Vicenza: Cappelletto e Dalla Vecchia raccontano Bach e Pasolini
Nei giorni del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini – 5 marzo 1922 – si è parlato molto anche di Bach. Fra le acquisizioni degli studi negli ultimi vent’anni, c’è in effetti la riconsiderazione dell’importanza delle musiche del Cantor nel cinema pasoliniano (a partite dall’esordio nel 1961 con Accattone), affiancata dalla rilettura del singolare breve saggio giovanile intitolato Studi sullo stile di Bach (limitatamente alle sei Sonate per violino solo), rimasto lungamente inedito e pubblicato postumo. In realtà, i due aspetti – le colonne sonore bachiane (e in particolare il ruolo in esse della Passione secondo Matteo) e i Soli per violino (recte: tre Sonate e tre Partite) – non s’intersecano e corrono in qualche modo paralleli, anche se naturalmente scaturiscono dalla stessa fonte, l’appassionata ammirazione per Bach.
Nei Soli per violino e in particolare nella Siciliana (terzo movimento della Sonata n. 1) il ventunenne Pasolini sfollato nel 1943 a Casarsa della Delizia, in Friuli, trovò un singolare e profondissimo “contraltare sonoro” per la sofferta passione sentimentale ed erotica che andava vivendo in quel periodo. E della quale avrebbe tentato la narrazione in Atti impuri e Amado mio, racconti pubblicati anch’essi solo dopo la sua morte. Quel Bach diviso “fra la carne e il cielo” gli fu rivelato dalle lezioni della violinista slovena Pina Kalč, casualmente incontrata a Casarsa dove anch’essa era sfollata. Fu lei a favorire il breve ritorno dello scrittore agli studi musicali già seguiti anni prima, e in particolare all’esercizio con il violino.
La scelta del coro conclusivo della Passione secondo Matteo come vero e proprio “leitmotiv” di Accattone (nel film appare sette volte, la prima sui titoli di testa e l’ultima nella scena finale con la morte del protagonista) presenta invece coordinate culturali e politiche molto diverse. Le ha riassunte con acutezza Hans Werner Henze parlando dell’impiego della Passione in questo film, che racconta di un’umanità degradata e senza speranza: «Questa musica perdona noi poveri diavoli e ci promette una nuova felicità, piange per noi con tutta l’anima […] Colui che comprese benissimo questo nesso fu Pier Paolo Pasolini […] Questa musica sta dalla parte del popolo, degli umiliati e degli offesi e parla la loro lingua».
Il rapporto complesso e profondo dello scrittore e regista con il Cantor non poteva non essere al centro di “Buon compleanno Bach”, l’iniziativa musicale che da molti anni – e con la sola interruzione della pandemia – viene proposta a Vicenza da Margherita Dalla Vecchia con il suo complesso corale e strumentale “Il Teatro Armonico”. Nell’occasione dello spettacolo intitolato Un frammento di canto d’amore, al teatro San Marco è stato chiamato Sandro Cappelletto, voce nota e apprezzata di Radio3 Rai, storico della musica e divulgatore di alto livello. A lui il compito di sintetizzare in un testo creato ad hoc il febbrile rapporto instaurato da Pasolini con Bach. Una narrazione a sua volta appassionata, ricca di suggestioni eppure sempre precisa, fra citazioni testuali e annotazioni personali. Approfondita in particolare la vicenda in effetti emozionante di come Pasolini – tramite Pina Kalč – ebbe modo di scoprire nel violino bachiano una insospettata “risonanza” esistenziale e passionale. Che corrispondeva peraltro a una comprensione quasi rabdomantica di questa musica. Più distesamente narrata – per punti fondamentali – la scelta da parte di Pasolini di varie musiche del compositore tedesco, ricorrente più o meno intensivamente in quasi tutta la sua filmografia.
Dal punto di vista musicale, la breve ma concentrata serata del San Marco ha seguito i passaggi di questo percorso affascinante, aperto dal Preludio della seconda Suite per violoncello e poi contrassegnato dai brani fondamentali e “fatali” nella riflessione dello scrittore: l’Adagio e la Siciliana dalla prima Sonata per violino solo, il citato coro conclusivo della Passione secondo Matteo, “Wir setzen uns mit Tränen nieder” (Piangendo ci prostriamo), ma anche due Arie del capolavoro sacro, la celebre “Erbarme dich, mein Gott” (Abbi pietà di me, Signore) per contralto con violino obbligato, e “Aus liebe” (Per amore il mio Signore vuole morire), per soprano con flauto e due oboi da caccia.
Spazio anche per l’Andante dal secondo Concerto Brandeburghese, pure presente nella colonna sonora di Accattone. Una scelta che all’epoca fece discutere e che vide fra i pochi che l’apprezzarono Filippo Sacchi, critico vicentino, fondatore con Antonio Fogazzaro nel 1910 della Società del Quartetto, che nel 1961 ne scrisse così: «Ha l’aria di un ticchio da discomani snob e invece, pare impossibile, è perfetto».
A parte le pagine solistiche, rese con apprezzabile concentrazione, evidente consapevolezza stilistica e non sempre omogenea definizione strumentale, le altre sono state coraggiosamente proposte con organico ridotto all’osso sul piccolo palcoscenico del San Marco, nel quale aveva preso posto ovviamente anche il coro. Questo non ha impedito che per l’ultimo brano ai dieci esecutori si siano aggiunti all’organico i trombettisti, necessari per una pagina che di questi tempi in particolare è risuonata come preghiera e augurio: “Dona nobis pacem” dalla Messa in Si minore.
Cesare Galla
(21 marzo 2022)
La locandina
Direttrice | Margerita Dalla Vecchia |
Narratore | Sandro Cappelletto |
Violino | Giorgio Fava |
Violoncello | Francesco Galligioni |
Soprano | Cecilia Rizzetto |
Contralto | Nina Ćuk |
“Il Teatro Armonico” |
Condividi questo articolo