Piacenza: Adriana trascolorata
Il colore di Adriana Lecouvreur non è facile da mettere a fuoco.
Opera tardoromantica, decadente, passionale, se non fosse per la cornice storica -ben definita- Adriana potrebbe appartenere a pieno titolo alla compagine verista, nonostante Cilea fosse membro della Giovane Scuola Italiana.
Edulcorarla da tutta quella allure da primo novecento in cui, inevitabilmente, il capolavoro di Cilea è incastonato -e di cui è portavoce di un’epoca che ancora affascina-, è un’operazione che, per essere convincente, richiede una chiave di lettura che vada oltre le aspettative.
Non mi riferisco alla regia di Italo Nunziata che, per questa coproduzione del triangolo teatrale emiliano Modena, Piacenza e Parma, ambienta la vicenda negli anni cinquanta del secolo scorso avvalendosi di una scena fissa -per lo più incolore- ad opera di Emanuele Sinisi e dei costumi di Artemio Cabassi; piuttosto, la concertazione di Aldo Sisillo, maestro meticoloso, preciso e attento nell’accompagnare le voci e a ottenere ottimi gli equilibri fra buca e palcoscenico, manca di quell’incanto perduto, di quella tavolozza di colori evanescenti, languidi abbandoni che questa partitura richiede.
Così, ad esempio, il breve intermezzo orchestrale del secondo atto che precede il duetto fra le due rivali, e lo splendido preludio al quarto atto, che riassume e anticipa il totale distacco di Adriana dall’amore e dal palcoscenico che l’hanno sempre tenuta in vita, appaiono impassibili e pallidi passaggi.
Vocalmente, a reggere l’intero dramma, trionfa per bellezza vocale e accento il giovane soprano Maria Teresa Leva. Adraiana è un ruolo che richiede una maturazione che si può ottenere solamente frequentando questo titolo. La Leva dimostra di aver capito la complessità del personaggio mettendo in luce le dinamiche psicologiche e gli snodi drammatici che animano la mente della grande diva della Comédie Française lasciando un margine di maturazione che tutti ci auspichiamo.
Al suo fianco Luciano Ganci è un Maurizio poderoso. A suo agio nella scrittura di Cilea, Ganci sfodera acuti svettanti e luminosi non senza tralasciare le arcate più espressive che l’autore richiede.
Teresa Romano, nel ruolo della spietata principessa di Buillon, è una rivelazione. Voce importante, ricca di inflessioni, attenta alla dizione, ottima presenza scenica, la Romano non sconfina mai negli eccessi rivelando la bellezza vocale della vena melodica di Cilea.
Claudio Sgura è un Michonet vocalmente molto credibile e prestante, tuttavia le esigue indicazioni registiche non gli hanno permesso di tratteggiare il carattere sfaccettato e propriamente umano del personaggio.
Bene Saverio Pugliese nel ruolo dell’abate di Chazeuil e Adriano Gramigni nelle vesti del primncipe di Buillon, così come il resto del cast.
A completamento dello spettacolo sono intervenuti i danzatori dell’Agora Coaching Project a cura di MM Contemporary Dance Company sulla coreografia di Danilo Rubeca.
Così come pretendiamo dalle esecuzioni storicamente informate del repertorio antico al contempo tanto ci aspettiamo dal primo Novecento.
Gian Francesco Amoroso
(Piacenza, 18 marzo 2022)
La locandina
Direttore | Aldo Sisillo |
Regia | Italo Nunziata |
Scene | Emanuele Sinisi |
Costumi | Artemio Cabassi |
Luci | Fiammetta Baldiserri |
Coreografie | Danilo Rubeca |
Personaggi e interpreti: | |
Maurizio | Luciano Ganci |
Il principe di Bouillon | Adriano Gramigni |
L’abate di Chazeuil | Saverio Pugliese |
Michonnet | Claudio Sgura |
Poisson | Stefano Consolini |
Quinault | Steponas Zonys |
Adriana Lecouvreur | Maria Teresa Leva |
La principessa di Bouillon | Teresa Romano |
Mademoiselle Jouvenot | Maria Bagalà |
Mademoiselle Dangeville | Shay Bloch |
Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini | |
Coro Lirico di Modena | |
Maestro del coro | Stefano Colò |
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