Firenze: Mehta scolpisce l’Otello in differita

Spazzato via dal lockdown nella scorsa primavera, quand’era originariamente programmato, il nuovo Otello verdiano del Maggio Musicale Fiorentino ha quanto meno offerto una bella prova di resilienza, riuscendo a guadagnare il palcoscenico lunedì per un’unica rappresentazione a porte chiuse. Non si è trattato di uno streaming: niente Internet, ma solo, si fa per dire, la messa in onda su Rai 5. E viene da chiedersi il perché di questa rinuncia. Ma soprattutto, non è stata una diretta: quella che si è seguita in Tv era la prima visione (così la corretta dicitura sullo schermo) di un video dello spettacolo realizzato qualche giorno fa, che ha tagliato tutti i tempi morti fra gli atti e saltato a piè pari l’intervallo.

È mancata insomma la sensazione della contemporaneità fra l’evento e quello che si vedeva, che in questi tempi di assenza dai teatri rimane un elemento cruciale per la partecipazione, in senso lato, di chi a teatro non può metterci piede. Dopodiché, con questo tipo di format è ancor più necessaria la “creatività” della regia televisiva o video che dir si voglia, ma non è stato questo il caso del programma registrato al teatro del Maggio: un’alternanza fra mestissimi campi lunghi nei quali il palcoscenico appariva in lontananza e primi piani di stile cinematografico che poco o nulla rivelavano dell’idea del regista Valerio Binasco.

D’altra parte, il suo spettacolo (scene Guido Fiorato, costumi Gianluca Falaschi, luci Pasquale Mari) appariva con tutta evidenza impostato sulle normative di sicurezza sanitaria per chi stava in scena (distanziamenti e mascherina per il coro, discreta separatezza anche fra i protagonisti vocali; movimenti di tutti cauti e studiati) ma non ha mai dato la sensazione di essere stato in qualche modo “riformulato” per una fruizione forzatamente a distanza. Così, quello che si è visto era solo la ripresa – anonima fino al punto di risultare qualche volta inerte, pur tenendo conto delle cautele sanitarie – di qualcosa che si svolgeva sulla scena, come se il teatro fosse pieno di pubblico. Ed è per lo più rimasta sottotraccia l’interpretazione del regista, che vede Otello come tragedia quasi distopica, in uno scenario di semiabbandono: una storia di solitudini e disperazione nella quale i tre protagonisti principali seguono ciascuno un percorso fatale e non modificabile.

Sul podio è salito – ha poi guidato l’intesa esecuzione da seduto – il direttore onorario a vita del Maggio, l’ottantaquattrenne Zubin Mehta. Con il passare degli anni il gesto del maestro indiano si è fatto così essenziale da sembrare quasi etereo (su questo particolare, le riprese Tv sono state di indubbio interesse) e la sua scelta dei tempi è sempre più riflessiva, quasi interiorizzata. Questo non toglie che la sua lettura della penultima opera di Verdi (non certo favorita da un suono televisivo tutt’altro che efficace), sia apparsa spesso illuminata, oltre che da indubbia consapevolezza stilistica, da una ricchezza espressiva esemplare. Un taglio in grado di regalare – specialmente nel percorso drammaturgicamente fondamentale dei duetti e delle riflessioni individuali dei protagonisti (Otello-Desdemona nel primo atto, Otello-Jago nel secondo, l’intero quarto atto) – una sottigliezza psicologica in qualche momento rivelatrice.

Debuttava nel ruolo del titolo il tenore trevigiano Fabio Sartori e la sua prova si può considerare non solo largamente positiva ma in alcuni aspetti particolarmente interessante. Il suo Otello ha lo squillo e il colore che servono, nelle parti più estroverse della partitura, ma ha anche il sofferto rovello di un percorso verso l’abisso ben sottolineato da una linea di canto franta, pensosa, dinamicamente assai sfaccettata, che disegna in maniera convincente l’auto-consapevolezza di un personaggio sopraffatto da se stesso. Uno Jago vocalmente impeccabile è stato Luca Salsi, il cui canto di nitida eleganza porta giustamente lontano dalle tante caratterizzazioni troppo tenebrose del “vilain” per eccellenza, facendo emergere tutta la desolante banalità del Male di cui questo personaggio gigantesco – al quale Arrigo Boito regala versi memorabili quanto le scelte musicali di Verdi – è l’incarnazione. Marina Rebeka è stata una Desdemona di sicura musicalità, un po’ irrisolta nel chiarire il rapporto fra drammaticità e lirismo che attraversa la sua parte, e quindi talvolta a rischio di una certa freddezza, di una distanza che non ha giovato in particolare alla sua gran scena al quarto Atto.

Efficace la pattuglia dei comprimari, con l’Emilia dal forte carattere di Caterina Piva e il fatuo Cassio di Riccardo Della Sciucca in buona evidenza e note positive anche per Francesco Pittari (un risentito Roderigo), Alessio Cacciamani (l’ambasciatore della Serenissima), Francesco Milanese (Montano) e Francesco Samuele Venuti (un araldo). Il coro istruito da Lorenzo Fratini ha dovuto proporsi in condizioni sceniche e musicali tra le più problematiche e gli vanno riconosciuti impegno e partecipazione.

Un po’ incongruamente tradizionale, data la situazione, il rituale delle uscite alla fine della rappresentazione. In chiusura, appoggiandosi al bastone, è comparso a proscenio anche un affaticato Zubin Mehta: l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino lo ha salutato con un’acclamazione.

Cesare Galla
(30 novembre 2020)

La locandina

Direttore Zubin Mehta
Regia Valerio Binasco
Scene Guido Fiorato
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Pasquale Mari
Personaggi e interpreti:
Otello Fabio Sartori
Desdemona Marina Rebeka
Jago Luca Salsi
Cassio Riccardo Della Sciucca
Roderigo Francesco Pittari
Lodovico Alessio Cacciamani
Montano Francesco Milanese
Un araldo Francesco Samuele Venuti
Emilia Caterina Piva
Orchestra, Coro, Coro delle voci bianche del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del coro Lorenzo Fratini

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