Bruno de Sá: “La voce non è una questione di genere”
L’oratorio di Alessandro Scarlatti “Cain, overo il primo omicidio” al Festival di Pentecoste a Salisburgo (qui la recensione) ha segnato il ritorno sulle scene – dopo l’interruzione degli spettacoli a causa della pandemia – del sopranista Bruno de Sá, una delle voci più versatili e interessanti del panorama musicale d’oggi. A lui abbiamo rivolto qualche domanda, scoprendo non solo la raffinatezza dell’artista, ma anche la profondità della persona.
- Com’è stato tornare ad esibirsi dal vivo?
Questo è stato il mio debutto a Salisburgo, dove nel 2018 avevo fatto un’audizione del “Aci, Galatea e Polifemo”. È stato davvero emozionante tornare su un palcoscenico e davanti al pubblico dopo mesi; il mio ultimo spettacolo era stato lo scorso settembre a Vienna.
- E lo streaming?
Lo streaming ha aperto nuove strade per esibirsi e si sta sicuramente consolidando, ma lo spettacolo dal vivo è insostituibile. Certo, uno non esclude l’altro, anche perché lo streaming favorisce una fruizione globale, permettendo l’accesso anche a chi non può viaggiare o non può pagare il prezzo di un biglietto. Il mio primo streaming senza pubblico è stato ad Amsterdam e la sensazione è stata stranissima; nessuno dei rumori tipici di una sala con il pubblico e anche l’incertezza se inchinarsi o no.
- Una domanda “tecnica”: come ti definisci? Sopranista o controtenore?
Sono un sopranista e quando mi definiscono controtenore mi arrabbio perché sono due registri completamente differenti. I miei “passaggi” sono diversi da quelli dei controtenori; ovviamente non dico che sia meglio o peggio, solo diverso Non canto solo il repertorio barocco e quello contemporaneo, ci sono tanti ruoli che posso sostenere; ho affrontato anche Wagner e Bellini, ad esempio. Per capire la mia voce bisogna ascoltarla, senza pregiudizi. Ogni generazione, a partire da quella di Alfred Deller, ha aperto la strada a nuovi percorsi della voce – quella di controtenore esiste da sempre – e ampliando i repertori. Non voglio mettere limiti a quello che si può fare
- Dunque la voce non è un a questione di “genere”.
Assolutamente no. Le emozioni non sono legate al “genere”, così come non lo è l’abilità vocale. Se tutto funziona bene, anche se il compositore aveva previsto un ruolo per castrato o per voce femminile, allora perché non farlo? Non credo di avere inventato nulla; elle tragedie greche, così come poi nel teatro di Shakespeare – per fare due esempi – le parti femminili erano affidate a uomini. Ben inteso che tutto deve avere senso in palcoscenico.
- E i “custodi della tradizione”?
Tradizione è qualcosa che si ripete immutabile nelle generazioni e qualcuno si offende se si prova a cambiarla; io non voglio assolutamente sovvertire nulla, ma mostrare la tradizione da un altro punto di vista. Il mio compito è cercare di fare arte con la mia voce e i miei sentimenti.
- Come ti rapporti con le scelte dei ruoli?
Non bisogna necessariamente puntare sempre a ruoli grandi, perché anche attraverso quelli più piccoli si possono tramettere meravigliosi messaggi.
- Rispetto al resto d’Europa i controtenori e i sopranisti sono diventati “popolari” solo in tempi recenti. Come lo spieghi? Pregiudizio o ignoranza?
Credo sia un po’ colpa del gusto italiano e di una conoscenza non approfondita del repertorio riservato a questi registri.
- Però tu nel 2018 hai vinto il concorso “Spiros Argiris” a Sarzana…
Sì, e vorrei tornare in Italia, dove altre al concorso ho poi solo inciso un disco. Ricordo che la la presidente di giuria era Raina Kabaivanska che mi disse “Ma se sei un soprano perché canti le arie da mezzo? – portavo la cavatina di Romeo dai “Capuleti e i Montecchi” di Bellini…
- I tuoi prossimi impegni?
Il “Caio Frabricio” a Gliwice in Polonia e “Agrippina” a Stoccolma.
Alessandro Cammarano
Condividi questo articolo