Bergamo: un Elisir da ascoltare
Poche semplici considerazioni: l’Elisir d’amore è un melodramma giocoso e non un’opera buffa o peggio una farsa.
E ancora: Nemorino non è lo scemo del villaggio ma assai più semplicemente un homo naturalis – basta un latino da Bignami per comprendere l’origine del nome che Felice Romani gli riserva –; poi Belcore – e anche qui il l’etimo giunge a soccorrere anche il più sprovveduto tra i registi – non incarna un militare sbruffone e tronfio, così come Dulcamara è tutt’altro che un simpatico guascone ma un truffatore parecchio cinico.
Tutto questo, e anche qualcosina in più, parrebbe essere sfuggito a Frederic Wake-Walker e ai suoi collaboratori – Federica Parolini per le scene e Daniela Cernigliaro per i costumi – che decidono, seguendo una “tradizione” secondo la quale il melodramma giocoso “ha da far ridere”; e allora si va giù pesanti con la Fiera della Caccola, con i colori esagerati, i kepi impennacchiati, le mossette e i passettini, i bimbi e i palloncini. In due parole inutile e irritante
In questo contesto Nemorino, ovvero il personaggio più sensibile e meglio caratterizzato dell’opera, diventa qualcosa tra il cugino tonto di Harpo Marx e Alvaro Vitali in versione Pierino.
Non ci siamo, per nulla: l’Elisir non è vaudeville. Del resto è preferibile tacere.
Se l’allestimento è da dimenticare in fretta la parte musicale sarà da ricordare a lungo grazie ad una serie di fattori tutti determinanti alla sua completa riuscita.
Innanzitutto la scelta di eseguire integralmente l’edizione critica che Alberto Zedda curò per ©Casa Ricordi affidandola all’Orchestra Gli Originali – una delle più belle tra le creature nate dalla reinvenzione del festival targata Micheli-Frizza – che suonano magnificamente su strumenti storici accordati col diapason del 1832 che abbassa tutto di mezzo tono recuperando un’atmosfera di raccolta intimità; con loro il fortepiano ben presente di Daniela Pellegrino.
Riccardo Frizza lavora di cesello tessendo una trama sonora punteggiata di colori soffusi e retta da dinamiche calibratissime, il tutto a rendere il narrato musicale fluido e affabulante.
Con lui una compagna di canto assai ben equilibrata e completamente coinvolgente a far principio dalla Adina della ventunenne Caterina Sala – figlia e sorella d’arte – padrona di acuti folgoranti che coronano un fraseggio di grande freschezza.
Javier Camarena è un concentrato di classe tanto che il suo Nemorino riesce comunque ad emergere dalle pastoie sciagurate della regia imponendosi per bellezza di colori, legati rapinosi e linea di canto perfetta.
Bravo come sempre Florian Sempey, Belcore generoso e con lui Roberto Frontali che disegna un Dulcamara di gran classe opponendo alle forzature che l’allestimento gli impone – le passeggiate in platea, tra l’altro, andrebbero vietate per legge – una fantasmagoria di accenti. Convincente anche la Giannetta di Anaïs Mejías.
Soddisfa complessivamente, tra una mossetta e l’altra, la prova del Coro Donizetti Opera preparato da Fabio Tartari.
Il pubblico apprezza parecchio, anche quando il Maestro alle Cerimonie Manuel Ferreira – dopo averlo convenientemente istruito prima dell’inizio dell’opera – gli fa intonare “Cantiamo facciam brindisi” in apertura del secondo atto e decreta un successo rotondo.
Alessandro Cammarano
(28 novembre 2021)
La locandina
Direttore | Riccardo Frizza |
Regia | Frederic Wake-Walker |
Scene | Federica Parolini |
Costumi | Daniela Cernigliaro |
Lighting design | Fiammetta Baldiserri |
Personaggi e interpreti: | |
Adina | Caterina Sala |
Nemorino | Javier Camarena |
Belcore | Florian Sempey |
Dulcamara | Roberto Frontali |
Giannetta | Anaïs Mejías |
Maestro delle cerimonie | Manuel Ferreira |
Orchestra Gli Originali | |
Maestro al fortepiano | Daniela Pellegrino |
Coro Donizetti Opera | |
Maestro del coro | Fabio Tartari |
I burattini in scena sono di | Daniele Cortesi |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!