Verona: due volti della Russia al Settembre dell’Accademia
Dopo l’inaugurazione anticonvenzionale con i giovani dell’orchestra del Mar Baltico, il Settembre dell’Accademia è rientrato nel solco principale della sua storia trentennale, realizzando una notevole “doppietta russa”. Nel giro di tre giorni, hanno preso posto sul palcoscenico del teatro Filarmonico due fra le principali orchestre del paese slavo che peraltro non avevano ancora mai suonato a Verona: la National Philharmonic Orchestra of Russia e l’Orchestra Mariinskij di San Pietroburgo, guidate rispettivamente da Vladimir Spivakov e Valery Gergiev, vale a dire due fra i più rispettati “padri nobili” della musica in Russia, peraltro entrambi titolari di sontuose carriere planetarie.
Occasione assai interessante (e ben costruita, nella sua immediatezza) per capire come sia lo stato delle cose musicali a Est, se è vero che queste due formazioni, in questo momento, sono fra le punte di diamante del concertismo fra Mosca e San Pietroburgo. E si parla fra l’altro di una compagine strumentale recentissima, fondata appena 18 anni fa per diretto interessamento di Vladimir Putin (la Filarmonica Nazionale) e di una che invece ha una storia pluri-secolare, visto che l’orchestra del teatro Mariinskij affonda le sue radici nel Settecento.
I tempi che viviamo sono complicati per tutti, ma forse per le orchestre ancora di più: suonare insieme in grandi organici è attività che postula come indispensabile una vicinanza anche fisica, oltre che artistica e tecnico-musicale, spesso ostacolata dalle norme anti-epidemiche, almeno quando si arriva all’esecuzione in presenza di pubblico. Non sapremmo dire quali siano attualmente le regole a Mosca o a San Pietroburgo, ma abbiamo potuto constatare a Verona scelte piuttosto diverse. La Filarmonica Nazionale si è presentata con un organico poco oltre la sessantina di elementi, più robusto di quello della Mariinskij. Abbastanza per richiedere la tradizionale disposizione degli archi a due per leggio, quando invece la Mariinskij ha ricalcato quella che è diventata una prassi comune da un anno a questa parte: un solo esecutore per leggio, quindi elementi maggiormente distanziati e inevitabilmente (lo spazio non avrebbe permesso di fare altrimenti) organico nettamente più contenuto un po’ in tutte le sezioni degli archi ma specialmente in quelle basse (cinque violoncelli e tre contrabbassi).
In un’intervista della quale si dà conto nel numero del periodico Cadenze, pubblicato dall’Accademia Filarmonica (a disposizione del pubblico in queste settimane), Gergiev ha sostenuto la tesi che dal punto di vista musicale San Pietroburgo guardi a Occidente molto più di Mosca. I programmi delle due serate avevano impostazioni che in effetti rispecchiavano questa considerazione. Anche se pare a noi che le musiche scelte delle due orchestre riflettessero soprattutto le “condizioni” stilistiche ed esecutive legate agli organici. Sta di fatto, però, che la Filarmonica Nazionale ha squadernato un Rachmaninov-Cajkovskij di consolidata tradizione per le orchestre che vengono da Est, come ad esempio ha quasi sempre fatto a Verona la Filarmonica di San Pietroburgo guidata da Yuri Temirkanov (il che peraltro contraddice, almeno in parte, l’assunto di Gergiev). Mentre la Mariinskij si è prodotta un programma che si potrebbe definire “stile Proms” (i popolari concerti sinfonici londinesi della Royal Albert Hall), aperto dalla Sinfonia del Guillaume Tell e concluso dalla terza Sinfonia, la Scozzese, di Mendelssohn-Bartholdy. Unica concessione alla “russicità”, una breve Suite dal Balletto Romeo e Giulietta di Prokof’ev.
La Filarmonica Nazionale propone un suono denso e piuttosto scuro, ma non sempre “profondo” in maniera convincente, come sarebbe necessario per rendere al meglio pagine quali il secondo Concerto per pianoforte di Rachmaninov, con le sue perorazioni accalorate e il testa a testa fra orchestra e tastiera, spesso spinto a infuocate dimensioni sonore. In realtà l’esecuzione veronese non si è quasi mai allontanata dal carattere di una efficace routine sia in orchestra che nella prova come solista del diciannovenne Ivan Bessonov, capace di scolpire – con tecnica egregia – rocciosi e un po’ generici panorami espressivi nel primo e nel terzo movimento, meno di trovare la poesia forse un po’ sospirosa ma sicuramente coinvolgente dell’Adagio. Come suol dirsi, una prova acerba ma promettente, da parte di un interprete che ha ampi margini di miglioramento.
Ben più intrigante l’esecuzione della Quinta Sinfonia di Cajkovskij, sapientissimo ed elegante polittico musicale che ha esaltato la lucidità di un direttore di formazione classicistica e gesto essenziale come Vladimir Spivakov. Il suo lavoro scava nei dettagli senza mai esasperare l’espressione e ottiene il meglio dalla Filarmonica Nazionale soprattutto per quanto riguarda l’equilibrio fra sezioni, senza peraltro riuscire a regalare ai violini (il suo strumento di superbo virtuoso…) l’eloquenza persuasiva che sarebbe stata auspicabile. In ogni caso, è stato un Cajkovskij apprezzabile perché concedeva poco o nulla alla retorica plateale fine a se stessa ma risultava elegante e riflessivo, a rivelare una essenziale comprensione del genio di questo compositore, popolare ma spesso sottovalutato.
Suono più chiaro, tendenzialmente luminoso ma talvolta un po’ “frenato” ha palesato l’orchestra Mariinskij. Il gesto febbrile e radicalmente anticonvenzionale di Valery Gergiev – un continuo frullare delle mani e delle dita, quasi a intercettare rabdomanticamente la natura e il colore del suono – tende a realizzare una complessa introspezione musicale che – come dimostra la sua discografia – raggiunge risultati straordinari nel repertorio tardo-romantico e del primo Novecento. Rossini appartiene a un altro mondo: la Sinfonia dal Tell è stata proposta con indubbio spessore ma intermittente smalto ritmico e coloristico. E a un altro mondo appartiene anche Mendelssohn: la sinfonia Scozzese è stata riletta con meditabonda severità, senza lasciare troppo spazio alla sapiente brillantezza sciorinata dal compositore tedesco. Non a caso, maggiore profondità – e gli accenti di una modernità che il compositore teneva a bada ma che in questa esecuzione emergeva nitidamente – si è apprezzata nei densi frammenti del Romeo e Giulietta di Prokof’ev e specialmente nel sofisticato bis con il Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy, palestra per il virtuosismo strumentale della compagine di San Pietroburgo come pure per la profondità di pensiero del suo magnetico direttore.
Cesare Galla
(10 e 13 settembre 2021)
La locandina
Venerdì 10 settembre | |
Direttore | Vladimir Spivakov |
Pianoforte | Ivan Bessonov |
National Philharmonic Orchestra of Russia | |
Programma: | |
Sergej Vasil’evic Rachmaninov | |
Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in do minore Op. 18 | |
Pëtr Il’ič Čajkovskij | |
Sinfonia n. 5 in mi minore Op. 64 | |
Lunedì 13 settembre | |
Direttore | Valery Gergiev |
Orchestra Mariinskij di San Pietroburgo | |
Programma: | |
Gioachino Rossini | |
Guglielmo Tell (Sinfonia) | |
Sergej Sergeevič Prokof’ev | |
Romeo e Giulietta Op. 64 (estratti) | |
Felix Mendelssohn-Bartholdy | |
Sinfonia n. 3 in la minore Op. 56 “Scozzese” |
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