Vicenza: in Brahms Lonquich chiama e la OTO risponde
Il secondo Concerto per pianoforte e orchestra di Brahms «presenta subito, ad apertura di libro, una somma di problemi tecnico-musicali di tale portata da scoraggiare fin dal principio chi non abbia la coscienza di possedere spalle molto e molto robuste». Piero Rattalino, il maggiore esperto della letteratura pianistica in Italia, la mette giù piatta. E conclude che si tratta del Concerto più difficile del repertorio. Una sfida da far tremare le vene e i polsi. Soprattutto i polsi, se così si può dire, visto che la scrittura per lo strumento solista, in questo straordinario capolavoro, impone la padronanza di un virtuosismo niente affatto esteriore eppure tanto arduo quanto faticoso.
Qualcosa che Alfred Brendel, uno dei massimi pianisti del nostro tempo (lo cita sempre Rattalino) non esitava a definire “aberrazioni pianistiche”. E si può aggiungere che altrettanto complessa e forse persino più determinante è la scrittura orchestrale, che si può tranquillamente definire sinfonica, da un lato, ma presenta dall’altro una sottigliezza strumentale forse senza precedenti nel genere, che in qualche momento relega la tastiera a un ruolo secondario per lasciare spazio libero a una poesia timbrica intimistica eppure di ammaliante eloquenza, che passa dal violoncello agli strumenti a fiato quasi in una logica cameristica.
Queste cose Alexander Lonquich le sa benissimo. Anzi, pochi come lui sono in grado di vedere il problema in tutte le sue sfaccettature, essendo egli sia un pianista di nobile lignaggio che un talentuosissimo direttore d’orchestra.
Se dunque il musicista tedesco ha deciso di lanciare l’Orchestra del Teatro Olimpico nella sfida del Secondo Concerto brahmsiano è perché, come fanno i migliori allenatori, ha deciso che era giunto il momento di alzare l’asticella, come suole dirsi. E tanto per non cercare alibi e non offrirne a nessuno dei suoi, ha chiamato per la parte solistica un altro giovane, il trentaquattrenne pianista beneventano Vincenzo Maltempo.
Dopodiché, tanto per chiarire a chi ancora nutrisse qualche dubbio il senso dell’operazione, ha aggiunto un altro “carico” alla serata, completandone il programma sempre nel nome di Brahms, con la Terza Sinfonia.
Il senso e la portata della sfida si può cogliere meglio rammentando quali autori solo poche settimane fa i ragazzi della OTO avessero affrontato: il Mozart di un Concerto per volino, Schubert non ancora diciottenne (Sinfonia n. 2), lo Stravinskij rarefatto che inaugura le astrazioni moderniste e le parodie neoclassiche con Pulcinella (QUI la recensione). Non è questione di fare classifiche: semplicemente altri mondi, altre dimensioni sonore, altre necessità espressive.
Il confronto rende chiaro, insomma, che in questo inizio di 2020 l’orchestra giovanile vicentina sta compiendo un’esperienza straordinaria: esattamente come accade nelle grandi istituzioni stabili, deve passare da un’epoca all’altra, da uno stile all’altro. Cambiare panorami musicali, affrontare “salite” che richiedano un impegno complesso e sempre diverso.
Alle prese con il Secondo Concerto, la OTO ha dimostrato la già ben nota eccellenza delle sezioni di fiati e ottoni. Precisione, dolente eleganza e grande qualità nel colore hanno contrassegnato un’esecuzione meditabonda e tersa, che Lonquich ha guidato cercando e trovando un fraseggio duttile, introspettivo.
Sugli scudi, poi, il primo violoncello Jacopo Di Tonno, che è anche il maestro preparatore della sezione e che ha sostenuto il ruolo quasi solistico che compete al suo strumento nel cuore del Concerto, il dolcissimo Andante, giustamente trovando rispondenze, più che nel pianoforte, nel dialogo con clarinetto, flauto e oboe.
Vincenzo Maltempo può vantare, nonostante la giovane età, una certa consuetudine con il capolavoro brahmsiano, la cui esecuzione ha già consegnato anche a un’incisione discografica.
Nella sua prova si è apprezzata la sobrietà mai disgiunta dall’intima energia che percorre tutta la partitura, la capacità di illuminare scorci di poesia, specialmente nel terzo e nel quarto movimento, la tensione, a tratti non del tutto precisa ma sempre incisiva, con cui sono stati sbalzati il maestoso Allegro non troppo iniziale e il vivace Scherzo che funge da secondo movimento.
Nell’insieme, qualche discontinuità e un impegno sempre assistito da una meditata musicalità. La stessa messa in evidenza nel bis richiesto con grandi applausi e ripetute chiamate a proscenio dal pubblico che affollava il Teatro Comunale di Vicenza, uno dei Valzer schubertiani rivisitati da Liszt a mo’ di Capriccio.
Nella seconda parte, spazio a una Terza Sinfonia inevitabilmente “alleggerita” dai limiti di organico nelle sezioni degli archi, che hanno saggiamente indotto Lonquich a privilegiare una lettura lontana dai turgori anche esagerati della scuola esecutiva tardo-romantica, per puntare sulla qualità del suono dei violini, sulla duttilità dei violoncelli, sulla ribadita serata di grazia dei fiati.
Ciò che si è perso in profondità di suono si è guadagnato in nitidezza di espressione, secondo un’eleganza pensierosa e tutta interiore, che ha sottolineato le parentele espressive fra Concerto e Sinfonia.
Alla fine, pubblico in tripudio.
Cesare Galla
(3 febbraio 2020)
La locandina
Direttore | Alexander Lonquich |
Pianoforte | Vincenzo Maltempo |
Orchestra del Teatro Olimpico | |
Programma: | |
Johannes Brahms | Concerto n. 2 in Si bemolle maggiore per pianoforte e orchestra Op. 83 |
Sinfonia n. 3 in Fa maggiore per orchestra Op. 90 |
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