Vicenza: Poppea incoronata e i tacchi di Nerone

Per invogliare lo scafatissimo pubblico veneziano ad andare a teatro i temi proposti nelle opere dovevano essere estremamente “attraenti”. Lo sapeva bene Monteverdi, che della Venezia musicale della prima metà del Seicento era duumviro insieme a Pierfrancesco Cavalli, quando affidandosi al genio letterario del Busenello – padre spirituale di tutti i grandi librettisti a venire – mise in musica uno tra i più sensuali, se non il più sensuale, esempi di teatro in musica di sempre.

L’incoronazione di Poppea non tratta solo di amore, o meglio di sesso, ma anche e soprattutto del potere inteso in ogni sua più recondita sfaccettatura discriminando nettamente tra ciò che nel suo esercizio è morale e quello che al contrario non lo è.

Salutato da un Teatro Olimpico dalla ritrovata piena capienza l’allestimento del capolavoro monteverdiano proposto come evento di punta del Vicenza Opera Festival risulta di fatto insoddisfacente.

Marco Gandini e Iván Fischer, che firmano congiuntamente la regia, sembrano concentrarsi quasi esclusivamente sull’Amore tralasciando tutto il resto.

Lo spazio scenico, ideato da Andrea Tocchio, capace di prescindere da uno spazio teatrale esistente ­ e con cui è invece necessario fare i conti, richiama nei suoi colori il cafone-opulento degli gli anni Novanta sempre in bilico tra la casa “ricca” di una telenovela e una profumeria.

Al suo interno si muovono non solo i protagonisti ma anche la stessa orchestra, capace di spartirsi in piccoli gruppi che partecipano all’azione e questo è l’aspetto migliore della regia.

Il resto appare vagamente casuale, come se non si fosse riusciti a trovare un vero filo conduttore della drammaturgia e tutto si affidasse ad una serie di trovate giustapposte e fini a loro stesse.

Non bastano i bei costumi che, insieme a quelli degli altri personaggi, ha creato Anna Biagiotti che veste Poppea come Rihanna o Byoncé o le luci rapinose di Tamás Bányai a fare teatro, soprattutto quando sono musica e parola a suggerire l’azione.

Perché svilire Seneca trasformandolo in una parodia di una specie di Monet travestito da entomologo – il retino manca ma lo si può immaginare – in knickerbocker ghette e cappello di paglia? E poi qual è la ragione di Nerone all’improvviso in tacchi a spillo? E il valletto e la damigella che giocano a fare i coniglietti durante il loro duettino?  Ma soprattutto perché ridurre quel concentrato di erotismo che il grande duetto Nerone-Poppea a miserevole sesso telefonico?

Funzionano di contro le caratterizzazioni delle due vecchie, ovvero Arnalta e la Nutrice, affidate alla maestria assoluta del loro interprete.

Risultati ondivaghi anche sul versante musicale.

La Budapest Festival Orchestra suona strumenti d’epoca, ma i violini portano corde d’acciaio e gli archetti sono moderni, creando un suono ibrido con la viola da gamba e la tiorba – oltre che con i flauti a becco e i traversieri – che riporta ad esecuzioni “antiche” ma non storicamente informate della prima Barocco Renaissance.

Iván Fischer sceglie comunque tempi ben calibrati e soppesa con acume le dinamiche rendendo vivido il narrato anche attraverso arcate melodiche misurate.

Incantevole è la Poppea di Jeanine De Bique, dalla voce di bel velluto e seducente nel fraseggio oltre di prorompente fisicità, facendo sfigurare ancor più il Nerone di Valer Sabadus, impacciato nella recitazione, incomprensibile, dalla voce scialba e incolore .

Sempre magnifica Luciana Mancini che veste i panni di un’Ottavia indomita e della Virtù, il tutto con vocalità generosa e rigoglio di accenti.

Reginald Mobley è Ottone volenteroso e musicale ma filiforme nell’emissione mentre Núria Rial disegna una Drusilla di buon cesello.

Sugli scudi Stuart Patterson capace di dar vita a due interpretazioni memorabili caratterizzando con gusto sopraffino e canto perfetto Arnalta e la Nutrice. Si ricorderà a lungo il suo “Oblivion soave” tutto sussurrato; a lui due tre applausi a scena aperta – l’altro era andato alla Mancini – della serata.

Bravo Gianluca Buratto capace di dare credibilità al suo Seneca nonostante la regia penalizzante.

L’onnipresente Amore, e poi anche Valletto, è Jakob Geppert, voce bianca della Chorakademie Dortmund, che recita meglio di quanto non canti

A completare il cast gli ottimi Thomas Walker (Un soldato/Lucano/Un familiare/Un console), Francisco Fernández-Rueda (  Un soldato/Un liberto/Un familiare/Un console), Peter Harvey (Un familiare/Un littore/Un tribuno) e Silvia Frigato (La Fortuna/Una damigella/Venere).

Il pubblico gradisce, ride e alla fine applaude.

Alessandro Cammarano
(30 ottobre 2021)

La locandina

Direttore Iván Fischer
Regia  Iván Fischer e Marco Gandini
Costumi Anna Biagiotti
Scene Andrea Tocchio
Lighting designer Tamás Bányai
Personaggi e interpreti:
Poppea Jeanine De Bique
Nerone Valer Sabadus
Ottone Reginald Mobley
Drusilla Núria Rial
Ottavia/La Virtù Luciana Mancini
Arnalta/La nutrice Stuart Patterson
Seneca Gianluca Buratto
Un soldato/Lucano/Un familiare/Un console Thomas Walker
Un soldato/Un liberto/Un familiare/Un console Francisco Fernández-Rueda
Un familiare/Un littore/Un tribuno Peter Harvey
La Fortuna/Una damigella/Venere Silvia Frigato
Un valletto/Amore  Jakob Geppert
Budapest Festival Orchestra

1 commento
  1. scrn037
    scrn037 dice:

    Sono in disaccordo con la sua recensione dell’evento come totalmente insoddisfacente, anzi per me è stato un magnifico spettacolo.

    Partirei con l’immagine di Nerone e dei suoi tacchi a spillo: sinceramente, conoscendo l’opera di Monteverdi e la figura di Nerone, mi sarei stupita se in un’ambientazione imperiale contemporanea ed un po’ “riccanza-cafonal” NON si fosse presentato in tacchi a spillo di vernice, che mi hanno molto divertito.

    Ho trovato poi perfettamente appropriato anche il duetto con i coniglietti. Ricordo che lo stesso Monteverdi aveva inserito l’aria in una seconda stesura, per stemperare la commozione dopo la morte di Seneca: ecco, in un’aria che inizia con “Sento un certo non so che, che mi pizzica e diletta…” io ho visto con favore il delizioso valletto e la damigella, che nella stesura sarebbero stati dei formosetti, nella veste di coniglietti di Playboy.

    Infine, su Seneca ed i suoi seguaci, non ho avuto problemi a vederli come entomologi senza retino, intenti a studiare la natura umana e le efferatezze della corte imperiale con scientifico disincanto.

    Siamo stati abituati a vedere sui palchi d’opera di tutto, dalle sfilate di pellicce Annabella a duetti fra Leporello nudo nel letto con donna Elvira: io non ho visto tutte queste stranezze che lei lamenta nell’allestimento, e mi annovero fra il pubblico che ha gradito ed applaudito.

    Simona

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