Russia a Verona
La musica russa ha necessariamente bisogno di interpreti russi? A rigor di logica, la risposta a questa domanda è negativa, perché accade che la lontananza geografica e culturale fra creatore ed esecutore non sia per nulla una controindicazione, e veda nascere risultati interpretativi straordinari. Eppure, molto più di quanto non accada per la musica francese, o italiana, o anche tedesca, esiste in quella russa una specificità di pensiero e di sensibilità che porta molti appassionati a ritenere che la “questione nazionale” in questo caso abbia un senso dal quale è difficile prescindere. Del resto, gli stessi interpreti russi di oggi – le orchestre soprattutto – poco o nulla fanno per contraddire questa tesi. Da quando ha per direttore stabile Yuri Termirkanov, ad esempio, e fanno vent’anni giusti, ogni qual volta la Filarmonica di San Pietroburgo si è presentata al Filarmonico di Verona per il Settembre dell’Accademia (ed è una presenza particolarmente frequente) non solo non ha mai tralasciato di proporre qualche compositore russo, ma il più delle volte ad essi si è limitata (si fa per dire, ovviamente). Sporadica, praticamente eccezionale la presenza di “estranei”: in sei concerti, una volta Schumann, un’altra Beethoven e poi basta.
Anche quest’anno, la San Pietroburgo ha rispettato la regola: giunta martedì 12 settembre a Verona per il terzo concerto del Settembre dell’Accademia al teatro Filarmonico, è rigorosamente rimasta dentro ai confini nazionali, visto che la serata comprendeva il Concerto per pianoforte di Cajkovskij nella prima parte e il poema sinfonico Shéhérazade di Rimskij-Korsakov nella seconda. L’unico sconfinamento si è avuto al bis, per il quale Temirkanov ha scelto una notissima pagina dell’inglese Edward Elgar, Salut d’amour.
Interamente russo, peraltro , era anche il programma del concerto successivo, che ha visto domenica scorsa salire sul palcoscenico veronese l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai: Secondo Concerto per pianoforte di Rachmaninov e Quarta Sinfonia di Cajkovskij. In questo caso, la presenza russa era garantita dal direttore Semion Bychkov e del pianista Kirill Gerstein: musicisti che si sono formati in madrepatria, certo, ma che ben presto l’hanno lasciata e sono oggi cosmopoliti e in certo modo “occidentali”. D’altra parte, anche Temirkanov qualcosa all’Occidente l’aveva concesso, chiamando al ruolo di solista nel Concerto di Cajkovskij un grande talento emergente del pianoforte italiano, la giovanissima Beatrice Rana.
Suggestivi incroci, occasione non frequente per un “chiarimento” proveniente dall’immediatezza dell’ascolto: la musica russa ha davvero bisogno di interpreti russi?
La Filarmonica di San Pietroburgo e Temirkanov sono l’una il prolungamento dell’altro, magnifico frutto della loro lunga e feconda collaborazione. Il gesto minimale del direttore caucasico ha una funzionalità e un’efficacia che l’orchestra recepisce con immediatezza esemplare, senza mai perdere l’equilibrio, la compattezza, la tinta. Quest’ultima è affascinante specialmente nelle sezioni degli archi, morbida, ambrata, duttile: ideale per il fantasioso “racconto musicale” di Shéhérazade, condotto con una cura dei dettagli che esemplifica il massimo livello artistico della routine. Quanto alla grandiosa retorica sinfonica che attraversa il Concerto di Cajkovskij e rimbalza dalla parte solistica a quella orchestrale, Temirkanov e i suoi non perdono mai il senso di poetica rapsodicità che appartiene al più occidentale degli autori russi, così innamorato della forma classica. Beatrice Rana ne è pienamente consapevole e non si arrischia giustamente fuori da quest’alveo: evita di esagerare sia nella ricerca del suono che nella tensione del fraseggio e porta a termine un’interpretazione insieme estroversa e meditabonda, capace di cesellare la dolcezza melodica che attraversa lo straordinario Andantino come pure di scolpire le virtuosistiche ottave che sono le pietre angolari del primo e dell’ultimo movimento, con tecnica sicura, energica, precisa.
Se in Cajkovskij non serve esagerare, in Rachmaninov per il solista è quasi un obbligo. Solo così si può sperare di uscire dai seducenti lacci della maniera post-romantica di questo autore amato e sopravvalutato (almeno a giudicare dalla sua invidiabile preponderanza nel repertorio). Nell’affrontare domenica il secondo Concerto a fianco della Sinfonica Rai, Kirill Gerstein ha dato l’idea del maratoneta che sa bene quando bisogna spingere, per arrivare in fondo senza andare in difficoltà. È partito con circospezione, un po’ al risparmio, attento all’equilibrio ma non certo propenso all’exploit espressivo, con un fraseggio un po’ bloccato, un colore di generica eleganza. E poi, quando è stato il momento dell’Allegro scherzando conclusivo, ha regalato sorprese per la trascinante energia, la capacità di portare il discorso sopra le righe in una retorica alta e avvincente, nella quale il sentimentalismo si brucia al fuoco del virtuosismo senza lasciare scorie e regala il piacere del puro effetto. “Russicità” mediata ed elaborata, se non proprio superata; per vie diverse, in fondo lo stesso risultato raggiunto da Beatrice Rana.
Quanto alla Sinfonica Rai, il suono è in generale più chiaro e aperto della San Pietroburgo, tagliente negli archi, senza certe morbidezze un po’ ruffiane, ma la musicalità e l’omogeneità sono comunque di alto livello. Anche perché Bychkov conduce sulla Quarta di Cajkovskij un discorso assai meditato, per nulla incline a concessioni esteriori, che ottiene risultati di grande intensità specialmente nell’Andantino in modo di canzona (secondo movimento) e nello straordinario Pizzicato ostinato (terzo movimento), genialissima invenzione musicale resa con virtuosistiche sfumature. Un Cajkovskij “occidentalizzato”, che trae vantaggio dall’asciuttezza della tinta per attenuare quanto di “pompier” irresistibilmente emerge
nel primo e nell’ultimo movimento.
Accoglienze molto calorose, da parte di un teatro invariabilmente al gran completo. Addirittura, applausi ritmati per Gerstein, che non si è distaccato da Rachmaninov per il suo bis solistico (Melodia dai Pezzi di Fantasia op. 5). Quanto a Bychkov, un legame con Temirkanov è emerso nel bis orchestrale: di nuovo Elgar, questa volta il popolare Nimrod dalle Variazioni Enigma.
Cesare Galla
La locandina
Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo | |
Yuri Temirkanov | Direttore |
Beatrice Rana | Pianoforte |
Musiche di P.I. Čajkovskij, N.A. Rimskij-Korsakov | |
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai | |
Semyon Bychkov | Direttore |
Kirill Gerstein | Pianoforte |
Musiche di S.V. Rachmaninov, P.I. Čajkovskij |
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