Il disco: Stefano Scodanibbio “String Quartets”
Ogni volta che ci avviciniamo alla musica di Stefano Scodanibbio, affiancato all’ammirazione verso la sua straordinaria poetica, ci pervade quel retrogusto di dolore che la sua assenza, oramai da dieci anni, costantemente ci procura. Prendendo in prestito, provando ad usare la sua visionarietà inarrivabile è come se riuscissimo a vedere, ascoltare, toccare con mano tutto ciò che il contrabbassista, il compositore, l’agitatore culturale, ci avrebbe potuto donare in questo lungo periodo.
Non fa eccezione l’ascolto di String Quartets dell’Arditti Quartet uscito recentemente per Kairos. Anzi, questo disco di grande vitalità, che esalta il compositore qualche volta offuscato dallo strumentista strepitoso, coinvolge emotivamente e tanto. Il lavoro comprende quattro composizioni di Scodanibbio che vanno dal 1985 al 2003 e ci conferma, se ce ne fosse stato bisogno, le sue capacità di costruttore di architetture, tensioni, visioni. Paesaggi mai dispersi, mai autocelebrativi, sempre a disposizione di un disegno poetico inquieto, informale, schegge di una ricerca profonda che non ci offre soluzioni consolatorie ma ci apre ad un orizzonte di domande. Scodanibbio ce le porge depurate da retoriche, distribuite tra suoni e forme che vagano come cellule emozionali, in una urgenza comunicativa a volte cruda, a volte ammaliante.
Condivisibile, nelle preziose note di Mario Gamba, la sottolineatura del rapporto del corpo con lo strumento che il compositore trasmette anche nelle partiture, la non separabilità dei due momenti creativi. Come il contrabbassista si fonde con il proprio strumento quando interpreta musiche sue o di altri, così il compositore sulla pagina bianca, nel gesto grafico, riesce ad indicare oltre il segno l’esigenza di entrare in armonia fisica con le corde, il legno. Certo è che in questa ottica la creatura di Irvine Arditti ci mette molto del proprio. Cioè una impeccabile e formidabile lettura dei materiali, dove estetica, poetica del suono ed equilibrio, lontane da tentazioni virtuosistiche, disegnano uno scintillante affresco d’arte contemporanea.
Visas (1985/1987) è diviso in tre episodi. In uno dei suoi appunti sparsi di viaggio – pubblicati tra altre testimonianze e contributi nel bel volume Non abbastanza per me (Quodlibet, 2019) – Scodanibbio scrive, sul treno che va da Benares a Bombay, …Sono un sognatore incallito, che insegue tramonti, si illude senza pudori e si disillude drasticamente, costruisce castelli e distrugge miniature, crede e non crede…Questa riflessione potrebbe essere il sottotitolo della composizione che alterna ciclicamente lampi melodici a travolgenti schizzi astratti, visioni poetiche e foreste inestricabili. Il sognatore e il disilluso.
Lugares que pasan del 1999 è dedicato al poeta messicano Adolfo Castañon. Qui coinvolge l’andamento, ondulato, increspato che incontra ora scogli, intralci, ma scorre anche lineare, intimo. Il suono si rispecchia in stesso creando prismi, vortici, tra silenzi inquieti e pizzicati nervosi come costruzioni che si moltiplicano. Anche Altri Visas del 2000 è suddiviso in tre episodi. Il primo Para llegar a la Montego Bay è di una bellezza travolgente. Le corde si rincorrono, si intrecciano, si scontrano, si fondono, tratteggiando, in una tensione infinita, pulsioni come improvvise macchie di colore. Tipiche dell’errare compositivo annota Scodanibbio.
Il cd si chiude con Mas Lugares (su Madrigali di Monteverdi), del 2003, composizione dedicata a Luciano Berio. La fascinazione verso la musica antica, i primi esempi di musica polifonica profana, traspare tutta distribuita in una filigrana elegantissima di voci, fantasmi narranti, dove trascrizione è anche (re)invenzione. Qui l’Arditti Quartet si supera nel controllo dei volumi, dei silenzi, nella cura maniacale del suono, del dettaglio. Bellezza che trasfigura in un commovente sogno mistico.
Paolo Carradori
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