Roma: i due mondi di Luisa Miller

Grande serata al Teatro dell’Opera di Roma, dove ormai anche i fanatici lombardi veneti del Teatro alla Scala riconoscono l’inatteso primato della lirica e l’alta qualità delle produzioni dopo la cura Fuortes. Si è inaugurata ieri, con sei mesi di anticipo, la nuova direzione musicale di Michele Mariotti con Luisa Miller di Giuseppe Verdi, melodramma romantico in tre atti del 1849, composto per il San Carlo di Napoli su libretto di Salvatore Cammarono, tratto dalla tragedia di Friedrich Schiller, Kabale und Liebe, intorno all’invivibile passione di due giovani, vittime del divario di classe e delle proiezioni dei loro rispettivi padri, in balìa di sogni e di ambizioni fuori tempo massimo. Il Maestro Mariotti che l’anno scorso aveva diretto l’opera in una versione senza scene, ha restituito tutta la a magia della partitura di Verdi, governando alla perfezione sin dall’inizio con la melodia degli archi dell’ouverture, i violini che suonano all’unisono sulla corda di sol e quel colore scuro che sembra partire dal niente, in un piano che esce fuori dal silenzio per annunciare la tragedia inesorabile dell’amore infelice. Emozione intensa, riverberata dal sipario abbassato, che permette allo spettatore di tuffarsi nel suono senza distrarsi con immagini e colori.

Poi la scena ideata da Paolo Fantin per la regia di Damiano Michieletto, che è stata epurata nella ripresa di Andrea Bernard per il Teatro Costanzi di Roma, rispetto all’allestimento presentato dieci anni fa all’Opernhaus di Zurigo, si apre su un ambiente neoclassico a doppia altezza. Intervallati da un nastro di luce al neon, due ordine di finestre inframmezzati da lesene sono scanditi una serie di sedie in velluto rosso appese simmetricamente e rovesciate,  a testa in su e a testa in giù, per collegare invertendoli l’alto e il basso, l’ordine superiore e il rango inferiore. Sul palco, una pedana girevole fa ruotare un lettino di ferro bianco e sul lato opposto un  letto matrimoniale con spalliera di legno, mentre tra i due corrono un tavolo ovale e  un tavolaccio da cucina.

I personaggi entrano in scena ora fermi e immobili, ruotando con la pedana, oppure andando contro tempo e a volte camminando in senso inverso e antiorario rispetto al movimento della scena.  Ma la trovata geniale di Michieletto e Fantin sono i   i ritagli squadrati della pedana che salgono e scendono, per diventare delle pareti di una casa, coi letti appesi alle pareti e sospesi nel vuoto, formando così un parallelepipedo che ospita una scena dentro scena, salvo poi riaprirsi per incanto come se le pareti fossero i petali di un fiore, e dischiudessero con la loro caducità l’inanità   di tutte le cose. Sullo sfondo, accanto al coro che assiste immobile al dipanarsi del dramma, due bambini in mutande giocano sui lettini, si lanciano tra loro un palloncino bianco, e alla fine si prendono a cuscinate, quasi a scandire con uno dei topoi più delicati di Damiano Michieletto, l’altro corso del destino delle passioni, quello invisibile dell’infanzia, dell’innocenza, dell’assenza di conflitti.

È il modo semplice e profondo per raccontare i due mondi intorno ai quali gira l’amore impossibile tra Luisa, la figlia del soldato Miller, e Rodolfo, il figlio del conte Walter, innamorato sotto mentite spoglie e però promesso dal padre un vieppiù nobile partito e perciò disperato, ma non sino al punto di sventare la perfidia aristocratica paterna, nutrita di cinismo senza scrupoli, e di Wurm, il di lui viscido complice sodale che ha in mano il raggiro infernale.

Ottima la scelta del cast con Michele Pertusi, straordinario nel ruolo del conte, la splendida vocalità di Roberta Mantegna che dà una gran prova in crescendo nel ruolo di Luisa, col suo colore caldo, il timbro con la giusta brillantezza, e il coté belcantistico che riesce a diluire in toni sempre più drammatici. Altrettanto grande la prova del tenore, Antonio Poli, nel ruolo Rodolfo. Al netto dell’affaticamento percepito nel duetto finale con Luisa, durato appena un attimo, nel quale però si è percepita la fatica, la sua voce zuccherosa e bellissima è riuscita a cesellare alla perfezione la difficile parte, soprattutto nella famosa aria del secondo atto, “Quando le sere al placido”. Perfetta la prova di Irene Savignano, possente nel ruolo minore di Laura, e quella di Daniela Barcellona che interpreta   la promessa sposa Federica. Marco Spotti nel ruolo di Wurm è il personaggio più elaborato dal punto di vista della scelta registica, cavernoso e viscido nel suo agire, con la sua giacca di pelle verde come un serpente che striscia sul collo di Luisa per concupirla meglio. Miller, interpretato dal baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat, al suo esordio nel ruolo e all’Opera di Roma, ha una voce meravigliosa e tanta, ha regalato uno splendido acuto alla fine della cabaletta. Vocalmente ha trionfato sulle difficoltà musicali, ma dal punto registico, e cioè della “parola scenica” perseguita da Verdi, l’interprete teatrale non è parso all’altezza di quello canoro: non si è visto il padre affranto, il soldato ingiustamente imprigionato, che esce dal carcere e ritrova la figlia.

In complesso, una serata memorabile, che conferma anche per il nuovo corso Mariotti & Giambrone il primato del Costanzi all’insegna di un’altissima qualità degli spettacoli e di un affiatamento invidiabile tra la variegata squadra del teatro, con la sua orchestra, il   coro, i giovanissimi danzatori tutte le maestranze, e il generoso pubblico romano, sempre contento e plaudente a iosa.

Marina Valensise
(8 febbraio 2022)

La locandina

Direttore Michele Mariotti
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Personaggi e Interpreti
Il Conte di Walter Michele Pertusi
Rodolfo Antonio Poli
Federica Daniela Barcellona
Wurm Marco Spotti
Miller Amartuvshin Enkhbat
Luisa Roberta Mantegna
Laura Irene Savignano*
Un Contadino Rodrigo Ortiz*
Orchestra e coro del Teatro dell’Opera di Roma
Maestro del coro Roberto Gabbiani

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