Ravenna: la sesta edizione dell’Italian Opera Academy di Riccardo Muti
Cavalleria rusticana e Pagliacci, come ha dichiarato Riccardo Muti il 31 luglio al Teatro Alighieri di Ravenna, nel discorso introduttivo al concerto finale della sesta edizione dell’Italian Opera Academy, «sono opere molto popolari che nei decenni successivi alla loro composizione sono state incrostate da abitudini esecutive bruttissime, volgari, che sono poi state sparse nel mondo come espressione della vera italianità. Quando si urla e si strafà, quella viene considerata italianità». L’intento di combattere le tradizioni malsane e recuperare «l’aristocrazia del sentimento popolare» ha mosso Muti verso la scelta delle due opere di Pietro Mascagni e Ruggero Leoncavallo come oggetto del suo insegnamento all’Academy 2020, dopo quattro titoli verdiani (Falstaff, La traviata, Aida e Macbeth) e Le nozze di Figaro di Mozart.
La formula dell’Italian Opera Academy è ormai ben rodata: prima tappa sono le selezioni dei direttori d’orchestra e dei maestri collaboratori che saranno ammessi al corso. Le domande, anche quest’anno, sono state nell’ordine delle centinaia e provenivano da tutto il mondo, ma nel rispetto delle norme anti Covid-19 sono stati prescelti due direttori italiani, Giovanni Conti e Samuele Galeani, una italo-francese, Charlotte Politi, e una italo-brasiliana, Tais Conte Renzetti. La presenza delle donne sul podio all’Academy non fa notizia, è una costante: ciò che interessa a Muti sono le doti degli allievi, non il loro genere. Cinque i maestri collaboratori al pianoforte, destinati a svolgere un lavoro nell’ombra ma fondamentale: senza di loro, la macchina del teatro d’opera non potrebbe funzionare. Dell’insegnamento di Muti hanno usufruito Giorgia Duranti, Sergio Lapedota, Valentina Rando, Irina Riabikova, russa residente in Italia, e Giordana Rubria Fiori.
«Mi sono sentito investito di un compito, quello di trasferire ai giovani il metodo e gli strumenti che hanno permesso a me di arrivare fin qui: credo si debba recuperare la capacità, troppo spesso dimenticata, di concertare, cioè di costruire la regia musicale di un titolo lavorando a fondo con un cantante al pianoforte o ragionando con l’orchestra sulle caratteristiche di una partitura». Dalla prima edizione dell’Academy, queste parole di Riccardo Muti hanno fornito la base per il lavoro comune; anche quest’anno, quindi, per due settimane i nove prescelti hanno provato all’Alighieri con i cantanti, in presenza di uditori e ospiti, sia al pianoforte sia con l’Orchestra giovanile Luigi Cherubini, la creatura di cui Riccardo Muti è giustamente orgoglioso e che ha mostrato durante le sessioni dell’Academy una tenuta d’eccezione.
Il metodo di lavoro che Muti trasmette, infatti, e che possiede anche grazie all’insegnamento di illustri maestri come Antonino Votto, è analitico, minuzioso, sviscera ogni aspetto della partitura e scava in profondità nel rapporto tra parola e musica, con costante attenzione al gesto e alla postura. Le correzioni sono inevitabili, sempre temperate da una battuta spiritosa e sempre nel rispetto della personalità di ciascuno; ma il lavoro di aggiustamento e rifinitura richiede inevitabilmente molte ripetizioni e quindi pazienza, dedizione e una bella scorta di energia. A questo proposito, Muti dopo il concerto finale ha ringraziato sia i cantanti sia la Cherubini che, ha affermato, «oltre a fornire un contributo elevato dal punto di vista artistico è riuscita a trovare sempre, in ogni ripetizione, una ragione in più per aggiungere vitalità all’esecuzione e per percorrere la strada verso la perfezione che la musica richiede, anche se sappiamo che la perfezione non esiste».
È un’opinione che condividiamo appieno, dopo aver seguito le prove. La prestazione dell’Orchestra è stata di alto livello anche nel concerto diretto da Muti il 29 luglio come in quello degli allievi, il 31, sempre al Teatro Alighieri. In programma, sia nell’uno sia nell’altro caso, brani delle due opere oggetto di studio, interpretati da Muti con il magistero che conosciamo e dai quattro direttori con una smagliante evidenza di qualità che nelle prime prove, due settimane prima, in gran parte apparivano ancora in nuce. Effetti di un insegnamento ben impartito.
Nei due concerti hanno dato bella prova di sé i cantanti coinvolti durante tutta la durata dell’Academy: in Pagliacci il soprano Alessia Pintossi, il tenore Azer Zada e i baritoni Serban Vasile e Igor Onishchenko; in Cavalleria rusticana il mezzosoprano Francesca di Sauro, il tenore Matteo Falcier, il contralto Antonella Carpenito, il mezzosoprano Clarissa Leonardi e ancora Zada e Vasile. Oltre a quest’ultimo, vorremmo citare in particolare Francesca Di Sauro tra le partecipazioni più interessanti a questa edizione dell’Academy; è stata una Santuzza dalla voce potente, dal timbro caldo e dall’emissione sapientemente controllata, sicura negli acuti e notevolmente espressiva, ma senza eccessi e sempre con gusto: proprio come Cavalleria e Pagliacci meritano.
Patrizia Luppi
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