Simone Piazzola: «importante dimostrare riconoscenza per chi ci ha sostenuto e aiutato.»
Veronese, classe 1985, Simone Piazzola è oggi uno dei baritoni più affermati della lirica internazionale. La sua personalità, mite e gentile, si è fatta notare presso il popolo di Facebook per il commosso omaggio che ha dedicato sul suo profilo, alla sua insegnante, il soprano Alda Borelli Morgan, da poco scomparsa. Con lei ha iniziato a studiare a undici anni: «Sono cresciuto con lei. – ci racconta al telefono da Verona – Ho smesso di seguirla dopo Simon Boccanegra della Fenice, quindi nella stagione 2013/2014. Lo avevamo preparato assieme. Poi, per motivi di salute, la mia Maestra si è ritirata dall’insegnamento e ho cominciato a seguire Giacomo Prestia, il basso, che ha un metodo di studio molto simile al suo.».
Alda Borelli Morgan, racconta Simone «era una persona molto buona. Nell’insegnamento dava l’anima, non si fermava all’ora di lezione come fanno certi maestri oggi in voga che, scattata l’ora, si fermano e chi s’è visto, s’è visto. E poi era brava nel creare delle occasioni per fare abituare l’allievo al contatto con il pubblico. Ogni tot numero di lezioni ti portava a cantare in piccoli circoli lirici del mantovano, o all’Università della Terza età dove, tu allievo, cominciavi a prendere dimestichezza con il mestiere.».
Più che lezioni di canto, quelle di Alda Borelli Morgan erano lezioni di vita, pare di capire: «Sì, certo, per me era una specie di nonna che mi dava consigli anche nella mia vita privata. Da Verona la raggiungevo a Mantova, dove viveva, e ho percorso i quarantotto chilometri che dividono le due città, prima in bicicletta, poi in motorino, poi in macchina, quando ho avuto l’età per guidare. Mi fermavo da lei dalla mattina alla sera. La mia Maestra mi esortava ad ascoltare anche le lezioni degli altri che passavano da lei. S’impara di più ascoltando i difetti degli altri che facendo lezione, mi ripeteva. E aveva ragione…».
Alda Borelli Morgan ha avuto una bella carriera… «Ha cantato un po’ con tutti i grandi della sua epoca, con Del Monaco, con Protti. Ha iniziato negli anni Quaranta del secolo scorso, poi ha ripreso nel 1965: nel frattempo c’era stata la guerra. Ha tenuto a battesimo artisti più giovani, Martinucci, per esempio, che all’inizio si presentava al pubblico come Lino Martinucci. O, fra i baritoni, Antonio Salvadori che accanto a lei cantò il suo primo Simon Boccanegra. Siete molto simili, mi diceva, bella voce entrambi, e tutti e due belli cicciotti… Quando andai da lei la prima volta la mia era ancora una voce infantile, ma ero tenore, non una voce bianca. Diventerai baritono, mi diceva. La muta arrivò fra i tredici e i quattordici anni. In una notte ho cambiato voce ed ero baritono, come la Maestra aveva previsto. Avevo i centri, ma non gli acuti. Per ricostruire la mia voce abbiamo fatto uno studio tecnico molto approfondito e la prima cosa che mi ha fatto cantare è stata l’aria di Leporello dal Don Giovanni di Mozart, “Madamina, il catalogo è questo”. Poi, la voce ha preso sempre più corpo.».
Alda Borelli Morgan ha anche il merito di aver convinto suo nipote, Ferruccio Furlanetto, a studiare il canto lirico… «Sì, Ferruccio era attratto dalla musica leggera. E’ stata sua zia a convincerlo a farsi ascoltare da Ettore Campogalliani con cui lei aveva studiato. Campogalliani l’ascoltò e gli disse, con un re basso così devi per forza fare carriera. Ed è diventato il cantante che è.».
Ha intenzione di fare qualcosa per ricordare la sua insegnante? «Sì, a un mese dalla scomparsa è mia intenzione radunare i suoi allievi più significativi, per un concerto alla sua memoria che stiamo organizzando con il figlio, a Mantova dove Alda Borelli Morgan ha sempre vissuto. Tante voci sono passate da lei. Mi viene in mente Fiorella Burato, che sto tentando di trovare per coinvolgerla. Con noi ci sarà sicuramente Giacomo Prestia che ha preso le redini degli insegnamenti che lei mi dava. Non sarà facile organizzare il tutto per i controlli sanitari necessari nell’attività teatrale in questa fase di Coronavirus.».
Quanto ha inciso la pandemia nella sua attività di cantante? «A fine febbraio ho fatto due recite di Attila a Sidney e poi sono rimasto fermo. Riprenderò il 25 luglio prossimo in Arena con “Il cuore italiano della Musica”, il concerto tutto italiano che aprirà la stagione veronese dove sarò anche nel 2021 con Aida e La Traviata. Per un veronese è una bella soddisfazione. Poi, ci sarà un concerto a Padova e uno al Festival di Bassano del Grappa. Ho perso tutti i contratti che avevo già firmato e vedremo se saranno recuperati. E’ doloroso constatare quanto la nostra arte non è riconosciuta da chi ci governa. A Verona, senza l’Arena, hanno finalmente scoperto che il turismo non c’è.».
Il suo canto è apprezzato non solo per la bellezza del colore, ma per la lunghezza dei suoi fiati… «Non dico di averli lunghi come Piero Cappuccilli, che si allenava facendo apnea sott’acqua, da bravo amante del mare, ma certo ho una gabbia toracica ben sviluppata e polmoni grandi, questo aiuta. Quest’anno sono sedici di carriera, e avendone trentacinque, posso dirmi abbastanza soddisfatto. A diciotto ero all’Opera di Roma, facevo Marullo in un Rigoletto che fu portato in tournée in Giappone. Subito dopo mi scritturarono per La Traviata e l’estate scorsa in Arena ho festeggiato la mia centottantesima recita di Germont con il pubblico che mi chiedeva il bis dell’aria tutte le quattro sere che ho partecipato all’ultimo spettacolo di Zeffirelli. Nel 2007, a ventitré anni, vinsi il Concorso di Spoleto per il Conte di Luna e per prepararmi al debutto nel Trovatore trovai Renato Bruson che, nel 1967, alla stessa età, vinse lo stesso concorso sempre per Il Trovatore. Debuttai nello stesso allestimento che era stato utilizzato per il suo debutto, delle scenografie dipinte bellissime, la regia era di Dolcini e nel cast c’eravamo Agresta, Caré, Simeoni ed io, dirigeva Carlo Palleschi. Dopo avermi ascoltato, Bruson telefonò ad Alessandro Ariosi per dirgli di venirmi ad ascoltare, e lo stesso fece Leo Nucci, anche lui uscito dal Concorso di Spoleto, quando gli capitò di ascoltare una recita di quel Trovatore. La collaborazione con il mio agente è cominciata così.».
La crisi pandemica ha fatto perdere a Simone Piazzola la sua amata insegnante e l’ha fatto aumentare di dieci chili… «Ora li perderò rapidamente, rimettendomi in movimento. Pian piano stiamo ricominciando e, dopo il successo ottenuto a Vienna, ho in progetto di riprendere Simon Boccanegra in un teatro italiano, e Un ballo in maschera in forma di concerto in vari teatri europei con una sosta a Parigi al Théâtre des Champs-Elysées. Poi c’è un sogno da realizzare, debuttare finalmente nel personaggio di Macbeth, ma senza fretta…».
In un’epoca che sembra aver perso questo sentimento, lei si dedica alla riconoscenza… «Credo che sia importante, nella vita, dimostrare riconoscenza per chi ci ha sostenuto e aiutato. Sì, non mi vergogno a dimostrarla, anzi mi fa sentire meglio in questo momento di grande tristezza.».
Rino Alessi
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