Il libro: Marco Jacoviello, “Le signore delle camelie”
Quella tra opera e cinema è un’attrazione fatale in cui – come in ogni rapporto passionale che si rispetti – momenti di intensa complicità si alternano ad altri in cui il desiderio di reciproca distruzione si mostra con prepotenza. Eppure quella che è la forma di comunicazione di contenuti più popolare, nel vero senso della parola, dell’Ottocento– se si volesse ridiscendere lungo i due secoli precedenti se ne avrebbe ulteriore conferma – non poteva non trovare punti di contatto con l’arte nuova del Novecento in cui già prima dell’avvento del sonoro la musica costituiva elemento irrinunciabile.
L’opera al cinema godette e gode tuttora di immensa fortuna – se si volesse aprire una finestra sullo streaming che nell’ultimo anno è giocoforza diventato pressoché l’unico mezzo di fruizione di musica e teatro – sfruttando in certa maniera le potenzialità e la “forza di penetrazione” del nuovo mezzo che, a dispetto della sua bidimensionalità, è in grado di sfondare la quarta parete diffondendo i suoi messaggi ovunque si possa disporre di un proiettore e di un telo bianco.
Nel suo “Le signore delle camelie” (Morlacchi Editore, pp.282 €15,00) Marco Jacoviello percorre con acume la nascita e lo sviluppo di un’unione in cui momenti altissimi cedono talora il posto a svilimenti reciproci per poi tornare a brillare a beneficio degli spettatori.
Partendo da una disamina generale, dai primi esperimenti fino ai giorni nostri, l’autore si concentra sulla figura che maggiormente ha goduto – muovendo dall’opera – di fortune cinematografiche: Margherita Gauthier.
Se “La signora delle camelie” – ovvero la fonte letteraria cui attinsero Verdi e Piave per quel capolavoro di modernità che è “La traviata” – nasce dalla penna di Dumas figlio come romanzo è altrettanto vero, e non avrebbe potuto essere altrimenti, che lo stesso autore sentì in breve la necessità di farne soggetto per un dramma teatrale.
Tout se tient dunque e il passaggio al cinema è il logico punto d’arrivo e il culmine è raggiunto nel 1936 con “Camille” di quello straordinario regista di donne che risponde al nome di George Cukor – il quale solo tre anni più tardi firmerà quel capolavoro assoluto e tutto al femminile che è “The women” – e con protagonista Greta Garbo, la diva delle dive, equivalente cinematografico della riscopritrice della vera essenza della Violetta verdiana: Maria Callas.
Interessantissimo anche l’approfondimento sui “generi” che attingono ai τὸποι operistici per farne elementi filmici, primi tra tutti i meló cari agli anni Cinquanta, dai lavori sofisticati di Douglas Sirk alle produzioni nostrane di Raffaello Matarazzo in cui brillavano Yvonne Sanson e Amedeo Nazzari.
Un volume da centellinare, a cominciare dalla prefazione di Alessio Vlad, e da continuare a consultare dopo averlo letto.
Alessandro Cammarano
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