Chi è Beatrice Venezi
Il clamore di questi giorni intorno alle dichiarazioni del direttore d’orchestra Beatrice Venezi a Sanremo ha causato diverse reazioni, con vasta diffusione di notizie molto spesso alterate da quel gigantesco telefono senza fili che è l’internet. Proverò in questo pezzo a riallacciare alcuni di quei fili e fare chiarezza sul personaggio Beatrice Venezi, guardando al suo percorso musicale, alle sue dichiarazioni e alla sua carriera.
Partiamo dalla carriera. Gira molto l’informazione secondo cui Beatrice Venezi sarebbe la più giovane donna direttore d’orchestra, addirittura d’Europa. Quest’informazione è facilmente smentibile: anche considerandone il debutto, a 22 anni secondo il curriculum, ci sono stati direttori che hanno cominciato la carriera ben più giovani. Basterebbe guardare alla sua collega in Orchestra della Toscana, Nil Venditti, che a 20 anni appena compiuti già faceva la spola per concorsi e concerti. Sempre che abbia poi un senso questo gioco al ribasso per cui prima uno debutta, migliore dovrebbe essere (e in tal caso, c’è sempre Aziz Shokhakimov, che debuttò a 13 anni per la sinfonica e 14 per l’opera). Ma, si potrebbe giustamente argomentare, questa qualifica non se l’è data lei, lei si è solo limitata a non smentirla. Procediamo, dunque.
“Acclamata a livello internazionale”, “si esibisce nei teatri di tutto il mondo” sono le affermazioni presenti negli articoli su Venezi da un paio d’anni ad oggi, queste sì condivise dalla diretta interessata fin dal famoso spot della Daygum. Addirittura, l’editorial review su Amazon del suo CD pucciniano per Warner la definisce “the most interesting young conductor in Italy”. Non si capisce però sulla base di cosa si facciano queste dichiarazioni. L’acclamazione internazionale tanto sbandierata sfugge alla ricerca sul web, che si limita a commentare i suoi libri tacendo colpevolmente sulla sua abilità come musicista.
Quali sono poi questi teatri internazionali? Dando una scorsa al curriculum in realtà non ne troviamo. La Armenian State Symphony Orchestra di cui afferma essere stata Assistant Conductor (sul sito dell’orchestra non c’è alcun riferimento in merito, ma è un ruolo che non sempre si segnala), è un progetto nato da giovani, nel 2005, certamente di valore, ma non una grande orchestra internazionale. Il Teatro di Minsk, l’Orchestra di Odessa, sono realtà importanti a livello locale, ma poco più. Anche se può sembrare notevole leggere “Bolshoi”, tra quello di Minsk e quello di Mosca ne passa. Addirittura, la ricerca della menzionata Orchestra of the Foundation Bulgaria Classic, non ha dato risultati se non il curriculum di Venezi stessa e una pagina Facebook con 184 follower.
Un po’ meglio va in Italia, dove gioca in casa: a Beatrice Venezi va il titolo di Direttore Principale dell’Orchestra Milano Classica e della Nuova Orchestra Scarlatti Young. Anche qui, difficilmente l’Orchestra Milano Classica si può definire un’orchestra di spicco del panorama italiano, pur facendo dei bei progetti nel milanese. Curioso è invece il caso della Nuova Scarlatti Young. In primo luogo, sottolineiamo “Young”, cosa spesso tralasciata dai giornalisti, ma che fa una bella differenza. Cos’è la Scarlatti Young? Si tratta di un progetto della Nuova Scarlatti, che ha aperto un’orchestra junior (11-18), una young (18-28) e una amatoriale, come iniziative di divulgazione musicale: bei progetti ma non certo realtà d’eccellenza. Segnalo, anche qui, che nessuna menzione di Venezi come Direttore Principale della Scarlatti Young appare sul sito, anzi, la musicista lucchese non viene nominata se non in relazione a qualche concerto che si trova a dirigere in contesti abbastanza periferici o d’occasione. Della sua nomina, avvenuta (secondo il suo CV) nel 2016, non ho trovato riferimenti nemmeno in comunicati stampa, blog o giornali locali.
Le apparizioni sul podio di realtà importanti come Pomeriggi Musicali, Filarmonica TRT, Orchestra di Padova e del Veneto e via discorrendo sono state sempre per progetti secondari, concerti di Natale o d’occasione per imprenditori e sponsor, mentre un’occhiata attenta al video dell’Adagio di Barber con l’Orchestra della Fenice di Venezia farà notare la sponsorizzazione di Assicurazioni Generali e Warner stessa (etichetta per cui, ricordo, ha pubblicato il disco sopracitato).
Veniamo dunque al caso Orchestra della Toscana, di cui Beatrice Venezi è Direttore Ospite Principale, insieme alla menzionata Nil Venditti. Invitando anche la finlandese Eva Ollikainen insieme alle due, l’allora Direttore Artistico Giorgio Battistelli intendeva evidentemente creare un trio di giovani direttrici. D’altro canto, non è un caso che poi l’Orchestra della Toscana sia l’orchestra del CD Warner di Venezi, un ritorno di immagine che aiuta anche a fini delle domande ministeriali. Le tre direttrici vengono nominate nel novembre 2019; il 15 gennaio 2020 Battistelli viene nominato direttore artistico del Festival Pucciniano di Torre del Lago; il 5 maggio 2020 abbandona polemicamente la direzione artistica dell’Orchestra della Toscana; il 25 giugno viene nominato d’urgenza direttore artistico della Haydn di Trento e Bolzano.
Il nodo della questione pare essere il Pucciniano: è questo un Festival cui il nome di Venezi è legato, essendo lei stata nominata Direttore Principale Ospite per l’edizione 2017. Dopo quell’anno, Venezi non è riapparsa al Festival, un progetto “Pacini Renaissance” di cui doveva occuparsi non si è mai concretizzato e il nome della musicista lucchese non è più tornato nelle edizioni successive. Non mi soffermo sulle traversie del Festival Pucciniano, ma è da segnalare che a nominare Beatrice Venezi Direttore Ospite Principale è stato Alberto Veronesi, che al tempo ricopriva la Presidenza del Festival. Veronesi lascia nel 2019 la Presidenza a Maria Laura Simonetti, ma viene subito nominato Direttore Musicale con la direzione artistica di Battistelli.
Quanto alla dichiarazione sanremese di Venezi, che tante polemiche ha sollevato (“La mia posizione ha un nome preciso ed è direttore d’orchestra, non direttrice”), essa appare di evidente natura politica. Gli endorsement di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che quasi non ci credevano ad avere un alfiere nella loro lotta contro la grammatica italiana, dimostrano infatti che si trattava di una chiara strizzata d’occhio a destra. A corroborare quest’idea è l’intervista che nel 2018 Venezi ha rilasciato a DiMartedì, programma di Giovanni Floris su La 7, in cui aveva già affermato la medesima cosa, ma con ben altre motivazioni. In quell’occasione la musicista lucchese specificò di non essere assolutamente contraria ai sostantivi femminili delle professioni, ma che, semplicemente, le sembrava che il termine “direttrice” rimandasse a ruoli come la direttrice d’istituto, nella coscienza collettiva “non troppo simpatici”. Un po’ come Maestro-Maestra, insomma. Siamo ben distanti da una presa di posizione come quella a Sanremo, che si applica al ruolo e a tutta la categoria e non ad una sua percezione personale. Bucare lo schermo, strizzare un occhio alla politica, non è niente di strano: Beatrice Venezi si muove in un mondo dominato dalle leggi del marketing e non è certamente una figura distante dalla politica. Il padre Gabriele Venezi, ex immobiliarista, era negli anni ’10 uno dei dirigenti nazionali di Forza Nuova, per la quale fu anche candidato sindaco a Lucca.
Sulla questione direttore-direttrice c’è relativamente poco da dire. Come Venezi stessa sottolinea, alla fine ciò che conta è il merito artistico. E dunque entriamo nel merito artistico: Beatrice Venezi afferma di essere pianista, ma non sembriamo avere testimonianze di sue pubbliche esibizioni, se non in qualche rarissimo video. Di questo suo percorso pianistico, oltre agli studi, resta un primo premio ad un paio di piccoli concorsi per giovani musicisti tra il 2005 e il 2006, quando Venezi era tra i 15 e i 16 anni. Andando poi sul core business della musicista, la direzione d’orchestra, scavando su YouTube è facile farsi un’idea del gesto e dell’abilità della musicista. Io ho avuto l’occasione di ascoltarla anche dal vivo con l’Orchestra di Padova e del Veneto e la sensazione è sempre che, di fronte al direttore lucchese, l’orchestra imposti il pilota automatico e proceda autonomamente. Questo è d’altronde il problema dei direttori d’orchestra: se un pianista, un violinista, un cantante, quando vanno sul palco devono essere tecnicamente in grado di fare le note, un direttore può affidarsi ad un’orchestra o un ensemble che, soprattutto quando stabile e ben rodato, può andare avanti anche da sé. A risentirne chiaramente è la qualità dell’interpretazione, ma anche il livello, come si nota da problemi di insieme che sotto la bacchetta di Venezi avvengono anche su brani immediati e molto noti, quali la Marcia persiana di Johann Strauss figlio. Senza parlare poi di altre esibizioni, quali quelle con la Sinfonica di Cordoba, in cui si nota la totale incongruenza del gesto di Venezi rispetto a ciò che poi l’orchestra fa, o almeno tenta di fare.
Certo, si può affermare che tanti grandi direttori abbiano un gesto personale a volte controverso. Ma anche senza scomodare la buonanima di Prêtre, il lavoro del direttore emerge quando le orchestre che dirigono non si limitano ad andare filate dalla prima all’ultima nota, ma scavano e scavano nella musica per darne una lettura elettrizzante, mistica, drammatica, soave, insomma tutti quegli aggettivi con cui cerchiamo disperatamente di descrivere l’interpretazione dei grandi musicisti. Nel caso di Venezi, ad un’abilità tecnica che, nella migliore delle serate, possiamo definire appena dignitosa, non segue una musicalità, un carisma soverchiante che pieghi la materia sonora verso un progetto musicale definito. Si può addurre a motivazione la giovane età della musicista, il fatto che il lavoro del direttore si struttura in anni e anni di professione e che per un direttore trentenne le orchestre di provincia e i concerti d’occasione sono l’inevitabile gavetta. Ma allora tutta la narrazione messa in piedi da lei e dalla sua agenzia, ossia il grande direttore donna in carriera dal fulmineo successo, si rivela per quello che è: una riuscita, ma poco motivata, scelta di comunicazione.
Non che Beatrice Venezi sia in alcun modo un personaggio sgradevole, sia ben chiaro. Le ore passate a leggere interviste, ascoltare TedTalk, seguire podcast e conferenze mi hanno restituito una figura anche positiva, che trasmette molto entusiasmo, impegnata in un tentativo di portare la classica al di là delle barriere (cosa importantissima per cui non si farà mai abbastanza) e che combatte per i diritti delle donne. Purtroppo, questo si ferma spesso alle parole. Una questione molto dibattuta è quella di vestiti, trucco e parrucco: Venezi giustamente rivendica la libertà di vestirsi come più le pare e su questo siamo solidali. Per dirigere un’orchestra non devi essere in smoking come un uomo, giustissimo, e a più riprese la musicista rincara la dose affermando il diritto delle donne che lavorano nella cultura di poter curare la propria immagine senza sentirsi in imbarazzo. Giustissimo ancora, peccato che su questo sia in ritardo di oltre una decina d’anni, ossia da quando le grandi etichette discografiche si son rese conto di quanto l’aspetto conti per vendere i prodotti e hanno iniziato con gli shooting, gli abiti firmati, le scelte più o meno provocatorie per attirare l’attenzione di questo o quel segmento di mercato. Valga ad esempio il caso di Janine Jansen, grande violinista olandese per cui crearono un numero singolo di una rivista di stile e moda dal nome, appunto, “Janine”, con interventi anche da figure quali Sting e Roger Moore. Alla faccia del pop. Ed era il 2009. Ma per la violinista (e per molti altri musicisti di ambo i sessi) l’immagine diventa uno strumento per la promozione di un contenuto musicalmente eccellente.
Anche sul tema femminismo e pari opportunità c’è molto di cui parlare: nelle interviste, ciò che dice Venezi è in genere molto pacato e ragionevole, ma si nota qualche incongruenza quando la medesima persona che lotta per la parità di trattamento tra uomini e donne poi presta il suo volto per pubblicità piuttosto esplicite quali l’ultima per Bioscalin, il cui copy recita testualmente “Tira fuori il tuo lato Bioscalin”, con la B ben evidenziata. Eppure è lei stessa a insistere nella sua comunicazione sull’essere donna, al punto di affermare di venire osteggiata da critici, direttori artistici e sovrintendenti proprio per il suo essere giovane e donna, come denuncia a Vanity Fair nell’ottobre 2019. Non ho trovato recensioni negative sul personaggio che facciano leva sul suo essere giovane e donna, ma risulta difficile credere ad un’affermazione simile in un contesto nazionale ed internazionale che vede anno dopo anno l’affermarsi di giovani direttrici, spesso realmente acclamate dalla critica stessa. Per quale ragione i critici, i direttori artistici e i sovrintendenti italiani dovrebbero parlare bene di Elim Chan, Tianyi Lu, Marie Jacquot, Joana Mallwitz e tutta una generazione, anche italiana, di giovani direttrici, ma avercela con Venezi?
Riassumendo, la questione è molto semplice: la promozione di Beatrice Venezi ne fa un simbolo di qualcosa che non è. I risultati artistici del “direttore donna più giovane d’Europa” sono ingigantiti da un apparato di marketing che fatica a distinguere tra realtà internazionale e orchestra di provincia. I suoi riconoscimenti di carriera sono spesso poco significativi, le opportunità concertistiche più rilevanti appaiono dettate da realtà musicali alla ricerca di sponsor o da quelle meccaniche di scambio che purtroppo popolano il panorama musicale italiano. Il che è un peccato, perché ci vorrebbe davvero in Italia una figura così, capace di essere pervasiva su mille media diversi, capace di farsi portavoce di un nuovo modo di vivere la musica, capace di affermare un modello veramente esemplare, per cui al di là di ogni discriminazione contino solo l’abilità musicale, l’impegno, il talento, la passione, il duro lavoro, la determinazione. Ma questa figura non è Beatrice Venezi.
Alessandro Tommasi
(8 marzo 2021)
Articolo molto interessante e ben costruito, ma c’è un aspetto non condivisibile, quando si legge “Per dirigere un’orchestra non devi essere in smoking come un uomo, giustissimo”. Sbagliato, invece, ci sono ottime ragioni per cui chi dirige si veste da sempre in un certo modo: 1. in nero perché lo sguardo degli orchestrali sia concentrato sulla bacchetta, sulle mani e sul volto del direttore; 2. allo stesso modo degli orchestrali (cioè in frac se loro sono in frac, in smoking se sono in smoking, con l’abito se indossano un abito, una divisa se sono in divisa – militari o certe… Leggi il resto »