di fantasia incredibilmente reale.
Altro debutto è quello dell’Orchestra Gli Originali, creatura del Festival che suona su strumenti storici e accorda a un meraviglioso e appropriato diapason a 431 – filologico e assai comodo per i cantanti –; il suono è tornito, l’intonazione costante, il colore fascinoso. Ad maiora!
Rinaldo Alessandrini crede fino in fondo all’operazione e rende lo spirito giovanile – e anche le ingenuità dell’impaginato – con perfetta scelta di tempi e soluzioni ritmiche e dinamiche volte a coniugare rigore e fantasia, concertando in punta di cesello in una ricerca costante di colori e atmosfere.
Nei panni dell’eroe eponimo si fa ben valere Roberto De Candia, capace di tratteggiare un Pietro mutevole nei sentimenti – delineati in un fraseggio impeccabile – e saldo nella linea di canto. La voce corre sicura e intonatissima e il gesto scenico è sempre autorevole.
Paola Gardina è Madama Fritz, la locandiera generosa che rinuncerà all’amore per senso di giustizia e per bontà, che è resa con vocalità rigogliosa e attenzione assoluta alla parola, oltre che con una recitazione totalmente aderente al dettato registico e priva di ogni eccesso superfluo.
Carlo Skavronski – il falegname in realtà fratello della zarina Caterina e cognato di Pietro – è appannaggio di Francisco Brito, che ancora una volta si dimostra belcantista di livello, dando vita ad un personaggio vocalmente assai ben tratteggiato, forte di acuti saldi e di accenti sempre ricercati.
Nina Solodovnikova è Annetta – promessa sposa di Carlo e figlia del cosacco ribelle Mazeppa, arcinemico di Pietro – disegnata con musicalità e discreta cura del fraseggio.
Divertentissimo il Ser Cuccupis – giudice assai ben disposto all’adulazione dei forti a dispetto dei deboli – di Marco Filippo Romano, che si conferma degno erede dei grandi “buffi” italiani, capace di essere comico senza mai scadere nel ridicolo.
Marcello Nardis, cantante intelligente, dà voce e corpo a Hondedisky – capitano degli Strelizi e de facto nonno di Belcore – con dirompente presenza scenica e canto sempre ben calibrato.
La zarina Caterina è risolta con gusto da Loriana Castellano, che si disimpegna benissimo nell’unica aria – “Pace una volta e calma” – a lei assegnata.
Completano il cast il bravo Tommaso Barea nei panni dell’untuoso e donbasiliesco usuraio Firman-Trombest e Stefano Gentili come Notaio.
Ottima la prova del Coro Donizetti Opera, giovane e agguerrito, diretto da Fabio Tartari.
Il pubblico dell’Anteprima Under30 – che bello vedere tanti ragazzini un po’ caciaroni ma entusiasti a teatro! – gradisce parecchio, si diverte e applaude.
Alessandro Cammarano
(12 novembre 2019)
La locandina
Direttore | Rinaldo Alessandrini |
Regia, macchinari e scene | Ondadurto Teatro – Marco Paciotti e Lorenzo Pasquali |
Costumi | K.B. Project |
Lighting design | Marco Alba |
Assistente alla regia | Adriana Laespada |
Personaggi e interpreti: | |
Pietro il Grande | Roberto De Candia |
Caterina | Loriana Castellano |
Madama Fritz | Paola Gardina |
Annetta Mazepa | Nina Solodovnikova |
Carlo Scavronski | Francisco Brito |
Ser Cuccupis | Marco Filippo Romano |
Firman-Trombest | Tommaso Barea |
Hondedisky | Marcello Nardis |
Notaio | Stefano Gentili |
Orchestra Gli Originali | |
Coro Donizetti Opera | |
Maestro del coro | Fabio Tartari |
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