Vicenza: le sorprese di Schiff
András Schiff è un autorevole esponente della minoranza che ritiene sia necessario valutare con grande attenzione quale musica suonare al teatro Olimpico di Vicenza. Lo ha sempre sostenuto fin dall’inizio della sua ultraventennale presenza in quello che definisce “il più bel teatro del mondo”, lo ha ribadito in occasione del ritorno alla musica dal vivo al cospetto della cinquecentesca prospettiva scamozziana, un’edizione speciale e forzatamente ridotta, ma in presenza di pubblico, del suo tradizionale “Omaggio a Palladio”. In questo spazio, ha scandito rivolgendosi ai 170 spettatori sulle gradinate e alle migliaia che seguivano lo streaming dal vivo su YouTube, si possono eseguire solo pochi autori: i sommi, gli universali. Coerente a costo di essere considerato uno snob (così ha detto), il celebre pianista ha proposto nei due concerti che ha tenuto all’Olimpico durante il fine settimana del Primo Maggio un ristretto numero di autori che da Bach hanno raggiunto Brahms, passando cronologicamente per Haydn, Beethoven e Schubert. Non saremo noi a dolercene: in questa riapertura dell’Olimpico al pubblico si può leggere anche qualcosa di simbolico per i destini un po’ problematici (sul piano delle scelte culturali) del più antico teatro al coperto del mondo.
Inizialmente, questa edizione della rassegna concertistica di Schiff doveva essere tutta all’insegna delle nuove tecnologie, con l’adozione dello streaming dal vivo per “trasportare” al pubblico due concerti destinati a svolgersi con il teatro deserto perché sbarrato. Le riaperture decise dal governo italiano hanno permesso alla Società del Quartetto, che da sempre tiene le fila dell’organizzazione, di cambiare in corsa, e di riaprire l’Olimpico nella modalità con cui si era chiuso nello scorso ottobre: spettatori distanziati (e comodi, bisogna pur dirlo) sulle gradinate, tutti con mascherina. Restando così le cose, come si spera, alla fine il teatro palladiano potrebbe essere uno dei meno condizionati dalla pandemia: rispetto ai suoi calendari abituali, il conto delle chiusure riguarda finora un paio di mesi nella tarda primavera dell’anno scorso e 15 giorni durante l’aprile appena trascorso (sufficienti, peraltro, per privare il pubblico dell’Alcina di Händel, programmata non si sa bene quando su Rai5 e registrata proprio in quel periodo).
L’eccezionalità della situazione si rifletteva comunque in un dettaglio singolare e certamente raro: il programma del recital inaugurale era a sorpresa. Schiff ha giustificato questa scelta proprio con la particolarità dei tempi in cui viviamo, che condizionano e in molti casi stroncano ogni possibilità di programmazione. Che poi le decisioni siano state prese proprio sul palcoscenico dell’Olimpico, al momento, oppure qualche ora o qualche giorno prima, naturalmente è impossibile dire. Sta di fatto che la serata si è sviluppata come una sorta di viaggio interiore, per larga parte costruito in modo che le musiche proposte riflettessero più l’incertezza e lo sconcerto di fronte alla pandemia che la voglia di ricominciare. E del resto, lo stesso Schiff non nascondeva l’emozione di questa inatteso “debutto” di fronte al pubblico, nel teatro monumentale che predilige. Fino a trovare un feeling tutt’altro che abituale con gli spettatori, i “carissimi vicentini” che spesso in condizioni normali fanno fatica a trovare un posto per ascoltarlo, visto che le ben organizzate legioni internazionali dei suoi fans lasciano davvero poco spazio a chi “legionario” non è.
Il recital si è aperto e per un bel po’ è rimasto nella meditabonda, interiorizzante tonalità di Si minore. Apertura con un Preludio e Fuga di Bach (l’ultimo del primo Libro), quindi l’Adagio K. 540 di Mozart, che è pagina misteriosa fin dalle sue motivazioni ed è una di quelle composizioni in cui il salisburghese più lascia intuire del suo vero sé. E ancora il primo Intermezzo dell’op. 119 di Brahms, autunnale trionfo di malinconia, come lo stesso autore sottolineava nell’inviarne copia a Clara Schumann. Sono seguiti altri tre Intermezzi brahmsiani (gli altri due compresi nell’op. 119 e il primo dell’op. 117), ma la cauta apertura ad una più sorridente ed estroversa espressività è stata subito sopita dalle inquietanti “Geistvariationen” di Schumann, l’ultima composizione pianistica scritta prima che la mente del compositore sprofondasse completamente. Il colpo d’ala si è avuto alla fine, nel nome di Beethoven e della sua Sonata op. 109. Una pagina di trascendentale quanto profonda serenità, nella quale (e specialmente nelle conclusive Variazioni) Schiff vede un inno alla speranza e all’ottimismo.
Il tutto è stato proposto – come mai finora era accaduto a Vicenza – con uno dei suoi meravigliosi pianoforti d’epoca, un Blüthner del 1859. Strumento “maturo” e dal suono straordinariamente fascinoso, con bassi robusti e sempre eleganti e con acuti ben timbrati, impeccabili per disegnare la poesia della tessitura alta cui spesso Beethoven indulge nella 109. Così, nell’arco di questo recital molto particolare si è avuto modo di ascoltare Bach e Mozart secondo raffinato “suono Ottocento” ma anche autori che componevano proprio per strumenti del genere (Brahms e Schumann) e un altro – Beethoven – che affidato a una tastiera come questa trova una rispondenza ideale. In tutti i casi, András Schiff ha fatto valere un magistero interpretativo che dalla qualità del suono parte ogni volta per costruire esecuzioni rigorose e poetiche, di introspettiva forza espressiva e soprattutto di seducente quanto mutevole eleganza timbrica.
Nella logica di esecuzioni “storicamente avvertite” si è svolto anche il secondo e ultimo concerto della rassegna, nel quale Schiff era affiancato dal violinista Erich Höbarth e dal violoncellista Christophe Coin. In questo caso, per un programma basato sul Trio in Sol maggiore Hob: XV, 25 di Haydn e sul seducente Trio op. 99 di Schubert, il pianoforte era un Franz Brodmann del 1820: qualcosa di più, rispetto alle tastiere per cui scriveva Haydn; esattamente lo strumento su cui si può immaginare componesse Schubert. Strumento magnifico, anche questo: suono maturo e fascinoso, da un lato per la sua distanza dalle “dimensioni” che lo sviluppo della tecnica ha portato nella consuetudine esecutiva, dall’altro per la pienezza timbrica e l’equilibrio, che anche lo streaming dal vivo ha fatto percepire assai bene. Interpretazione densa ed estroversa, specialmente in Schubert, con Schiff brillante e sempre squisitamente in stile, Höbarth nitido e incline alla leggerezza cantabile, Coin perfettamente in equilibrio con gli altri grazie a un suono corposo e di notevole duttilità.
In presenza (chi scrive era all’Olimpico per il recital) o grazie allo streaming, l’esperienza d’ascolto è stata per molti aspetti rivelatrice. E ha confermato che i nuovi media sono ormai un elemento indispensabile del fare musica dal vivo. Un’idea che a quanto pare sta maturando lo stesso Schiff, che non intenderebbe rinunciarvi spesso in futuro. Entrambi i concerti restano disponibili sulla pagina YouTube del Quartetto (https://www.youtube.com/user/QuartettoVicenza). Importante la regia video di Daniele De Plano: musica, esecutori e monumento sono efficacemente “raccontati” per immagini, svelando la loro naturale e perfino commovente relazione. E anche sul televisore, il suono rende giustizia alle interpretazioni.
Cesare Galla
(1° e 2 maggio 2021)
La locandina
Piaonoforte | András Schiff |
Violino | Erich Höbarth |
Violoncello | Christophe Coin |
Programma: | |
1° maggio | |
Programma a sorpresa | |
2 maggio | |
Franz Joseph Haydn | |
Trio in Sol maggiore Hob: XV, 25 | |
Franz Schubert | |
Trio op. 99 |
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