Amsterdam: Andris Nelsons e il Prometeo

È dal 2009 che la musicologa Anna Gawboy e il lighting designer Justin Townsend lavorano per portare (letteralmente) alla luce il Prometeo di Skrjabin.

La complessa partitura prevede infatti, oltre a pianoforte, coro e grande orchestra, una tastiera di luce, sperimentale strumento con cui il compositore russo cercava di avvicinarsi al proprio ideale di unione tra suono e colore. La parte per tastiera di luce è purtroppo molto legata ai limiti tecnologici del 1910, limiti che ostacolarono l’idea di Skrjabin al punto che la première del 1911 fu realizzata senza di essa e tutt’ora la rivoluzionaria composizione viene eseguita prevalentemente senza luci. Esistono però degli appunti del 1913 di Skrjabin, quasi sconosciuti, in cui l’autore ha elaborato una versione ‘ideale’ della parte di luce, svincolata da ogni contingenza tecnologica.

Questi appunti hanno fatto da base per il Prometeo eseguito durante il concerto del 19 gennaio al Concertgebouw di Amsterdam. La Concertgebouworkest diretta da Andris Nelsons si è cimentata con un programma dedicato a Prometeo e al concetto di eroe, un concerto inserito nel filone Uomo e Mito che caratterizza la stagione 2019/20.

In programma Ouverture e una selezione di brani dal balletto Le creature di Prometeo op. 43 di Beethoven, Dramatis personae per tromba e orchestra di Brett Dean (del 2013, in prima esecuzione olandese) e per concludere Prometeo, Le poème du feu op. 60 di Aleksandr Skrjabin. Alla tromba Håkan Hardenberger e al pianoforte Pierre-Laurent Aimard.

Energia e freschezza hanno caratterizzato il Prometeo beethoveniano di Nelsons, che fin dall’Ouverture ha saputo calibrare un gesto deciso con una richiesta di levigatezza che si è ben sposata con la tipica sonorità dell’orchestra olandese. Sotto la sua bacchetta si è percepito tutto il carattere teatrale della composizione, con piccoli tentennamenti e dettagli di agogica a sottolineare la scena immaginaria, senza mai spezzare il filo del discorso. Molto ben realizzata la dicotomia nei due brani centrali (Poco adagio, Allegro con brio e Adagio, Allegro molto, entrambi dal primo atto), condotti fino alla cordiale esuberanza del Finale, in cui fa capolino il tema reso celebre dalla Terza Sinfonia. Un Beethoven, quello di Nelsons, di vera, olimpica serenità.

Completamente diverso l’approccio con Dramatis personae di Brett Dean. Il brano è sostanzialmente un concerto per tromba e orchestra, costruito come rappresentazione del dramma di un supereroe (che per pessimismo e sarcasmo è di ispirazione DC ben più che Marvel). Il primo movimento, Fall of a Superhero contrappone l’eroe (il solista) all’imponente avversario (l’orchestra), uno scontro dalla forte tensione espressiva e che si risolve imprevedibilmente nella sconfitta dell’eroe, sconfitta che arriva sul sospeso e dubbioso finale. Il secondo movimento è un Soliloquy in cui l’eroe riflette (sulla propria disfatta?) in un movimento di statica e malinconica contemplazione. Se nel terzo movimento si rappresentasse la rivincita dell’eroe, tutti torneremmo a casa con il cuore gonfio di ottimismo per un luminoso futuro, ma è proprio qui che emerge il lato DC Comics: l’ultimo tempo, The Accidental Revolutionary, ispirato a Tempi moderni di Chaplin, mette in scena una comicità grottesca non scevra di un amaro sarcasmo. Il film di Chaplin vorrebbe il protagonista frainteso come istigatore di una manifestazione comunista, ma letto alla luce dei due movimenti precedenti resta il sospetto che The Accidental Revolutionary rappresenti più il tentativo dell’eroe di tornare a far parte di qualcosa di grande, di riaffermare le glorie passate, causando involontariamente una parata (rappresentata in musica dal graduale affermarsi di una comica marcetta nel finale) e venendo infine travolto egli stesso dalla folla. Non a caso il solista tornerà a sedersi con le altre trombe per il finale, vedendosi negato il proprio ruolo di protagonista. Da questa descrizione si potrà intendere che c’è tanto teatro, forse anche troppo, e non sempre ben connesso con la sostanza musicale, nonostante l’ottima esecuzione di Hardenberger, dedicatario e primo esecutore di Dramatis personae, e della RCO con Nelsons. La teatrale gestualità si mantiene però troppo spesso in superficie, senza riuscire a cogliere veramente il senso di tensione e affanno nello scontro iniziale, la perdita di speranza nel Soliloquy o il tono comico del terzo. Proprio nel terzo, la comparsa della buffa marcetta è così in contrasto con il linguaggio timbrico precedente da poter raggiungere vette paradossali, non sufficientemente messe in luce da compositore e, in questo caso, esecutori. D’altronde viene anche da chiedersi se l’autore abbia effettivamente pensato ad una consequenzialità nei tre movimenti o se si tratti di tre figure completamente distinte. Un’ulteriore riflessione riguarda la presenza del brano nel programma: senza dubbio la tematica dell’eroe si inseriva concettualmente bene nel tema del concerto, ma vista la specificità del percorso Uomo e Mito avrebbe avuto più coerenza il Prometeo di Liszt. Il focus dell’intero concerto, dopotutto, sarebbe stato il Prometeo di Skrjabin nella seconda parte del concerto, anche per attenzione mediatica e dispiegamento di mezzi musicali e tecnologici, e Dramatis personae di Dean è apparso così un po’ sacrificato.

Il Poema del fuoco di Skrjabin è stato un vero trionfo: un’intesa magnifica si è trovata tra il solista Aimard, Nelsons, la Concertgebouworkest e il Netherlands Radio Choir diretto da Klaas Stok. La costruzione delle raffinate sonorità skrjabiniane è stata condotta da Nelsons con una pienezza e rotondità su cui si stagliava il suono limpido e nitido di Aimard, una contrapposizione decisamente adatta al carattere programmatico del brano. Un po’ sottodimensionato il coro, che sì, partecipa in piccola parte, ma è fondamentale per l’esplosivo finale, in cui è rimasto spesso pesantemente sommerso dalla densa massa orchestrale. Esperienza magnifica è stata vedere tutta la Grote Zaal del Concertgebouw tingersi dei colori di Skrjabin, quei colori che Skrjabin non poté chiedere nel suo concerto con la Concertgebouworkest diretta da Mengelberg nel 1912. Da quell’anno ad oggi, il Prometeo non è più stato affrontato dall’orchestra olandese e a noi resta il chiederci cosa avrebbe pensato Skrjabin nell’osservare il Concertgebouw tingersi dei suoi colori, con un grande sole-orologio sull’organo (ispirato alla tastiera di luce sviluppata da Mozer nel 1910 e oggi presente presso la casa del compositore a Mosca) e tutto il ricco apparato luminoso della sala in azione. L’effetto è travolgente: l’immersività dell’unione suono-luce è massima e il rapporto tra le due componenti è simbiotico.

L’evoluzione drammatica del capolavoro di Skrjabin diventa improvvisamente molto più chiara quando il rosso inonda improvvisamente il palco, minaccioso, o il blu elettrico sorregge un’irreale sospensione del tempo, in una vera sinfonia di colori che si dirige ad ondate sempre più imponenti fino all’accecante bagliore conclusivo. Grandioso finale che non ha mancato di conquistare il pubblico: ovazioni e standing ovation all’olandese (ossia di rito ad ogni concerto), con commento entusiasta della signora al mio fianco che constata allegramente quanto del suono-luce di Skrjabin abbia trovato nel concerto dei Pink Floyd visto in gioventù.

Alessandro Tommasi
(19 gennaio 2020)

La locandina

Direttore Andris Nelsons
Tromba Håkan Hardenberger
Pianoforte Pierre_Laurent Aimard
Concertgebouworkest
Netherlands Radio Choir
Maestro del coro Klaas Stok
Programma:
Ludwig van Beethoven Die Geschöpfe des Prometheus
Brett Dean Dramatis personae
Alexander Skrjabin Prometheus

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