Da Costantinopoli a Weimar: l’ultima tournée di Franz Liszt

Parigi, 5 aprile. A Monsieur Donizetti, Costantinopoli.

Dovendo il nostro amico Liszt portarsi presto da Odessa a Costantinopoli, abbiamo voluto che vi trovasse al suo arrivo in codesta città un pianoforte degno del suo talento. Di conseguenza ci siamo presi la libertà di spedirvi tale strumento, che sarà fra 20 giorni a Marsiglia. È a coda, gran modello La-Mi-La, 7 ottave e tre corde, meccanica a doppio scappamento Érard con ogni miglioria, in mogano, ecc. Pregustiamo con voi la sorpresa che proverete nel vedere uno strumento di tale potenza e perfezione. Ci farete una cortesia avvisandone Mr. Liszt non appena sarà giunto a Costantinopoli. Vogliate gradire, ecc.

Sébastien Pierre Érard.

Questo trafiletto, comparso l’11 maggio 1847 sul “Journal de Constantinople”, era pubblicità occulta. Fin da quando la gestiva Sébastien, zio di Pierre, la premiata fabbrica parigina di pianoforti intratteneva un accordo di sponsorizzazione reciproca col più celebre virtuoso del tempo, che solo fra il 1840 e il 1847 si esibì in un migliaio di concerti da Siviglia a Mosca e da Londra a Istanbul; anzi Kostantînīyye come ancora si chiamava ufficialmente. L’ultima tournée lo condusse appunto in quella capitale dell’impero ottomano dove da tempo sognava di mettere piede. Ci riuscì finalmente grazie ai buoni uffici del poeta Lamartine, del gran visir riformista Mustafa Reşid Paşa e di Donizetti-bey, al secolo Giuseppe Donizetti, fratello maggiore di Gaetano.

Giunto a Costantinopoli nel 1828 su invito del sultano Mahmud II, Giuseppe vi si stabilì vita natural durante con la carica di direttore della neo-costituita Scuola Imperiale di Musica (Muzika-i Hümayun Mektebi). Rimpiazzò all’europea la celebre mehterhâne, la banda militare del disciolto corpo dei Giannizzeri; formò orchestre, cori e bande coi paggi di corte e le donne dell’harem, impartì lezioni ai membri della famiglia imperiale, invitò ad esibirsi in Turchia virtuosi di fama internazionale. Insignito dei titoli di colonnello e poi di paşa, nonché di due decorazioni ottomane, morì nel 1856 ed ebbe per successori il parmense Callisto Guatelli e il piemontese Luigi Arditi.

Ogni sultano ambiva a solennizzare le proprie uscite pubbliche con una marcia personale che non era ancora un vero inno nazionale; Donizetti ne compose due: la Mahmudiye marşı nel 1829 e la Mecidiye marşı nel 1839. Interessante notare che la prima (4/4, Fa maggiore, linea melodica in prevalenza per grado congiunto) è ancora improntata al gusto operistico italiano con un incipit curiosamente anticipatore di Giovinezza, giovinezza, mentre nella seconda, in Fa minore, compaiono intervalli più che aumentati, transizioni cromatiche e clausole cadenzali tipiche dello stile arabo-persiano. Pur non convertendosi mai all’Islam, quello che Gaetano chiamava scherzosamente “il mio fratello turco” si mostrò dunque disponibile ad acculturare ed essere inculturato.

Fascino dell’Oriente, ma anche dei ricchi compensi elargiti dal nuovo sultano Abdülmecid, regnante dal 1839 al 1861: un augusto melomane che si dilettava di pianoforte e finanziava di tasca propria una compagnia d’opera alla moda. Al teatro Naum nel sobborgo di Pera (personale italiano, capitale ebraico) Il Trovatore andrà in scena nel novembre 1853, solo dieci mesi dopo la première romana e in anticipo su quelle di Vienna, San Pietroburgo, Londra e Parigi. Più o meno altrettanto accadrà per Un ballo in maschera e Rigoletto.

L’8 giugno 1847 Liszt avvistò i minareti del Corno d’Oro dal ponte del piroscafo che lo aveva imbarcato a Galatz (Galați), porto fluviale rumeno sul delta del Danubio. Allo sbarco l’attendeva una spiacevole sorpresa: essere sospettato d’impostura dalla polizia, dato che in quegli stessi giorni soggiornava in città un letterato e pianista tedesco di nome Eduard Litzmann o Listmann che qualcuno, equivocando in buona o mala fede sull’assonanza dei cognomi, identificava con “il famoso Liszt-effendi”. Incidente su cui la stessa vittima si compiacque d’imbastire una leggenda metropolitana mai del tutto chiarita dai biografi: “Ho rischiato di finire in prigione”… “Il sultano ne rise a crepapelle quando gliela raccontai”, ma che ebbe probabilmente un ulteriore effetto promozionale. Nel corso di poco più d’un mese Liszt si produsse in affollati concerti all’ambasciata russa sulla Gran Via di Pera (oggi İstiklal Caddesi), alla locanda Franchini Han di Galata, già residenza medievale del podestà di Genova, e in vari ritrovi eleganti.

Al Çırağan Sarayı, la fastosa reggia in riva al Bosforo oggi trasformata in hotel Kempinski Palace a cinque stelle, fu ascoltato due volte dal sultano, che lo intrattenne amabilmente in buon francese e lo compensò con una scatola di brillanti piena di monete d’oro e col distintivo dell’Ordine della Gloria (Nişan-i İftihar) in oro, argento e diamanti. Liszt si sdebitò improvvisando sulla citata Mecidiye marşı una virtuosistica parafrasi pianistica, stampata l’anno seguente dall’editore berlinese Schlesinger col titolo Grande Paraphrase de la marche de Donizetti composée pour Sa Majesté le Soultan Abdul Mejid-Khan.

Il 13 luglio riprende il vapore per Galați, e di là si addentra nuovamente nelle sconfinate pianure ucraine. Perfino in questa incerta frontiera d’Europa contesa per secoli fra Russi e Ottomani, la “Lisztomania” scatenata dalla magnetica personalità dell’artista impera con manifestazioni che sconfinano nell’isteria collettiva: le dame si contendono i suoi fazzoletti e i suoi guanti; li fanno a brandelli per spartirseli come sante reliquie. Ultimi concerti a pubblici a Odessa ed Elisavetgrad (oggi Kropyvnyc’kyj); il 18 settembre eccolo nella tenuta di Woronińce (oggi Voronivci) dove lo attende la principessa Caroline zu Sayn-Wittgenstein, conosciuta a Kiev qualche mese prima. Tra la fresca divorziata e l’incallito sciupafemmine è subito amore: obliate le promesse di ritorno fatte al sultano e alla contessa parigina Marie d’Agoult, ai primi del 1848 – mentre le fiamme della rivoluzione divampano in tutt’Europa – Liszt parte per Weimar con la sua nuova compagna. Vi resterà fino al 1861 come Kapellmeister, direttore artistico, pedagogo di lusso, scopritore di talenti, scrittore e tant’altro; ma la sua carriera di concertista terminava ufficialmente qui all’età di soli 35 anni lasciandosi dietro una scia di leggenda.

E il pianoforte “turco”? Lo acquistò per 16mila piastre (3.200 sterline) un certo Baltacı-effendi di origine greco-fanariota, che ne fece dono alla fidanzata; lo stesso Liszt ne informò Érard parlando del “romantico destino” toccato a un “magnifico strumento”. Nella buona società della capitale non si trattò di un caso isolato. Pochi anni dopo una corrispondenza da Costantinopoli, pubblicata nel 1856 sulla “Musical Gazette” di Londra, affermava: “Pochissimi harem sono oggi privi di un pianoforte, e molte fra le signore turche sono eccellenti suonatrici”.

Carlo Vitali

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