Rimini: la regina Cleopatra sbarca sulle rive dell’Adriatico
Cecilia Bartoli “appare” per la terza volta al Teatro Galli di Rimini. Data speciale e attesissima della 72esima Sagra Musicale Malatestiana, prima e unica tappa italiana di un tour che toccherà Martigny, Parigi, Amsterdam, fino a Berlino e Vienna. In teoria, la serata sarebbe dovuta essere un omaggio a pochi e mirati compositori barocchi, quindi, un appassionante e interessante viaggio nella vocalità e nella musica orchestrale di Händel
e di altri musicisti che furono ispirati dall’astrale virtuosismo dell’adulato castrato Farinelli, a cui la Bartoli ha già reso omaggio incidendo nel 2019 un vendutissimo CD dal titolo appunto ”Farinelli”. Tuttavia, utilizzare un aggettivo come “riduttivo” per riferirsi a un sofisticato concerto di canto con orchestra non sarebbe minimamente sufficiente per indicare cos’è un concerto della Bartoli. La fantasia formidabile, il coraggio senza limiti, il talento prodigioso per non parlare del contagioso senso dell’umorismo e l’arte magnetica di tenere in pugno la musica, l’orchestra, il palcoscenico come fosse una maga incantatrice hanno reso la serata un indimenticabile spettacolo d’alta classe interpretato da una musicista di levatura storica ormai. Su uno sfondo continuamente mutevole, la diva regala un vero e proprio sogno dove ogni aria diventa un’esibizione a se stante: costumi sfavillanti e pochi oggetti a lato del palco, con il contorno dei bravissimi musicisti dell’Orchestra Les Musiciens du Prince-Monaco, allestiscono un piccolo ma elegantissimo camerino fuoriuscito da un baule ancora prima dell’entrata in scena della cantante, creando una minimale ma raffinatissima atmosfera, dovuta semplicemente a un intuito artistico formidabile. Nel camerino l’artista si siede, si trucca, si cambia le parrucche, aspetta, medita, ridacchia, si stufa, si fa pregare per rientrare sul palco, diventa partecipe della musica stessa e con una complicità geniale di sguardi col Direttore si inventa mille trucchi pur di non lasciare mai spazio alla noia, dato che la chiusura di ogni pezzo viene prolungata in un arrangiamento che sfocia nel brano successivo senza soluzione di continuità. Non bisogna dimenticare che si sta ascoltando musica del ’600 e del ‘700 laddove lo sbadiglio sarebbe dietro l’angolo dopo 2 minuti, invece il pubblico è ipnotizzato come se ognuno dei presenti stesse ascoltando la sua musica preferita cantata dal suo cantante preferito. Accompagnata dall’attore e danzatore Xavier Laforge, suo lacchè con cui gioca recitando magistralmente durante tutto lo spettacolo, ella si cambia d’abito per ogni aria proprio a lato del palco, nel suo guardaroba-privé: si veste, si sveste, si traveste. Il risultato finale è uno sfoggio di tutta la dirompente e strabiliante personalità artistica della Bartoli, che trasforma magicamente un repertorio fino a pochi decenni fa considerato roba da specialisti, se non musica sconosciuta, in musica pop nel senso di popular music perché chiunque melomane o no, colto o no, che ascolti i Rolling Stone o Wagner, di fronte alla musica pop dei secoli scorsi riproposta oggi in tal modo grazie a un’intelligenza artistica di superiore levatura ne rimarrebbe e ne rimane entusiasta.
Si inizia con una rapinosa sinfonia del Rinaldo di Händel, percependo immediatamente l’accompagnamento di Gianluca Capuano, deciso ma delicato allo stesso tempo, ottenendo un suono pieno e scattante, sempre teatrale, passando senza alcuna disomogeneità da ritmi vorticosi a momenti lirici che destano estrema densità emotiva. Non ci si accorge che Farinelli entra in scena: parrucca corta nera, look transgender, camicia a sbuffo, pantaloni neri e stivali da corsaro, attacca con una splendida messa di voce il recitativo e aria di Aci “Lontan dal solo e caro… Lusingato dalla speme” dal Polifemo di Nicola Porpora. Si intuisce che la voce si sta scaldando durante questa prima aria: il suono è comunque sempre pulito, il timbro bruno e caldo, la voce subito ben proiettata, perfettamente amalgamata con la “sua” orchestra.
La coloratura inizialmente è ancora “sotto controllo” ma sempre sicura e precisa, siamo comunque a livelli altissimi, ovviamente se questo primo assaggio di bravura fosse intonato da un’onesta cantante qualsiasi, renderebbe quest’ultima un soprano di coloratura di eccelsa qualità. Comunque c’è già nell’aria un presagio di tempeste canore, che infatti si manifestano immediatamente dopo negli inverosimili gorghegginel duetto con l’oboe. Una poeticissima “Entrée des songes funestes” dall’ Ariodante fa da preludio al notissimo brano successivo, “Lascia la spina, cogli la rosa” da Il trionfo del tempo e del disinganno di Händel, aria sublime, ignorantemente più famosa solo per meriti cinematografici come “Lascia ch’io pianga” nella versione riadattata da Händel per il Rinaldo. Silenzio assoluto, la platea trattiene il respiro mentre la Bartoli quasi immobile in proscenio stringe le mani al petto o le stende verso il basso, commuove con un canto di una dolcezza estrema: messe di voce, pianissimi, filati, un fraseggio e un legato sovrani, un canto di una dolcezza intollerabile. Un’infinità di colori e di sfumature, dopo l’ultima nota il teatro esplode in un applauso interminabile e liberatorio. Il concerto potrebbe tranquillamente finire qui.
Il sublime suono del violino del Marc Antonio e Cleopatra di Johann Adolph Hasse accompagna la diva seduta nella sua toeletta, ora il castrato si traveste per emergere come la regina d’Egitto. Adornata con perle, abito nero lungo e frangia corta “alla Cleopatra” sembra Liza Minelli che indossa un Halston per un concerto alla Carnegie Hall, canta “V’adoro, pupille” dal Giulio Cesare in Egitto di Händel contornata da enormi piume di struzzo grigie che i suoi due adoranti assistenti le tengono sopra la testa, o la circondano creando un effetto regale, mentre la cantante da vera sovrana, regala una performance magnifica, una sorta di matrimonio tra musica superbamente eseguita e un musical in costume. Lirismo allo stato puro impregnato di seduzione che si innalza in pianissimi nelle zone più acute della tessitura. Tra il pubblico probabilmente quasi nessuno o comunque pochissimi fortunati sanno che quel brano è un piccolo capolavoro cantato nella storia da tantissimi soprani di celeberrima fama, a parere dello scrivente l’unico paragone possibile in questo caso è solo con Beverly Sills.
Dopo l’esuberante Concerto per tromba in re maggiore di Georg Philipp Telemann, ci si prepara a un funambolico terzetto tra gli strumenti a fiato e la voce della diva rientrata nei panni del castrato per intonare l’aria di Melissa “Mi deride… Desterò dall’empia Dite” da Amadigi di Gaula di Händel: una gara tra il fiato degli strumentisti e il fiato della cantante infervorata da una furia impetuosa che spara agilità di forza a non finire, gareggiando con oboe e tromba in cadenze improponibili, successioni vertiginose di note in alto e in basso nel pentagramma, trilli incandescenti, un canto inarrivabile, tocca vertici da soprano di agilità poi sprofonda in basso, sfoggiando una nota tenuta all’infinito per averla vinta sulla tromba e ovviamente scatenando un delirio di applausi.
Più intimità con la bellissima aria di Ruggero “Sol da te mio dolce amore” dell’Orlando furioso di Vivaldi. Il fraseggio scavato e cesellato in ogni minima screziatura emotiva è estremamente coinvolgente. Meraviglioso l’assolo di flauto.
Dopo la suite di danze da Ariodante, la Bartoli si trasforma in Almirena, “Augelletti, che cantate” dal Rinaldo di Händel e tiene in mano una lunga canna con appeso un piccolo (finto) uccellino, facendolo ondeggiare sul palco, tra gli orchestrali e persino tra il pubblico, una trovata geniale e scherzosa. Divertendo e incantando il teatro, la diva sembra come “rapita in estati” quasi una fanciulla in abito lungo verde smeraldo sperduta in un posto fatato cantando come un uccellino di bosco con tutta la grazia che solo lei possiede e che riesce a imprimere in ogni nota eseguita.
Poesia pura conclude la parte “ufficiale” del concerto: “What passion cannot Music raise and quell” dall’Ode for St. Cecilia’s day HWV76 di Händel, il titolo della cantata è ispirato a santa Cecilia, la santa patrona dei musicisti. Regalata al pubblico quasi in raccoglimento, un canto sereno, calmo e luminoso: magia pura come il cielo azzurro stellato proiettato dietro di lei che rimanda all’iconica scena della Regina della Notte nella Zauberflöte di Mozart e come la candela portata dal fidato lacchè che la stessa cantante spegne con un dolce soffio finale.
Esplosione di applausi e 3 bis. Si inizia con Steffani “A facil vittoria” da Il Tassillone, la Bartoli sfacciatamente mette in mostra tutta la sua magistrale prepotenza vocale accumulata in 36 anni di carriera: un orgiastico virtuosismo vocale mai ascoltato dal sottoscritto nemmeno dalla stessa cantante in altri concerti, un’ennesima competizione con la tromba, cascate di note fosforescenti, trilli sgranati come fulmini, note tenute all’infinito e poi, durante una cadenza, schioccando le dita insieme al pubblico delirante la maga trasforma la musica nel jazz di “Summertime”. Omaggio a Napoli con “Non ti scordar di me” di De Curtis: tutto il sole, i colori, il cuore e la malinconia partenopea racchiusi nel canto della Bartoli portano il pubblico a canticchiare con lei, senza nessun imbarazzo, emozioni tipiche da buon teatro di provincia che si lascia travolgere e coinvolgere dall’artista sul palco, senza rimane imbalsamato, distaccato e serio perché ci si trova in un tempio della musica o perché “l’opera è musica colta”. Infine con corsetto dorato, piume e strascico rosso, santa Cecilia rientra correndo e regala un ultimo bis volteggiando sulle note e scalando le vette del pentagramma in “Nobil onda” da Adelaide di Porpora. Delirio totale, ma il guardaroba-baule si chiude, il lacchè si è stancato e se ne va. La cantante è libera, trionfante, si toglie le piume rosse le lancia in aria e fugge dal palco. La regina del barocco rientra solo per essere sommersa da applausi. Uno spettatore commosso in totale adorazione le porge dalla platea un mazzo di rose rosse raccontando qualcosa di cui non ci è dato sapere, sembrava facesse un voto alla Madonna, ella stupita e illuminata prende le rose e inizia a giocarci furbamente, donandone una a tutti i coprotagonisti dello spettacolo. Il pubblico in fiamme non la lascia andar via, Cecilia finalmente si scioglie un po’, non è più sovrumana, torna fra di noi, torna la ragazza che passava le estati in famiglia nella costiera romagnola, nei suoi occhi per un attimo si coglie l’affetto sincero e la commozione della Cecilia “vera” che saluta e ringrazia calorosamente la sua amata Rimini.
Renato Olivelli
(17 novembre 2021)
La locandina
Mezzosoprano | Cecilia Bartoli |
Direttore | Gianluca Capuano |
Attore-danzatore | Xavier Laforge |
Les Musiciens du Prince – Monaco | |
Programma: | |
G.F Händel | |
Rinaldo, Sinfonia | |
N. Porpora | |
Polifemo, “Lontan dal solo e caro…Lusingato dalla speme” | |
G.F. Händel | |
Ariodante, “Entrée des Songes funestes” | |
Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, “Lascia la spina cogli la rosa” | |
J.A. Hasse | |
Marc’Antonio e Cleopatra, Sinfonia | |
G.F. Händel | |
Giulio Cesare in Egitto, Sinfonia il Parnasso – “V’adoro pupille” | |
G.P. Telemann | |
Concerto per tromba in re maggiore | |
G.F. Händel | |
Amadiji di Gaula, “Mi deride …. Desterò dall’empia Dite” | |
A. Vivaldi | |
Orlando Furioso, Sol da te mio dolce amore” | |
G.F. Händel | |
Ariodante, Suite di danze | |
Rinaldo, “Augelletti, che cantate” | |
Ode for St Cecilia’s Day | |
“What passion cannot Music raise and quell” |
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