Martina Franca: i lacci di Griselda
Non è un caso che Boccaccio affidi la conclusione, tutta morale, del Decameron a Dioneo – il più scapestrato e disinvolto del gruppo dei novellatori – a cui è dato di narrare nel decimo racconto della decima giornata la vicenda di Griselda “esempio di fedeltà coniugale”.
Nella Roma tardo-controriformista un dramma in cui la prova dolorosa diviene strumento di lode e contemporaneamente invito alla sottomissione non poteva che riscuotere il più caloroso dei successi.
Se la musica di Alessandro Scarlatti è improntata al movimento, realizzato attraverso attraverso sottigliezze armoniche e contrappuntistiche capaci di mettere in risalto le caratteristiche salienti di ciascun personaggio, il libretto di Apostolo Zeno ricalca Boccaccio senza piaggeria.
Il problema – perché un problema c’è – è una certa qual staticità dell’azione, che pone al regista del nostro tempo non pochi problemi.
Al Festival della Valle d’Itria il compito di riportare in scena le vicende di Griselda – nel trecentesimo anniversario della sua prima rappresentazione e nell’edizione critica di Luca Della Libera – sono affidate a Rosetta Cucchi che, con il contributo essenziale di Tiziano Santi per le scene e Cristina Pernigotti per i costumi insieme al disegno di luci di Pasquale Mari, riesce a rendere perfettamente intellegibile e subito fruibile la narrazione drammaturgica.
Il potere di Gualtiero poggia su basi incerte e il divano gattopardesco – l’azione è spostata in una Sicilia appena annessa al regno d’Italia – che domina la prima parte dell’opera poggia su una distesa di sabbia, vero Leitmotiv dell’allestimento, che a momenti sembra illiquidirsi per diventare pietrosa un attimo dopo rendendo visibili le emozioni dei protagonisti.
Funziona pressoché tutto nella regia della Cucchi: dai “picciotti” non sempre amichevoli che animano le controscene ai rami spogli della selva dove Griselda è confinata a vivere fino al terzo atto la cui marmorea staticità è risolta legando tutti i protagonisti a seggiole poste al proscenio – solo Griselda, in quanto priva di colpa, siede volontariamente – cantano mentre i loro doppi agiscono sullo sfondo.
Sul versante musicale George Petrou – e con lui La Lira di Orfeo corposa nell’organico ma esile nel suono – offre una prova di corretto grigiore tra tempi eccessivamente sostenuti e dinamiche sempre uguali a se stesse tanto da non distinguere un aria “di sonno” da una “di furore”.
Carmela Remigio tratteggia una Griselda indomita grazie ad un fraseggio sapiente e ad una recitazione appassionata, in perfetta sintonia con il Gualtiero dagli umori mutevoli – che trovano piena espressione nel canto – di Raffaele Pe.
Francesca Ascioti, contralto vero, è Ottone sontuoso mentre Krystian Adam tratteggia con canto sapiente il suo Corrado.
Bravissime Miriam Albano nei panni di Roberto e Mariam Battistelli come Costanza.
Ancora una volta ottima la prova del Coro Ghislieri nel breve intervento a chiusura dell’opera.
Alessandro Cammarano
(1° agosto 2021)
La locandina
Direttore | George Petrou |
Regia | Rosetta Cucchi |
Scene | Tiziano Santi |
Costumi | Claudia Pernigotti |
Luci | Pasquale Mari |
Scenografo collaboratore | Alessia Colosso |
Personaggi e interpreti: | |
Gualtiero | Raffaele Pe |
Griselda | Carmela Remigio |
Ottone | Francesca Ascioti |
Costanza | Mariam Battistelli |
Corrado | Krystian Adam |
Roberto | Miriam Albano |
Everardo | Carlo Buonfrate |
La Lira di Orfeo | |
Coro Ghislieri | |
Maestro del coro | Giulio Prandi |
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