Pesaro, la voglia di opera è una Cambiale

La bella Sfera di Arnaldo Pomodoro, che rende particolare il lungomare di Pesaro, non è più oppressa e quasi schiacciata dalla gigantesca, deplorevole giostra panoramica che l’anno scorso era stata montata lì vicino. Effetto delle regole anti-Covid o di un’assennata decisione assunta a prescindere, comunque un ristoro per la vista. Se ci si affaccia alla spiaggia, non sembra che il distanziamento fra gli ombrelloni sia la massima preoccupazione, ma risalendo per la via Rossini fino a piazza del Popolo, sede della maggior parte del programma del Rossini Opera Festival 2020, si vede che l’allestimento della platea sotto le stelle segue regole molto vincolanti, specialmente per il distanziamento tra una fila e l’altra.

Quanto all’ottocentesco teatro intitolato al compositore pesarese – dove sono in programma cinque rappresentazioni de La cambiale di matrimonio, unica nuova produzione di quest’anno – la sensazione nell’entrarci sarebbe da sgomento, se già non lo avessimo assaggiato qua e là, in questa prima parte dell’estate del nostro scontento. In teatri storici al chiuso, come pure in sedi festivaliere all’aperto.

Così, complice la crescente abitudine si mettono a fuoco impressioni più sottili ma non meno inquietanti. E tutte conducono verso una sola, ovvia e inoppugnabile considerazione: il teatro come lo abbiamo conosciuto finora è basato sulla presenza viva del pubblico almeno quanto sulle mirabolanti invenzioni che prendono vita sulla scena. Se il pubblico è sempre contato in poche decine di persone accuratamente distanziate, ci si addentra progressivamente in una dimensione rarefatta e straniante, dentro la quale si perde di vista il “prodotto finito”, il senso dello spettacolo elaborato e concluso e di tutto quello che ha portato ad esso. Si vive in un’atmosfera da prova continua, anche se non si assiste a una prova ma a una rappresentazione messa a punto con tutti i sacri crismi. Dentro a questa vera e propria alterazione percettiva – collegata anche ma non soltanto all’anomalo uso di spazi di solito ben altrimenti agiti e fruiti – si fa strada una nuova idea del teatro e anche della musica: una rivoluzione rispetto alle abitudini nel vedere e nell’ascoltare che avevamo fino a sei mesi fa. Ma più ci si addentra in questo nuovo ordine, più viene da chiedersi se e come avrà senso, quando avverrà (se davvero avverrà), il ritorno alla “normalità”. E quali segni lascerà nell’opera per musica l’esperienza unica di questi tempi.

Fra le molte varianti possibili, l’allestimento per l’emergenza-Covid scelto dal festival pesarese nel proporre la Cambiale ha puntato su una soluzione con la quale ancora non ci era capitato di confrontarci. Si è deciso infatti di chiudere la buca d’orchestra, luogo di pericolose vicinanze fra chi suona, ma di conservare intatto lo spazio del palcoscenico. Orchestra in platea, dunque. Ovviamente, un leggio per ogni esecutore. Ma apparentemente senza svuotare lo spazio delle poltrone, e comunque realizzando una piattaforma sopraelevata, in modo tale che per passare dallo spazio della scena a quello dell’orchestra bastano due gradini. Quel che resta del pubblico si accomoda nei palchetti (siano benedetti i teatri all’italiana!), una persona, massimo due per ciascuno di essi. A cose fatte, la sensazione di ciascuno è che sta assistendo quasi da solo, eccezion fatta per chi occupa i palchetti contigui e per le poche teste che si possono scorgere nella penombra. Almeno metà della ex platea è peraltro vuota: ci sono solo alcune sedie nei pressi di quello che una volta era l’ingresso. Evidentemente, le regole impediscono che un po’ di pubblico si possa accomodare lì.

La vicenda esecutiva della Cambiale al ROF è piuttosto singolare. La prima farsa scritta da un Rossini diciottenne per il veneziano teatro di San Moisè (1810: è il suo secondo lavoro in assoluto) è stata proposta a Pesaro, contando anche la presente edizione, quattro volte in quarant’anni. Nelle altre tre occasioni è sempre andato in scena l’allestimento firmato originariamente nel 1991 da Luigi Squarzina (ripreso in seguito nel 1995 e nel 2006) e quindi quello firmato ora da Laurence Dale, debuttante al festival, è di fatto solo la seconda regia prodotta al festival per questa operina.

Basata su di un efficace libretto di Gaetano Rossi, poeta veronese che avrebbe consegnato al musicista anche i versi di due capolavori come Tancredi (1813) e Semiramide (1823), la farsa racconta la strampalata storia di un commerciante che pensa di ammogliare la figlia a un suo collega cedendogliela come fosse una partita di merce. Il lieto fine è assicurato dal fatto che quest’ultimo, visto che l’affare non può andare in porto, gira la relativa cambiale all’innamorato della fanciulla. Le situazioni sono da commedia grottesca, e le occasioni di schietta comicità sono rare. Piuttosto domina l’ironia e il gusto per l’equivoco paradossale, all’interno del quale si muovono personaggi appena sbozzati.

Dale sceglie la strada di una narrazione senza particolari guizzi comici ma anche senza accentuazioni fuori gusto, all’insegna di un equilibrio che sottolinea il poco di veramente accattivante che la musica del quasi debuttante Rossini riesce a ricavare dal libretto. La scelta più “ardita” è quella di mandare in scena un figurante travestito da orso, simbolo delle terre selvagge da cui proviene Slook, intestatario della cambiale di matrimonio. Il plantigrado è protagonista di qualche gag che può strappare l’ombra di un sorriso. Per il resto, molta corretta maniera.

Lo spettacolo (servito dalle luci ben organizzate di Ralph Kopp) impone così la cifra visuale dell’imponente apparato scenico firmato da Gary McCann (autore anche degli eleganti e fantasiosi costumi), probabilmente costruito pensando anche al fatto che all’inizio dell’anno prossimo è in programma alla Royal Opera House di Muscat nell’Oman, che ne sostiene la coproduzione.

Dall’esterno di una tipica casa londinese di primo Ottocento, l’ambiente, tramite un complesso gioco di elementi scorrevoli, conduce lo spettatore in interni frequentemente differenziati anche su piani diversi, passando dalle cucine al salotto e alle camere dei personaggi, collegate da scale praticabili, sia padronali che di servizio.

Un significativo debutto al ROF era anche quello di Dmitry Korchak sul podio della volenterosa e ben inquadrata Orchestra Sinfonica G. Rossini. Si parla di un tenore dalla carriera importante (a Pesaro di scena in sette occasioni a partire dal 2006), che ha dimostrato come direttore di avere idee chiare e gesto sicuro. Ne è sortita un’interpretazione capace della brillantezza e della tenerezza che ne sono i due poli espressivi dell’acerba partitura, con tempi ben scanditi eppure mai inutilmente precipitosi e fraseggio ben tornito. Puntuale ed equilibrata la definizione del suono, al netto di qualche imprecisione dei corni e tenendo conto dell’insolita collocazione dell’orchestra.

Compagnia di notevole livello, secondo tradizione della casa. Nel ruolo di Tobia Mill, padre della fanciulla contesa, svetta Carlo Lepore, che sfodera ironia e autoironia e magistrale presenza scenica con notevole efficacia vocale. Slook è Iurii Samoilov, che offre una linea di canto piena e ben timbrata, non priva dell’agilità che Rossini riserva in qualche momento alla parte. Fannì è Giuliana Gianfaldoni, giovane soprano tarantino che fa così il suo brillante passaggio dall’Accademia rossiniana (l’anno scorso era stata Corinna nel Viaggio a Reims) a un ruolo da primadonna nel festival principale. Sicura la sua prova nell’ampia Aria “Vorrei spiegarvi il giubilo”, grazie alla duttilità del fraseggio, al colore ben gestito, all’agilità sicura e controllata. Stilisticamente appropriati e musicalmente precisi gli altri: il tenore Davide Giusti (Millfort), il baritono Pablo Gálvez (anch’egli proveniente dall’esperienza dell’Accademia) e il mezzosoprano Martiniana Antonie, la cameriera Clarina.

Lo spettacolo (che debutta l’8 agosto e si replica l’11, 13, 17 e 20 agosto) comprende anche la Cantata Giovanna d’Arco, nella versione con l’accompagnamento pianistico trascritto per orchestra da Salvatore Sciarrino, portata al debutto a Pesaro nel 1989. All’anteprima per la stampa, cui abbiamo assistito, un’indisposizione del mezzosoprano Marianna Pizzolato ne ha impedito l’esecuzione.

Cesare Galla
(6 agosto 2020)

La locandina

Direttore Dmitry Korchak
Regia Laurence Dale
Scene e Costumi Gary McCann
Personaggi e interpreti:
Tobia Mill Carlo Lepore
Fannì Giuliana Gianfaldoni
Edoardo Milfort Davide Giusti
Slook Iurii Samoilov
Norton Pablo Gálvez
Clarina Martiniana Antonie
Orchestra Sinfonica G.Rossini

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