Firenze: la Forza del destino tra metafisica e Legge di Murphy
Che la Forza destino sia un meraviglioso feulleiton in cui si rappresenta una realtà distopica è un dato di fatto, così come lo è la sua incredibile difficoltà ad essere rappresentata in maniera credibile sia dal punto di vista drammaturgico che da quello più squisitamente musicale, tanto da far pensare che l’aura iettatoria con la quale la “tradizione” ha voluto, a torto, circondarla non derivi dall’elevato numero di morti – giova ricordare nella prima versione pietroburghese del 1862 nessuno dei protagonisti sopravviveva – ma più che altro dall’impervietà della musica e soprattutto delle parti vocali.
Carlus Padrissa, per il suo allestimento al Maggio Musicale Fiorentino, decide di raccontare una personale versione dei fatti attraverso la visione del metafisico David Lewis che ipotizza un mondo ove coesistano contemporaneamente presente passato e futuro e in cui è vero tutto e il suo contrario; ogni cosa converge però in un unico punto di fuga prospettico capace di sintetizzare la visione.
Punto di partenza affascinante quello del regista iberico, peccato che tutto resti a livello puramente epidermico seppur all’interno di un impianto scenografico complesso realizzato da Roland Olbeter e animato dalle videoproiezioni di Franc Aleu – disturbanti quanto uno screensaver di Windows 98 – che si ispira all’interferometro di Michaelson denominato VIRGO.
Da qui l’azione procede, o recede, nel tempo e nello spazio, il tutto “spiegato” da didascalie che sono un giusto compromesso tra quelle di Star Wars e quelle di Space Balls. Dal Settecento “rivisitato” del primo atto si arriva al mondo post terzo conflitto mondiale – quello ipotizzato da Einstein ove le guerre si combatteranno con bastoni e pietre – passando per altri mondi possibili che hanno come unico denominatore comune i costumi brutti più che mai, oltre che stravisti, di Chu Uroz.
La sensazione è quella di uno spettacolo inutile fatto da un collage di citazioni cinematografiche – da 2001 odissea nello spazio a Mad Max, passando per Blade runner, Straship Troopers per finire in gloria con i Flintstones – che, mascherate da operazione intellettuale da un Padrissa più Mastro Trabuco che mai, risultano semplicemente fastidiose. Su Melitone che invece della zuppa ammannisce ai poveri pezzi presi da una carcassa di mucca spaziale e Alvaro e Carlo duellati a colpi di femori d’animale è meglio stendere un velo pietoso.
Per spiegare la Forza del destino è perfettamente bastevole la Legge di Murpy, che recita testualmente: «Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo.». Facile, no? C’era bisogno di VIRGO?
Non va benissimo neppure dalle parti dell’esecuzione musicale, scandita dai tempi tantrici imposti da Zubin Mehta – irriconoscibile rispetto alla Tosca sublime di qualche giorno fa (qui la recensione) – e capaci di mettere tutt’altro che a proprio agio i cantanti. Peccato, perché gli impasti sonori – grazie anche all’Orchestra sempre in gran spolvero – sono di quelli capaci di creare atmosfere ammalianti.
Saioa Hernandez disegna una Leonora di Vargas gagliarda nel piglio e vocalmente inappuntabile, tornita nei centri e dall’acuto svettante, mentre Roberto Aronica rende il suo Don Alvaro tormentato e introverso attraverso un fraseggio sempre meditato.
Amartuvshin Enkhbat – Don Carlo – si conferma voce di prim’ordine ma carente nell’interpretazione tanto da risultare spesso generico e Ferruccio Furlanetto dà voce e corpo ad un Padre Guardiano vocalmente oramai ectoplasmico seppur sostenuto da grande autorevolezza scenica.
Al suo debutto nel personaggio Annalisa Stroppa si dimostra Preziosilla ricca di sfumature rese attraverso una linea di canto salda e uniforme, così come Nicola Alaimo – cogliendo la vera essenza del catattere – è Melitone cesellato al bulino e scevro da qualunque macchiettismo.
Nello stuolo dei comprimari spiccano il Mastro Trabuco extralusso di Leonardo Cortellazzi, l’ottimo Marchese di Calatrava di Alessandro Spina, l’Alcade puntuale di Francesco Samuele Venuti, la Curra precisa di Valentina Corò e il Chirurgo di Roman Lyulkin.
Molto bene il coro istruito da Lorenzo Fratini.
Applausi cordiali e la sensazione che la Forza non sia stata con noi.
Alessandro Cammarano
(7 giugno 2021)
La locandina
Direttore | Zubin Mehta |
Regia | Carlus Padrissa |
Scene | Roland Olbeter |
Costumi | Chu Uroz |
Luci e video | Franc Aleu |
Personaggi e interpreti: | |
Leonora | Saioa Hernández |
Don Alvaro | Roberto Aronica |
Don Carlo di Vargas | Amartuvshin Enkhbat |
Preziosilla | Annalisa Stroppa |
Padre Guardiano | Ferruccio Furlanetto |
Fra Melitone | Nicola Alaimo |
Il marchese di Calatrava | Alessandro Spina |
Mastro Trabuco | Leonardo Cortellazzi |
Curra | Valentina Corò |
Un alcade | Francesco Samuele Venuti |
Un chirurgo | Roman Lyulkin |
Solisti del Coro | Ferruccio Finetti, Leonardo Melani, Luca Tamani |
Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino | |
Maestro del coro | Lorenzo Fratini |
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