Dortmund: Babayan porta il suo Festival al Konzerthaus

Dal 12 al 17 novembre si è tenuto presso il Konzerthaus di Dortmund un breve ma denso Festival Babayan. Il pianista armeno ha infatti curato una settimana di appuntamenti tra amici ed ex allievi. Il 12 novembre si è esibito con Martha Argerich a due pianoforti, il 13 con Daniil Trifonov e la Mahler Chamber Orchestra, il 14 in colloquio con Raphael von Hoensbroech sulla propria esperienza e sui programmi della rassegna, il 15 in un concerto per pianoforte solo dedicato a Mozart e autori contemporanei, il 16 con Sergey Kachatryan e Misha Maisky, il 17 con Valery Gergiev e l’Orchestra del Marinsky. Solo da quest’ultima data, in cui doveva eseguire il Terzo Concerto di Rachmaninov, il pianista si è dovuto ritirare per ragioni di salute: il freddo tedesco e, suppongo, la comprensibile stanchezza dovuta alla sovraesposizione sul palco hanno infine avuto la meglio. Ma il concerto si tiene lo stesso: a calcare le scene al suo posto lo stesso Kachatryan con il Primo Concerto per violino di Shostakovich. Giusto perché ce l’aveva sotto mano e l’orchestra non necessita di prove evidentemente. Ma immagino che per l’Orchestra del Marinsky e Gergiev il Primo per violino di Shostakovich sia un po’ come Traviata per la Fenice.

La recensione di oggi riguarda il penultimo concerto di questo forsennato festival. Forsennato anche per la difficoltà dei repertori: Sergey Babayan non ha risparmiato le sue forze e basta guardare il concerto con Trifonov (Andante e Variazioni per due pianoforti di Schumann, Doppio Concerto di Mozart e Doppio di Bach con la Mahler Chamber Orchestra e, per non farsi mancare niente, entrambe le Suite di Rachmaninov di fila) per comprendere il tenore dei programmi. Con Kachatryan e Maisky il programma prevedeva altrettanti capolavori: Sonata per violoncello e pianoforte e Secondo Trio di Shostakovich in prima parte, Sonata per violino e pianoforte KV454 di Mozart e Primo Trio di Mendelssohn in seconda. Chi ha avuto la fortuna di esserci noterà una struttura affine ai concerti che Maisky tenne nelle tournée del 2018 con Janine Jansen e Martha Argerich, con la Seconda Sonata per violoncello e pianoforte di Beethoven al posto di quella di Shostakovich e la Prima per violino e pianoforte di Schumann al posto di quella di Mozart: la memoria dell’incredibile concerto di Roma è ancora forte. Ma confrontare i due appuntamenti, vista la diversità degli artisti, Misha Maisky escluso, non ha pressoché alcun senso (e ciononostante un po’ lo faremo comunque).

Proprio Maisky non era nelle sue serate migliori, complice forse una certa secchezza atmosferica che non ha aiutato con il suo violoncello e gli ha richiesto una forza considerevole per raggiungere il suo abituale e ampio suono. Non c’è da sorprendersi dunque che nel quarto tempo del Trio di Shostakovich, in uno slancio di tallone, sotto l’arco sia improvvisamente saltata una corda. Ma il risultato, nel restante concerto, è stato dei più notevoli. C’è qualcosa nel fraseggio di Maisky che sembra opporre un netto rifiuto a qualsiasi squadrata rigidità. Nella Sonata di Shostakovich la libertà del violoncellista lettone è stata anche eccessiva, ma ha mostrato quanta espressività e varietà di suono si possano trarre dalla musica di Shostakovich, al di fuori di ogni retorica di sovietica freddezza e ben supportato dal suono di Babayan. Il suono è la caratteristica che più sorprende di Sergey Babayan. Il pianista armeno dà spesso una certa idea di pesantezza, le agilità non appaiono mai veramente libere e invano cercheremo il trascendentale virtuosismo del suo celebre allievo Trifonov, ma senza dubbio capiamo da dove Trifonov abbia preso la sua caratteristica più notevole, ossia il totale controllo sul suono. Ciò che Babayan realizza alla tastiera è un pianismo che è quasi riduttivo definire orchestrale. La sua abilità nel trovare diverse sonorità, confondendo il registro grave fino al rumore più indistinto o elevando il registro acuto fino alla più candida purezza, si è spesso sposato alla perfezione con la fantasia di Maisky, nonostante ogni tanto si percepisse una minore attenzione al gioco cameristico dovuta alle, ci posso scommettere, pochissime prove. Aggiungete a questo particolare duo il suono portentoso di Kachatryan e si comprenderà la meravigliosa esibizione del Trio di Shostakovich. Non ho trovato qui gli incredibili archi tensivi del concerto romano con Argerich e Jansen, che mi hanno tenuto spasmodicamente aggrappato alla poltrona, ma il livello di dettaglio raggiunto aveva un che di sorprendente: la tendenza di Babayan e Maisky era quella di contemplare le diverse situazioni timbriche ed espressive, trovandovi una specificità di attacco, di dinamica, di timbro, ma questa tendenza veniva stemperata dall’energia di Kachatryan, riuscendo così a trovare un equilibrio.

Kachatryan è stato poi il protagonista della Sonata mozartiana, affrontata con gusto, morbidezza ed echi quasi operistici, perfettamente all’unisono con il candore del suono di Babayan, che ha raggiunto un détaché in alcune volate veramente sublime. Solo la mano sinistra di Babayan, unita ad un eccesso di pedalizzazione probabilmente per compensare l’acustica asciutta del Konzerthaus, ha un po’ appesantito una Sonata altrimenti eseguita magistralmente. A concludere il concerto trionfalmente, il Trio di Mendelssohn, eseguito con slancio appassionato, e se anche Maisky iniziava a mostrare i primi segni di stanchezza, tutti i musicisti hanno condotto magnificamente il brano, soprattutto Babayan considerando la difficoltà del brano e la stanchezza accumulata nel corso del Festival. In Mendelssohn il trio e ha saputo variare notevolmente il proprio carattere, dalle scure sonorità pienamente romantiche del primo tempo alla dolce cantabilità del secondo, in cui ancora il candore del suono di Babayan, la tenerezza del fraseggio di Kachatryan e l’espressività del vibrato di Maisky hanno consegnato alcuni dei momenti più alti dell’intero concerto, per poi lanciarsi verso un rapido e guizzante Scherzo, anche qui meno slancio e più contemplazione delle sonorità, e concludere con uno splendido Finale, inusualmente perentorio. Sala in piedi per una standing ovation ai tre artisti.

Alessandro Tommasi
(16 novembre 2019)

La locandina

Violino Sergey Khachatryan
Violoncello Mischa Maisky
Pianoforte Sergei Babayan
Programma:
Dmitri Shostakovich
Sonata per violoncello e pianoforte in re minore op.40
Trio per pianoforte n. 2 in mi minore Op. 67 »In memoriam Ivan Sollertinski«
Wolfgang Amadeus Mozart
Sonata per pianoforte e violino in si bemolle maggiore KV 454
Felix Mendelssohn Bartholdy
Trio per pianoforte n. 1 in re minore op.49

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