Il Trio Debussy a Mito: una non recensione
Se fossimo nel 1846, la critica che qui scrive avrebbe ricevuto la partitura del Trio op. 17 da Clara Schumann o, più probabilmente, dai suoi editori Breitkopf e Härtel di Lipsia. Avrebbe avuto qualche tempo per leggerla, l’avrebbe messa sotto braccio, andando a metterla alla prova in sala da concerto. O, più probabilmente, avrebbe recensito la partitura stessa.
Nel 2020 i più conoscono il talento di Clara Wieck Schumann, la moglie di Robert. Hanno sentito parlare della sua carriera concertistica stellare, dei loro otto figli, dei problemi mentali del marito. Qualcuno avrà persino letto il loro diario.
Eppure. La “notizia” qui, come scriverebbe il cronista sportivo, è che in questo concerto limpidamente impaginato dal titolo Apparizioni, nell’agone pomeridiano Clara Wieck Schumann sfidava testa a testa niente po’ po’ di meno che Beethoven, col migliore dei suoi Trii, il cosiddetto Trio degli spettri. No, la notizia non è nemmeno il pareggio: 1 a 1.
Ci sarebbero tre punti da chiarire. Il primo è che a Clara Schumann si debba almeno mezza riga di presentazione perché non si può dare per scontato che tutti sappiano chi sia. Il secondo: è un errore di prospettiva giudicare la carriera della signora Schumann con il metro di giudizio di oggi.
Scrive Clara nel 1839, a vent’anni (cinque anni prima di scrivere il Trio): “Una volta credevo di possedere talento creativo, ma ho rinunciato a questa idea; una donna non deve desiderare di comporre; non c’è n’è mai stata una in grado di farlo. Dovrei credere di essere proprio io? Sarebbe un peccato d’orgoglio”. Beh, Clara, siamo felici che tu abbia commesso questo peccato d’orgoglio.
Il terzo è che la musica è un prodotto dello spirito. E forse vale la pena di ricordarlo. Invitiamo cioè, come si fa con la “peer review” delle pubblicazioni scientifiche, a giudicare se una musica sia ben scritta o meno eliminando nomi e cognomi dal frontespizio. Oppure ad ascoltarla ad occhi chiusi: dimenticando chi l’ha composta e quando, chi intende la fattura della musica saprà se è fatta bene o meno bene. Non voglio dimenticare i sentimentali, pure loro con gli occhi chiusi: sapranno se questa musica parla al loro cuore oppure no.
Nessuno sa esattamente come e perché un brano entri in repertorio o no. Nessuno sa la formula magica che conquista per sempre o per un po’ l’anima del pubblico. Nessuno sa come si resiste ai cambiamenti del gusto che muta incessantemente e mentre un decennio si idolatrava Beethoven, quello dopo andavano pazzi per Rossini. Poiché il gusto cambiava in fretta, in passato si smaniava meno per diventare imperituri. Probabilmente Clara non sarebbe neanche stata sfiorata dall’idea che il Trio Debussy, l’8 settembre 2020, avrebbe interpretato la sua opera a Torino.
Detto quindi per inciso: l’”apparizione” nel pezzo di Clara Schumann è Bach. Due i bis: il Tema di Deborah di Morricone (arrangiamento per trio da Antonio Valentino) e il celeberrimo Libertango di Piazzolla, suonato letteralmente col fuoco nelle vene.
Siamo tornati in sala da concerto, già questa è una notizia. Siamo felici di farlo e ancora sorpresi. Non ci siamo ancora del tutto reabituati. Il Trio Debussy, dopo il concerto, sembra davvero soddisfatto, quasi ebbro di gioia. Ha il Trio di Clara in repertorio da tempo immemore e ogni volta sembra stupirsi di quanto sia bello (sebbene scritto “scomodo” per il pianoforte, mi assicura Antonio Valentino). Certo, anche gli “Spettri” di Beethoven funzionano. Eccome. Ma siamo un po’ abituati: sappiamo cosa attenderci, abbiamo delle aspettative nei confronti del brano e degli interpreti, una serie di confronti mentali da fare, dei dischi nello scaffale di casa, e questo pomeriggio otteniamo quello che desideriamo. Come quando ci si siede in poltrona e si beve il proprio vino preferito. Un piacere consolidato.
Ho scelto di recensire questo concerto da camera perché è stato uno dei migliori a cui abbia assistito negli ultimi mesi. Ma anche per sottolineare che la gerarchia di importanza assegnata dalla critica, prima l’opera, poi la musica sinfonica e il concerto solistico e infine la musica da camera è semplicemente inutile. E poi: un dispiacere. Forse tutto un concerto dedicato a Clara Schumann sarebbe considerato un po’ di nicchia, roba da femministe. Un concerto “difficile da vendere”. Forse bisognerebbe avere il coraggio di andare fuori dal seminato, ogni tanto.
Antonio Valentino (pianoforte), Piergiorgio Rosso (violino) e Francesca Gosio (violoncello) suonano assieme dal 1989, è il più longevo trio italiano, tra i pochi ad avere il Triplo di Casella e il Concerto dell’Albatro in repertorio.
Il Trio suona “come un sol uomo”, ovviamente. Collabora da tempo con l’Unione Musicale alla realizzazione di vari progetti, tra cui l’Atelier Giovani e Short Track. Insegnano al Conservatorio di Torino e all’Accademia di musica di Pinerolo. In Piemonte è purtroppo assai popolare una brutta dote: la modestia. Quindi non ve lo diranno, non metteranno i manifesti. Come direbbe l’addetta marketing di una celebre crema spalmabile, invece, il Trio Debussy è un’eccellenza nata in Piemonte. Conviene ricordarselo, ogni tanto. E metterlo nero su bianco.
Benedetta Saglietti
(8 settembre 2020)
*Disclaimer: ascolto e conosco da anni questo Trio. Credo che la critica musicale (anche se questo articolo, volutamente, non lo è) non possa dividere il mondo tra nemici e amici. Se non si dovesse parlare – pena l’indipendenza di giudizio – di interpreti che si conoscono, bene o meno, ai quali ci lega un rapporto di stima reciproca, si finirebbe per smettere immediatamente di scrivere. Ma, si spera, che una critica o un critico ben sappia giudicare quando le sue parole non si mantengono entro una certa oggettività. (B.S.)
La locandina
Trio Debussy | |
Violino | Piergiorgio Rosso |
Violoncello | Francesca Gosio |
Pianoforte | Antonio Valentino |
Programma: | |
Clara Schumann | |
Trio in sol minore op. 17 | |
Ludwig van Beethoven | |
Trio in re maggiore per violino, violoncello e pianoforte op. 70 n. 1 “degli spettri” |
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