Parigi: Aida j’accuse

In un piccolo video disponibile sul sito dell’Opéra di Parigi, Lotte de Beer racconta la sua predilezione per il melodramma di Verdi e in particolare le sue idee per Aida, l’opera con cui ha fatto il suo debutto sulle scene parigine. Il luogo delle riprese è la Sezione Egizia del Louvre, naturalmente deserta, forse per questo ancor più affascinante. Si tratta in realtà dell’unica traccia di antico Egitto nel progetto della regista olandese, il cui spettacolo è stato proposto venerdì in streaming dal vivo da Opéra Bastille.

Inutile cercare in questa Aida l’armamentario di piramidi-sfingi-palme che tradizionalmente accompagna questo capolavoro, del resto ambientato secondo libretto proprio nel paese dei faraoni in un’antica e lontana epoca storica. La nuova regia operistica, si sa, ha ragioni che la tradizione non contempla e l’allestimento firmato da de Beer è una sofisticata e stratificata lettura che ignora qualsiasi elemento esotico per puntare con molta decisione sull’interpretazione politica. Prima ancora che una storia privata e disperata, dunque, lo spettacolo vuole essere un vibrante “j’accuse” contro la mentalità colonialista, imperialista, guerrafondaia dell’Occidente e dei ceti dominanti contro popolazioni sfruttate e oppresse. La vicenda appare collocata cronologicamente verso la fine dell’Ottocento, come mostrano chiaramente sia le scene di Christof Hetzer che i costumi di Jorine van Beek. Il re ha divise cariche di medaglie di chissà quali campagne militari, il gran sacerdote Ramfis ha tutta l’aria di un primo ministro o di un banchiere. Gli altri sacerdoti? Beh, quelli sono la società maschile che conta e che prende terribili decisioni, sempre in situazioni mondane e con una “flûte” di champagne in mano.

Che la regista non proponga solo una lettura “a tesi”, ma in qualche modo affermi una vera e propria critica “militante” si coglie da tutto un insieme di elementi già nel primo atto e nella prima scena del secondo. Con Amneris che nel suo boudoir – si capirà più tardi – va facendo con grotteschi costumi le prove della sua diretta partecipazione al successivo trionfo, come se si trovasse su un palcoscenico. L’originalità spiazzante si tocca appunto con il clou spettacolare (non necessariamente musicale, anzi) dell’opera. De Beer sovverte il senso stesso di “Marcia”, costruendo un’intrigante e provocatoria serie di “tableaux vivants” che richiamano una serie di immagini fondanti (icone, si dice oggi con una terminologia un po’ approssimativa) di eventi bellici della storia e dei loro protagonisti. L’imitazione dei quadri celebri dentro a una grande cornice sul palcoscenico – quadri alla cui costruzione lo spettatore assiste, e questo è teatro puro – corre a scavalco dei secoli: si compongono sotto gli occhi di chi assiste dipinti che descrivono famose battaglie dell’antichità, balza sul suo destriero il Napoleone di David, avvolto nel suo svolazzante mantello rosso; non mancano le “Marianne” che sventolano il tricolore francese da qualche barricata, si arriva perfino ai soldati americani che piantano la bandiera a stelle e strisce a Iwo Jima. La regista fa di tutta l’erba un fascio? Probabilmente sì, e magari qualcuno potrebbe anche adontarsi. Ma è innegabile che lo spettacolo ci sia. E il sarcasmo della regista contro gli “imperialisti” di ogni epoca esplode quando si vede Radames fare le prove di gesti e posizionamenti marziali e alla fine viene incoronato con lauro d’oro da un’Amneris che fa la Vittoria alata, con tanto di ridicole ali posticce.

Ma questa è solo una parte dell’interpretazione di Lotte de Beer, la più vistosa e la più discutibile, la più “d’impeto”. In realtà, nella sua Aida anche l’elemento privato e passionale – altro pilastro della drammaturgia verdiana, non meno del taglio “politico”, che il bussetano risolveva nella polemica contro la religione – scorre impetuosamente. Data l’impostazione generale, inevitabilmente il dramma sentimentale assume una connotazione borghese nel conflitto di Radames con Amneris (esemplare il duetto del quarto atto: solo due sedie davanti a un grande ed elegante sipario verde), ma ne trova una del tutto originale rispetto ad Aida. La schiava etiope, qui senza connotazione nazionale, ma rappresentante in qualche modo di una “africanità” globale, riflessa anche in certe scene dipinte, vive in scena secondo le modalità del teatro di marionette (design e direzione sono di Mervyn Millar). La sua è una marionetta a dimensioni reali, dall’aspetto arcaico e misterioso, vagamente archeologico, mossa abilmente da tre addetti, che costituisce dunque una dimensione teatrale parallela rispetto a quella dell’interprete vocale, ma con essa strettamente coordinata in una fascinosa e a tratti perfino inquietante corrispondenza fra gesto, che tocca alla marionetta, e parola cantata, che è pertinenza dell’interprete. Solo un altro personaggio ha il suo doppio in forma di marionetta (peraltro in questo caso limitata a busto, braccia e testa), ed è naturalmente Amonasro, il padre di Aida. Così, il teatro musicale dei personaggi “deboli e oppressi” assume uno spessore inedito, forte drammaturgicamente, a tratti perfino sconcertante. Ma l’interazione dei due cantanti con il loro “doppio” risulta naturale, spesso emozionante, così come emozionante è il realismo interiore dei gesti delle marionette, nel loro richiamo a un’antica e popolare forma del teatro.

Affidata a Michele Mariotti, l’esecuzione musicale è risultata animata da un’interiore energia che ha reso ragione con grande efficacia della ricchezza timbrica, della varietà ritmica e della multiforme cifra espressiva della partitura. Nitido e intenso il fraseggio nelle parti passionali e nel “bataclàn” (come Verdi chiamava il Trionfo), poetico nei ripiegamenti intimi che attraversano costantemente l’opera, grazie a una notevole duttilità dinamica. Esemplare l’orchestra dell’Opéra: equilibrata, precisa e comunicativa.

Compagnia di canto di primo livello. Jonas Kaufmann ha dato a Radames il colore scuro della sua voce molto elegante e molto musicale. Il “Celeste Aida” di apertura, notoria “trappola esecutiva”, è parso bisognoso di maggiore controllo e di fraseggio meglio coeso, ma si è concluso coraggiosamente e tutto sommato adeguatamente con il Si bemolle “morendo” prescritto da Verdi. Pregevole il terzo atto, con adeguata tenuta in chiave eroica, più problematica la scena finale, quella della “Fatal pietra”, con qualche problema di colore nella zona acuta della tessitura. Egregia Aida è stata Sondra Rodvanovsky, molto partecipe nel dialogo interiore con la “sua” marionetta e impeccabile nell’equilibrio fra lirismo e drammaticità. Sugli scudi il giovane mezzosoprano uzbeko Ksenia Dudnikova, un’Amneris di forte personalità e di spiccata qualità attoriale, perfettamente corrispondente a una vocalità sontuosa, capace di scendere senza problemi nella zona grave della tessitura e di arrivare in alto mantenendo la misura nell’emissione e l’efficacia nel colore. Un Amonasro in grande stile è stato Ludovic Tézier, giustamente lontano da certe “selvatiche” ruvidità di cui troppo spesso il personaggio è caricato, elegante e incisivo per colore e fraseggio. Fra gli altri, Dmitry Belosselskiy è stato un Ramfis altero e cupo, Solomon Howard un Re dal fraseggio ben controllato, Alessandro Liberatore un Messaggero preciso e di buon timbro come Roberta Mantegna nel ruolo della Sacerdotessa. Impegnato e coeso, efficace nonostante abbia cantato con le mascherine, il coro istruito da José Luis Basso.

Questa Aida resterà a disposizione in streaming gratuito fino al 20 agosto 2021 sul sito dell’Opéra e su Arte Concert.

Cesare Galla
(18 febbraio 2021)

La locandina

Direttore Michele Mariotti
Regia Lotte de Beer
Scene e video Christof Hetzer
Visual artist Virginia Chihota
Costumi Jorine van Beek
Luci Alex Brok
Drammaturgia Peter te Nuyl
Progettazione e regia dei burattini Mervyn Millar
Personaggi e interpreti:
Il Re Soloman Howard
Amneris  Ksenia Dudnikova
Aida Sondra Radvanovsky
Radamès Jonas Kaufmann
Ramfis Dmitry Belosselskiy
Amonasro Ludovic Tézier
Un Messaggero Alessandro Liberatore
Sacerdotessa Roberta Mantegna
Coro e Orchestra dell’Opéra di Parigi
Maestro del Coro José Luis Basso

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