Bergamo Le nozze in villa, ovvero il sodalizio degli animi

Il Donizetti Opera Festival ci ha felicemente abituati ad un appuntamento imperdibile: il Progetto #Donizetti200. Questo consiste nel riportare in Scena, a duecento anni esatti di distanza dalla Prima Assoluta, uno dei lavori del compositore bergamasco, ponendosi in un’ottica di analisi e creazione ex novo secondo opportuni criteri filologici. Quest’anno, per le ovvie ragioni che ben tutti conosciamo, la realizzazione dell’intero Festival può essere considerata in sé e in toto una creazione ex novo, o meglio ex tenebris. Quale indiscutibile premessa è doveroso affermare che l’aver messo in piedi la programmazione 2020 nella sua quasi totalità e nel pieno rispetto delle attese del pubblico e degli addetti ai lavori è senza dubbio un atto concreto che dimostra nerbo intellettuale unito ad una forza produttiva straordinaria: questo è uno dei pochissimi esempi citabili guardando alla realtà del nostro disarmato Belpaese. Un sodalizio tra Arte, Lavoro, Città e Umanità che obbliga ogni persona di buon senso a comprendere come la strada da continuare a seguire sia proprio questa: con le opportune ed inevitabili precauzioni, fare tutto ciò che è possibile senza volersi fermare!

Molto avrebbero da imparare dai bergamaschi le schiere di benpensanti che negli ultimi mesi ci hanno inondato (in maniera più virtuale che reale) di contenuti sterili e di proseliti infondati riguardo un settore che vive una crisi senza precedenti (in corso in realtà da decenni). Crisi nata dalla pax romana della disponibilità quasi illimitata di fondi pubblici (scialacquati) che, una volta accettata la gogna della privatizzazione, sono oggi divenuti nella loro ingiustificabile mancanza quella scure implacabile che costringe decine di eccellenze a pensare di cambiare mestiere. Mestiere, sì… perché è di questo che si tratta e l’unico modo per salvarsi dalla parabola discendente, così evidentemente caustica negli ultimi mesi, è solo uno: ritornare a fare e, non sarebbe male, a saper fare!

Lasciamo la farsa dello scenario quotidiano, almeno per ora, e passiamo alla Farsa oggetto del Progetto succitato: Le nozze in villa, Dramma buffo di Bortolomeo Merelli per le Musiche di Gaetano Donizetti con rammendo di Elio e Rocco Tanica con la collaborazione di Enrico Melozzi. Riportare il titolo e i crediti è importante per due ragioni: la prima è che il giovane Donizetti (siamo nel 1819 e lui ha ventidue anni) era al suo secondo anno di attività e, essendo parte della compagnia girovaga di Paolo Zancla, era fortemente legato dal sodalizio con Bortolomeo Merelli che poi (per fortuna) si dedicherà all’impresariato; la seconda è che questa rappresentazione è la Prima in tempi moderni… per poterla realizzare, essendo questo lavoro arrivato a noi con poche notizie, essendo privo di fonti come la Partitura autografa e, non di meno, privo di una parte musicale indispensabile come il Quintetto dell’Atto Secondo, c’è stato bisogno di un puntuale intervento di Edizione critica (a cura impeccabile di Edoardo Cavalli e Maria Chiara Bertieri) che ha previsto anche la riscrittura di detto Quintetto ad opera di contemporanei “rammendatori”. Inoltre, per un’ottima realizzazione, è stata prevista un’esecuzione con strumenti d’epoca che hanno consentito di mantenere l’organico orchestrale originale e, grazie al diapason fissato a 430hz, di ottenere anche dalle vocalità in Scena una resa stilisticamente propria. Il Soggetto è preso da una Commedia di Kotzebue tradotta in italiano come “I provinciali” e, in effetti, il canovaccio è assai semplice se non scontato: Sabina, giovane figlia di Don Petronio, è da lui promessa al maestro del paese Trifoglio; Sabina ama segretamente Claudio, un giovane conosciuto in paese di cui ammira il ritratto spasimando; Anastasia, sua nonna, la scopre ma la giovane dissimula inventando che quello che ammira è il ritratto del Re che tutti ammirano; la nonna si impossessa del ritratto; Don Petronio presenta Trifoglio alla figlia e preannuncia le nozze; intanto un messaggero annuncia l’arrivo di un nobiluomo che si rivela essere quel Claudio di cui Sabina è innamorata; Sabina trasalisce e altrettanto fa sua nonna che, quindi, pensa che in casa loro ci sia il Re; i due giovani si giurano Amore mentre sopraggiunge Don Petronio intento a preparare l’accoglienza del presunto sovrano; Claudio chiede lumi e tra lo sgomento di tutti è Sabina a dover far chiarezza. Nel Secondo Atto si ritorna al punto di partenza: Don Petronio, stavolta furente, ritorna all’idea che sua figlia debba sposare Trifoglio. Claudio tanta di far desistere Trifoglio instillando fondatamente dei dubbi su Sabina; Trifoglio è convinto e la attende per farle la Serenata; Sabina giunge ma per incontrare Claudio e, così, i due giovani amanti vengono scoperti, subbuglio; così Trifoglio chiede spiegazioni non avendo più voglia di sposare Sabina e, peggio ancora, comprendendo che Don Petronio non gli offriva alcun danaro in dote; Sabina disperata pensa che perderà entrambi ma Claudio afferma di non voler alcuna dote ma solo l’Amore di Sabina e, così, vissero tutti felici e contenti.

Può sembrare superfluo citare in breve la sinossi ma, trattandosi di un Allestimento di riscoperta è opportuno narrarne la vicenda, seppur canonica rispetto al canovaccio comico.

Venendo alla resa della rappresentazione, possiamo cominciare riportando della Regia di Davide Marranchelli (Assistente, Caterina Denti): una Farsa è una Farsa, saperla leggere in maniera attuale rendendo giustizia dei riferimenti alla contemporaneità non è cosa da tutti; la visione e la conduzione drammaturgica di Marranchelli dimostrano un’analisi cosciente ed equilibrata, perfino di ricerca sotto il profilo sotteso dell’escatologia dei singoli personaggi nella funzionale e non banale visione d’insieme. Il tutto è ambientato in un giardino artificiale, ricavato da un campo da calcio messo su alla meno peggio come accade accanto alle parrocchie di provincia; giardino finto per volontà artistica, finto come lo è spesso e volentieri la realtà attuale; elemento che convince rispetto a questa lettura è il fatto che alla fine dell’Atto Primo, quando i sotterfugi iniziano a venire fuori, il prato finto viene letteralmente tirato su per un lembo rivelando l’asfalto dissestato con tanto di presenza di spazio “carico e scarico”. Idea registica vincente che ben spiega la drammaturgia musicale numero dopo numero. Ne è parte anche il Direttore che, al suo ingresso sul podio, scaccia un gruppetto di ragazzi che giocano a calcio: si fa consegnare il pallone e lo buca violentemente, li manda via e il punteruolo diviene bacchetta… la Farsa ha inizio. In questa lettura la Scenografia immaginata da Anna Bonomelli è perfettamente in linea col pensiero analitico della Regia: erba finta, e deve vedersi che sia finta! dove appaiono elementi “d’arredo” a creare un giardino da matrimonio “in affitto” che, nella sua artefatta finzione, rivela anche la poca verità di quei riti. Molto bene. La Scena inizia quindi a popolarsi di oggetti di scena più o meno simbolici portati a vista da personaggi vestiti in maniera più che adeguata dai Costumi di Linda Riccardi, anche qui in assetto con l’idea già esplicitata prima: la “caricatura” dell’esistenza non si limita (come ahinoi d’uopo oggigiorno) a recuperare vestiti a caso per adattarli ma segue un disegno preciso, una rispondenza cromatica precisa e un altrettanto preciso connubio tra Personaggi e Figuranti. Tutto l’insieme, e la bella idea di Marranchelli con esso, prende ancora più vita grazie all’ottimo Disegno Luci di Alessandro Carletti (Assistente, Ludovico Gobbi). Tutto questo allestimento “dal vivo” avviene durante la Sinfonia che rivela, contemporaneamente, l’altro grande punto di forza di questa produzione: la Direzione Musicale. Stefano Montanari è semplicemente eccellente alla guida della magnifica Orchestra “Gli Originali”. La concertazione di Montanari è un raggio luminoso che dispiega, passo passo, le ragioni della ricerca filologica come una necessità di bellezza e non come uno scevro esercizio di stile; lo dimostra anche quando è al cembalo, provvedendo ad offrire anche in quel caso prova di musicista completo; altrettanto fa nel gestire le parti del Coro (ottimamente istruito da Fabio Tartari) col quale raggiunge altissimi livelli già nell’iniziale “Scrisse Socrate in un tomo” e trova piena conferma degli stessi livelli nel passaggio concertato tra Coro e Don Petronio “Starete tutti, amici”. Un altro merito di Montanari sta nell’aver reso le rilevabili citazioni rossiniane presenti in Partitura non come evidenti citazioni (ad esempio,  “L’italiana in Algeri” e “Il Barbiere di Siviglia”), bensì come uno stimolo espressivo rispetto alla trasposizione donizettiana di certi tratti presi da Taddeo, ad esempio, o, meglio ancora, nell’aver connotato in maniera funzionale il “gelo comico” del Finale dell’Atto Primo, rendendo perfettamente di Don Petronio la casa e la condizione erano già state di Don Bartolo. Il lavoro di riscoperta vede in scena un livello della Compagnia di Canto di alto profilo. Gaia Petrone ha dato vita ad una Sabina dal timbro bellissimo (teniamola d’occhio!) e dalla capacità espressiva mai banale, giustamente timida negli interventi “tra sé e sé” e vellutatamente prorompente nel cesellare gli accenti che il personaggio le affidava. Omar Montanari ha disegnato un Don Petronio esatto nella sua concezione topica grazie ad una verve comica innata ed una presenza scenica impeccabile, senza tralasciare la giusta resa vocale a tutto tondo. Fabio Capitanucci ha offerto la visione di Trifoglio stesso in carne ed ossa: a dover pensare che fosse una persona che ha studiato un personaggio non ci si credeva… una cosa sola; una vocalità e un suo uso semplicemente eccezionali. Giorgio Misseri (che aveva già interpretato il Gondoliere in Marino Faliero la sera prima) ha creato un Claudio innamorato ma mai smielato: una bella prova tenorile che, in una parte che ha i suoi bei momenti di arditezza, ha offerto timbro presente da “amoroso” e realizzazione tecnico-stilistica interessante. Anastasia è ruolo artisticamente arduo essendo a forte rischio di banalizzazione ma, anche qui, con l’interpretazione di Manuela Custer raggiungiamo livelli di perfezione: senso della parola assoluto; senso della Scena innato; senso delle pause e dei respiri da far Scuola… “chapeau!”. Claudia Urru, per quel che la Partitura le consente in quanto a presenza, come Rosaura rende a pieno il personaggio senza deludere nella resa. Daniele Lettieri svolge un compito non semplice: Anselmo è personaggio “a latere” ma necessario nelle sue poche battute affinché l’azione prosegua e lui sa essere tenore che è al posto giusto nel momento giusto.

Altrettanto, al momento e nel modo giusto arriva il “rammendo” di Elio e Rocco Tanica (con la collaborazione di Enrico Melozzi): gli elementi tematici e l’orchestrazione sono stati condotti per la riscrittura del Quintetto dell’Atto Secondo in maniera sorprendente. Si sente sicuramente nel loro lavoro una mano abituata a gestire armonie distribuite su organici non consueti a quelli canonici per una Stretta di Concertato d’Opera ma lo si sente in modo propositivo in quanto l’equilibrio formale e i pesi dinamici non sono mai fuori luogo, sia sotto il profilo orchestrale che, cosa ancor più difficile da ottenere, sotto il profilo vocale. Ciò dimostra che si è operato oggi come si sarebbe operato al tempo (come sappiamo la Linea di Canto veniva scritta ad personam) e, quindi, se ne deduce il lavoro più ampio messo in atto assieme al Direttore Musicale e agli Artisti per raggiungere l’obiettivo in maniera personalizzata: bravi!

Eh sì… “Bravi! Bravi!… Bis!…Grandi!”. Quante volte abbiamo esclamato con gioia prorompente queste parole al termine di una Rappresentazione? Quante volte lo abbiamo fatto per abitudine, per energia diffusa, per sostegno… stasera no, non si può!

Siamo muti, fermi… bisogna trattenere il fiato che fa male, e con lui l’umanità che ne consegue. Fa ancor più male l’alzarsi in piedi, respirare col filtro temendo che il respiro stesso sia un disturbo mentre nel silenzio si assiste agli inchini verso il vuoto da parte di Artisti, gli stessi che hanno appena finito di raccontare meravigliosamente una storia di risate e leggerezza… straniante e straziante al tempo stesso!

Il momento che segue lo stop della registrazione è quello che non avete visto e che dovete conoscere per poterlo ricordare ogni giorno.

“Stoooooop!”. Così, in un paio di secondi, il silenzio si è spezzato; la sua rottura ha portato il permesso di tornare ad esistere senza doverne aspettare il permesso; le mani hanno cominciato a battere all’unisono senza volersi più fermare; il respiro è diventato sempre più ansimante di commozione e gli occhi hanno iniziato a liberarsi anch’essi piangendo, tanto.

Come per oscuro incantesimo ci siamo dentro ma, per coraggio dell’Arte e strenuo attaccamento alla Vita, abbiamo sentito, pur senza parlare, che ognuno aveva voglia di abbracciare l’altro, anche senza conoscerlo.

Siamo tutti dentro una storia di contemporanea disperazione che è personale per chi è morto, è sociale per chi è in miseria, è culturale per chi non ha ancora mosso un dito per scrivere una maledetta pagina a sostegno di questo settore socio-economico del Belpaese.

Siamo: ricordiamoci la prima persona plurale tra un paio di stagioni (quelle naturali, non quelle teatrali) … ognuno ha il suo posto e lo onora ma, se non avremo imparato il valore della connessione saremo perduti, forse in maniera definitiva.  Avremo bisogno di sostenerci, molto più di oggi!

Quando tutto questo sarà finito dovremo dimostrare non tanto di saper battere le mani ma di saper fare come si è fatto a Bergamo in questi mesi e in questi giorni: dovremo tirarci su le maniche e unire le forze per raggiungere l’obiettivo di ricostruirci.

Conserviamo la forte motivazione che è figlia della privazione ma facciamone tesoro sviluppando una nuova concezione che lasci al passato il concetto di “IO” e lo sostituisca con quello di “IO consapevole” che, inevitabilmente, dovrà tradursi in “NOI”.

Grazie Bergamo!
Antonio Cesare Smaldone
(22 novembre 2020)

La locandina

Direttore e fortepiano Stefano Montanari
Regia Davide Marranchelli
Scene Anna Bonomelli
Costumi Linda Riccardi
Lighting design Alessandro Carletti
Assistente alla regia Caterina Denti
Assistente alle luci Ludovico Gobbi
Personaggi e interpreti:
Sabina Gaia Petrone
Don Petronio Omar Montanari
Trifoglio Fabio Capitanucci
Claudio Giorgio Misseri
Anastasia Manuela Custer
Rosaura Claudia Urru
Anselmo Daniele Lettieri
Orchestra Gli Originali
Coro Donizetti Opera
Maestro del Coro Fabio Tartari

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