Karine Deshayes, «In Italia c’è più audacia nell’affrontare questa crisi»
Mentre in Italia si vota per il rinnovo del direttivo di Assolirica, l’Associazione nazionale che da cinque anni raggruppa gli artisti italiani della lirica, i cugini di Francia hanno da poco creato UNiSSON, un’associazione gemella che ha già il suo sito e le sue reti di contatti virtuali – unisson.contact@gmail.com, Instagram @UNiSSON_asso, Facebook UNiSSON Association – e che raccoglie, dall’inizio della quarantena, il francese confinement, l’inquietudine del mondo dello spettacolo e le ripetute e sempre più numerose richieste d’aiuto da parte degli artisti in difficoltà. Una lettera aperta al Premier Macron firmata fra gli altri da Ludovic Tézier e Roberto Alagna, Karine Deshayes e Philippe Jaroussky, e pubblicata il 15 marzo scorso, ha aperto le danze; la seconda mossa è stata, appunto, la creazione di UNiSSON che raggruppa già circa duecento “artistes lyriques domiciliés en France”, artisti lirici, cioè, che hanno domicilio in Francia e vorrebbe espandersi a “tous les artistes indépendants de la musique classique à plus long terme”, tutti gli artisti indipendenti della musica classica in termini più generali.
In un comunicato pubblicato il 14 aprile sui suoi profili Twitter e Facebook, il collettivo dei cantanti francesi ha reso note le inquietudini della categoria sul proprio futuro e ha chiesto l’aiuto dello Stato. «La realtà del nostro mestiere è ben lontana dall’immagine dorata che il pubblico immagina e la crisi sanitaria e le sue ricadute rischiano di portarci a un colpo fatale per il nostro avvenire» hanno denunciato.
“La nostra missione – è detto, del resto, sul sito di UNiSSON – è quella di rappresentare la nostra professione in tutte le sue sfaccettature, in modo di poter parlare a una voce sola in caso di assemblee, riunioni o dibattiti che abbiano come oggetto l’evoluzione del nostro mestiere”.
Karine Deshayes, il mezzosoprano di Rueil-Malmaison, nel dipartimento dell’Hauts-de-Seine nella regione dell’Île-de-France, che raggiungiamo telefonicamente a Parigi, dove risiede e dove spesso l’abbiamo ammirata sui palcoscenici della Ville Lumiére, è uno dei membri più attivi di UNiSSON, «pur non essendone – tende subito a precisare –la porta-parola».
Reduce dall’impegno di una masterclass, «sono due anni che mi dedico anche a questo, mi piace aiutare i giovani dopo ventitré anni di carriera», Karine è «molto contenta di questa iniziativa, i cantanti sono solisti e svolgono la propria attività in modo solitario. UNiSSON ci dà l’occasione, in tempo di crisi, di raggrupparci e confrontarci, di darci soprattutto un aiuto giuridico nello svolgimento della nostra professione. È uno spazio di dialogo e di scambio che ci avvicina tutti, grandi e piccoli, noti e meno noti. Agli artisti i teatri francesi non propongono le stesse cose, in questo momento in cui tutti abbiamo visto cancellate le rappresentazioni cui avremmo dovuto partecipare. Alcuni di essi non ci hanno nemmeno risposto. UNiSSON è quindi anche uno spszio d’informazione e di chiarimento per l’artista su come proseguire la propria carriera e affrontare questa situazione d’emergenza dopo la quale niente sarà come prima.».
La situazione francese è diversa da quella italiana? «I teatri francesi sono strutture a statuto diverso, difficile districarsi fra le proposte che da loro arrivano alle nostre agenzie. È per questa ragione che da qualche tempo abbiamo chiesto la consulenza di un avvocato che ci aiuti e ci traduca in termini semplici i testi e le convenzioni che i teatri propongono e che sono molto diversi gli uni dagli altri. Spesso, nella mia ingenuità in materia, ho pensato che in Francia ci fossero i Teatri nazionali, come Parigi, Lione, Nancy, che ricevono l’aiuto dello Stato, e gli altri. Ma la situazione è molto più complessa.».
In Italia i segnali di ripresa sono molteplici, i teatri stanno per riaprirsi e trasferiscono le loro attività en plein air: Ravenna sta per inaugurare la sua rassegna estiva alla Rocca Brancaleone, Macerata e Martina Franca hanno annunciato programmazioni ridotte, all’Arena di Verona si è rimandato il Festival già programmato e lo si sostituisce con una serie di concerti di qualità. E in Francia?
«Per il momento i teatri sono tutti chiusi. Posso dirle che a fine giugno ho in programma un recital con pianoforte a Bordeaux, quindi è da lì che si ricomincerà. Ci vorrà però del tempo prima che i teatri riprendano a pieno regime.».
Quest’estate lei farà il suo debutto a Pesaro e Rossini e il suo autore d’elezione dopo i tanti Barbiere di Siviglia, Cenerentola, Donna del lago e, più recentemente, Semiramide affrontati…
«Ne sono davvero felice. In Italia c’è più audacia nell’affrontare questa crisi e più energia nella ripresa. A Pesaro era in programma un nuovo allestimento di Elisabetta, regina d’Inghilterra che avrebbe segnato il mio esordio nel titolo e al Rossini Opera Festival. La produzione slitta all’anno prossimo, ma il 19 agosto in Piazza del Popolo terrò un concerto con orchestra. La prima parte sarà, naturalmente, tutta rossiniana, la seconda la dedicherò a Bellini e Donizetti con l’aggiunta, essendo io francese, di un’aria da La Reine de Saba di Charles Gounod che mi sembra stilisticamente in linea con quanto mi proponeva il Festival. È un’opera di Gounod poco conosciuta che ho affrontato di recente in forma di concerto all’Opéra di Marsiglia, dove è in programma, la stagione prossima, un’altra rarità, L’Africaine di Meyerbeer, questa volta in forma scenica.».
Che ricordi ha delle sue precedenti esibizioni in Italia?
«Non so perché ma in Italia sono venuta pochissimo e tanti, tanti anni fa con l’Orchestra di Budapest diretta da Ivan Fischer. Facevamo il repertorio contemporaneo e alla Scala l’esecuzione fu accolta tra risate e fischi. Milano non ha la tradizione contemporanea di Venezia, e si può capire la reazione del pubblico alle nuove proposte. Direi che quest’estate a Pesaro farò il mio vero debutto in Italia, e non potevo augurarmi sede più bella e importante.».
I suoi inizi sono stati all’Opéra di Lione dove ha fatto parte della troupe per diversi anni. È stata un’esperienza positiva? «Positivissima. Nella troupe di Lione sono entrata fresca degli studi al Conservatoire National de Musique et de Danse di Parigi, dove ho seguito i corsi del soprano Mireille Alcantara e mi sono diplomata. Prima però avevo iniziato come violinista, e avevo ottenuto una Licence de Musicologie alla Sorbona. A Lione la troupe di giovani cantanti è prevista dallo statuto del teatro ed è una buona cosa per un’artista agli inizi. Nei teatri francesi la troupe è molto diversa da quelli dell’area tedesca, dove vige il regime di repertorio e si va in scena ogni sera con poche prove e facendo ogni genere di opera e ogni tipo di ruolo. La troupe da noi è una sicurezza per chi comincia. Per quattro anni sei stipendiato dalla municipalità e partecipi alla vita del teatro sia che tu sia inserito nelle sue produzioni, sia che tu assista alle prove e alle rappresentazioni che sono in cartellone. Non sei in una prigione, come molti giovani credono, perché il teatro ti lascia libero di fare le tue esperienze altrove. Io, personalmente, ricordo di aver fatto, all’epoca, molti concerti di musica barocca e di essermi cimentata con la musica contemporanea collaborando con Arcal. Avevamo a disposizione i pianisti e i professori di canto del teatro, eravamo seguiti nella preparazione delle opere italiane da un musicista italiano, Paolo Longo che lei ben conosce. Insomma, eravamo un investimento per il teatro che ci ospitava, prima di cominciare la vera carriera e, quindi prima di cominciare a guadagnare.».
Quindi?
«E’ un’esperienza che consiglierei a tutti i giovani artisti, che in questa fase critica, sono la mia grande preoccupazione.».
Rino Alessi
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