Venezia: Eccessivo il dolor quand’egli è muto – Cefalo e Procri. Un dittico a metà.

L’idea di un dittico che abbia per tema centrale il tradimento, con il corollario dell’incomprensione e dell’inganno, è decisamente interessante a patto che il tutto venga condito con un pizzico, giusto un po’, di sana e sacrosanta ironia.

Le due composizioni scelte stanno in realtà assai bene insieme proprio per il loro non saper sorridere di loro stesse.

Eccessivo il dolor quand’egli è muto (2017), di Silvia Colasanti, deriva da un’altra pagina della compositrice, Quel che resta, in cui viene interpolato il sublime Lamento di Procri tratto dagli Amori di Apollo e di Dafne di Francesco Cavalli, su testo sublime del Busenello.

La musica originale della Colasanti presenta elementi di sicuro interesse, primo tra i quali una linea melodica accattivante che si sviluppa su giochi ritmici sapientemente organizzati; peccato che sembri contemporanea all’opera-miniatura di Krenek, che porta la data del 1934. Impercorribile il parallelo con Cavalli, la cui forza drammatica e la teatralità straordinaria emerge con prepotenza ad ogni nota e frase. Un esperimento riuscito a metà, più o meno.

Il Cefalo e Procri di Ernst Krenek, invece, è brutta e basta; tanto sbilenca da non sembrare neppure di Krenek. Complice l’improponibile libretto di Rinaldo Küpferle, stucchevolmente manierato e poeticamente sbilenco, le vicende dei due sposi non trovano la sintesi probabilmente ricercata dall’autore, incontrando invece una mera giustapposizione di scene risolte con frettolosa approssimazione. Gli scontri fra Aurora e Diana, veri motori della vicenda, sono tristemente derubricati a zabettamenti da cortile. L’atonalità andrebbe poi maneggiata con cautela, soprattutto nel trattare le parti vocali; qui invece Krenek sembra andare un po’ a tentoni sulla via di una sperimentazione forse non così sentita. Non stupisce che dopo la Prima veneziana del ‘34 Cefalo e Procri si sia inabissata negli oceani dell’oblio: Crono tende a rimettere le cose a posto.

Non brilla neppure l’allestimento di Valentino Villa, regista teatrale al suo debutto all’opera, che sfrutta poco il bellissimo impianto scenico di Massimo Checchetto cui si aggiungono gli appropriati costumi di Carlos Tieppo. L’idea di un’azione collocata su due piani differenti, uno ristretto e dalla connotazione calligrafica per i mortali e l’altro, grandiosamente asettico riservato agli dei, sarebbe di per sé interessante, ma Villa non imprime al gesto scenico la giusta incisività lasciando tutto a galleggiare in un Limbo ricco di simboli che restano tali così come l’idea di Morality Play.

Del tutto convincente, per fortuna, l’esecuzione musicale. Tito Ceccherini concerta con bella duttilità cui unisce con intelligenza un certo qual distacco critico che si evidenzia in particolare in Krenek, mentre rende il lavoro di Colasanti-Cavalli con slancio partecipato.

Silvia Frigato si conferma interprete di vaglia, dando voce e corpo alla doppia Procri, facendosi apprezzare soprattutto nel Lamento che risolve con fraseggio variegato ed attenzione assoluta alla parola.

Bene anche Leonardo Cortellazzi, Cefalo smargiasso e insieme fragile, che padroneggia con classe una tessitura acutissima e William Corrò, Crono autorevole e cantato benissimo.

Autentico mezzosoprano Francesca Ascioti è Diana dai mezzi vocali autorevoli e ben variegata negli accenti, mentre Cristina Baggio, Aurora, esce trionfatrice dallo scontro con una scrittura ingrata come poche.

Applausi cortesi.

Alessandro Cammarano

(Venezia, 3 ottobre 2017)

La locandina

Eccessivo è il dolor quand’egli è muto
dal Lamento di Procri di Francesco Cavalli
Musica Silvia Colasanti
Procri Silvia Frigato
Cefalo e Procri
Musica Ernst Krenek
Libretto  Rinaldo Küfferle
Cefalo Leonardo Cortellazzi
Crono William Corrò
Procri Silvia Frigato
Aurora Cristina Baggio
Diana Francesca Ascioti
Direttore Tito Ceccherini
Regia Valentino Villa
Scene Massimo Checchetto
Costumi Carlos Tieppo
Orchestra del Teatro La Fenice

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