Trieste: un buon Barbiere in un “Verdi” sguarnito
Prosegue al Teatro Verdi di Trieste l’attività artistica 2021/2022 con la riproposta rossiniana de Il Barbiere di Siviglia. Il titolo, fra i più noti del grande repertorio di tutti i tempi, dovrebbe richiamare il pubblico in sala anche in tempi di pandemia, quando le difficoltà a mettere in scena un lavoro di teatro musicale si moltiplicano per rispettare le normative sanitarie. Così non è stato, purtroppo, almeno alla prima delle sei rappresentazioni in programma che ha visto platea e palchi decisamente sguarniti e gallerie semivuote.
Che la programmazione offerta da una Fondazione dal glorioso passato non soddisfi le esigenze dei suoi spettatori è un’ipotesi plausibile. Certo è che nemmeno titoli di grande richiamo sembrano, per il momento, far registrare a Trieste i tutto esaurito dei bei tempi andati. E dire, che a parte qualche novità assoluta, il cartellone vive esclusivamente di titoli e di autori molto amati, contravvenendo a quella che è sempre stata la caratteristica delle programmazioni triestine, sempre in grado di proporre un repertorio variegato e interessante, alternandolo al grande repertorio.
Detto questo, Il Barbiere di Siviglia tornava a Trieste a soli quattro anni dall’ultima esecuzione in loco, direttore d’orchestra e protagonista erano gli stessi dell’ultima edizione, nuovo viceversa era l’allestimento firmato per regia e scene da Massimo Luconi che scarnifica all’osso la drammaturgia rossiniana inserendo la vicenda in uno spazio senza tempo e senza particolari riferimenti geografici. Una Siviglia immaginata, più che rappresentata, in cui la vicenda si dipana con scorrevolezza, puntando a rispettare le regole di distanziamento fra personaggi e con il coro magnificamente preparato e diretto da Paolo Longo che canta provvisto di mascherina.
Del cast, poco da dire, se non per il piacere di ritrovare in scena lo sperimentato e vitalissimo Figaro di Mario Cassi, che della simpatia e dello scilinguagnolo fa il suo biglietto da visita, coniugandoli a una raggiunta maturità vocale e a un timbro che in questo repertorio è a casa sua. Altrettando sperimentato, è il Conte d’Almaviva di Antonino Siragusa, artista molto amato a Trieste. Il tenore siciliano non delude le attese e, sia nelle arie sia nei numerosi pezzi d’assieme, si mette in evidenza per musicalità e forte senso dello stile, da vero Grande di Spagna. Inutile dire che il suo momento migliore è nell’aria, da qualche tempo tornata a essere eseguita, “Cessa di più resistere” in cui Siragusa domina con disinvoltura le frequenti ascese al registro acuto e l’acrobatica coloratura rossiniana.
Più in ombra, vocalmente, ma scenicamente molto appropriata, è la Rosina di Paola Gardina che cresce nel corso della rappresentazione e trova nella seconda parte momenti di vocalità molto felici.
Guido Loconsolo è un Basilio meno viscido della tradizione, ma nel complesso autorevole nonostante la giovane età. Fabio Previati toglie a Bartolo la comicità grossolana cui siamo abituati, e realizza un personaggio di forte simpatia e carica umana. Da apprezzare, nell’economia di un’esecuzione governata con sicurezza dal podio da Francesco Quattrocchi, le prove di Elisa Verzier nel personaggio di Berta, Giuseppe Esposito, che è un sapido Fiorello e di Armando Badia cui spetta l’intervento dell’Ufficiale nel finale primo.
Orchestra e coro confermano la loro ben nota professionalità e preparazione e meritano, assieme a tutti gli artefici della serata, gli applausi che coronano la rappresentazione che, dopo una lunga assenza, ci ha fatto tornare a teatro.
Rino Alessi
(3 dicembre 2021)
La locandina
Direttore | Francesco Quattrocchi |
Regia e scene | Massimo Luconi |
Personaggi e interpreti: | |
Il Conte d’Almaviva | Antonino Siragusa |
Figaro | Mario Cassi |
Rosina | Paola Gardina |
Bartolo | Fabio Previati |
Basilio | Guido Loconsolo |
Berta | Elisa Verzier |
Fiorello | Giuseppe Esposito |
Un Ufficiale | Armando Badia |
Orchestra e Coro del Teatro Lirico Giuseppe Verdi Di Trieste | |
Maestro del coro | Paolo Longo |
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