Zurigo: Noseda e Homoki Signori del Ring
Il pubblico che il 14 maggio si trovava presso l’Opernhaus di Zurigo ha passato senz’altro un sabato sera intenso. All’opera si dava Rheingold, il primo capitolo della grande tetralogia di Richard Wagner, tetralogia che il teatro ha progettato per i prossimi anni insieme al suo direttore musicale, Gianandrea Noseda, e al suo sovrintendente e regista, Andreas Homoki. Quando si inizia un progetto maestoso come un intero ciclo dei Nibelunghi, la prima opera è forse la più importante, perché mette in chiaro cosa ci attende fino al novembre 2023, quando si svolgerà la prima di Götterdämmerung. Qual è dunque il Ring che hanno in mente Noseda e Homoki?
L’oro del Reno di Zurigo viene interamente ambientato in una casa della borghesia tedesca, che è difficilmente una scelta originale. Vedere Rheingold come una commedia familiare è coerente e rientra in quel “già visto” per cui la vestaglia sostituisce la pelliccia e la mazza da cricket il martello di Donner (ma la lancia, per fortuna, resta). Niente di nuovo, ma non ci mancheranno certo gli elmi cornuti e le bende sull’occhio: il mito è e resta comunque uno spunto per Wagner per riflettere sulla sua società, sul suo mondo, mettendone in rilievo le ipocrisie e i limiti, anche quando celebrati con il massimo sfarzo. Questo emerge con grande chiarezza dalla regia di Homoki, che riesce a tenere in piedi tutto lo spettacolo pur utilizzando di fatto una sola ambientazione. La scena è composta da quattro interni tutti uguali che ruotando permettono ai personaggi di muoversi, ma anche ai tecnici del teatro di trasformare la scena tra un passaggio e l’altro. L’effetto, dunque, è di stasi e mobilità al contempo, in particolare insieme molto ben riuscito. Il principale problema della regia sta, a mio avviso, nell’assenza di contrasto tra Asgard e Nibelheim. Pur tirando giù il sipario, lo scarso tempo non permetteva una rimozione dell’impianto scenico e l’effetto è stato dunque di rimanere un po’ sempre nello stesso luogo, pur con tutti i tentativi di Homoki di caratterizzare i due regni. Dove ad Asgard regna la luce, con un mobilio elegante e ben curato, Nibelheim è scuro, sporco, sugli angoli giacciono accatastate pietre e terra e i Nibelunghi vi accumulano l’oro che raccolgono per Alberich. Superbe le luci di Franc Evin, che hanno sottolineato con forza e appropriatezza ogni cambio di passaggio, guidando lo spettatore in ogni momento e sposandosi alla perfezione con la regia di Homoki e le scene (e i bellissimi costumi) di Christian Schmidt.
In questo Rheingold “domestico” sono risultati ancora più evidenti le logiche familiari che dominano la vicenda, anche grazie ad un cast omogeneo e preparatissimo, anche attorialmente. La Fricka di Patricia Bardon è una donna nervosa e inquietata dai continui tradimenti del marito, che distruggono la sua idea di famiglia felice, peraltro incentivata da Donner (Jordan Shanahan) e Froh (Omer Kobiljak), di fatto due fessacchiotti mai cresciuti che vogliono godersi i propri privilegi ma che al momento di affrontare veramente i giganti Fasolt (David Soar) e Fafner (Oleg Davydov) si dimostrano buoni solo a parole e abbandonano la sorella Freia (Kiandra Howarth). Fasolt e Fafner appaiono appollaiati sul dipinto del Valhalla (da cui poi usciranno strappandolo con un bel colpo di scena) a guardare dall’alto in basso tutti gli dei, forti del loro contratto da strozzini, sventuratamente firmato da Wotan (Tomasz Konieczny). In questa famiglia si inserisce come un lampo Loge (Matthias Klink), con un vibe molto da Jack Sparrow e abiti zingareschi che ben mostravano perché nella perfetta vita borghese di Fricka non ci fosse spazio per lui. A questo mondo si contrappone il Nibelheim di Alberich (Christopher Purves) e di suo fratello Mime (Wolfgang Ablinger-Sperrhacke), ma ancora più distante è il mondo di Erda (Anna Danik) e delle tre ondine Woglinde (Uliana Alexyuk), Wellgunde (Niamh O’Sullivan) e Flosshilde (Siena Licht Miller). Alexyuk, O’Sullivan e Miller sono state abilissime ad evocare fin da subito la leggerezza scherzosa e ammaliante del loro mondo, ancora non violato dall’avidità e dal desiderio di potere, cantando magnificamente sia da sole che insieme. L’ingresso di Alberich è stato come uno strappo: Purves, al suo debutto nel ruolo, riesce con voce forte e ruvida e una presenza scenica sempre coerentissima, a caratterizzare meravigliosamente lo sgradevole nano Alberich. A lui va un applauso per l’abilità con cui ha condotto il suo personaggio in tutta l’opera, senza mai trasformarlo in caricatura. Similmente, anche il Mime di Ablinger-Sperrhacke è stato capace di rendere efficacemente il suo servile e goffo personaggio, in questo caso un po’ esagerando, ma rimanendo coerente. Ottimi Bardon, Shanahan, Kobiljak, Soar, Davydov, preparatissimi e solidi, con alcuni splendidi momenti da parte di Soar e Davydov nei panni dei due giganti. L’omicidio di Fasolt da parte di Fafner è riuscito magnificamente e ciò si deve in gran parte alla disinvoltura dei due, sia sul palco che vocalmente. Non sempre perfetto come voce, ma meraviglioso sul palco è stato il Loge di Klink. Il timbro un po’ acido non stonava in realtà con il personaggio, che è parso veramente un emarginato, uno spostato potrei dire, capace però di guardare le cose da un altro punto di vista rispetto agli altri dei. Il suo dominio del palco, la macchia di colore del cappotto, l’andamento ondeggiante e l’espressività sempre centrata hanno fatto di Klink un Loge veramente convincente, alternando ridicolo e geniale in un mix incendiario che ben si sposa con la genesi ambigua di questo mezzo-dio, mezzo-gigante. Ma il vero protagonista del cast è stato Konieczny, un Wotan maestoso, arrogante, consapevole del proprio potere, ma al contempo scosso da tormenti interiori. Il basso-baritono polacco ha dominato la scena, manovrando con sicurezza la grande lancia, interpretando magnificamente l’angoscia di fronte al distacco dall’anello, alternando l’altera impazienza ai dubbi che ne incrinano, sotto alla patina di superiorità, le sue convinzioni. E di fronte alle parole della Erda di Danik è l’unico (oltre a Loge) a comprendere o almeno ad intuire le conseguenze delle sue azioni. Proprio Konieczny è stato protagonista di una delle scene più belle dell’intera serata, il finale. Di fronte al canto delle ondine che supplica di rendere loro ciò che è stato rubato, avvisando gli dei che è vano tutto ciò che risplende nel Valhalla, gli dei sono scossi, Fricka vede nuovamente il suo mondo vacillare, Froh e Donner come al solito non capiscono e sono inquieti come cani in un temporale. È Wotan che, con grandissima abilità scenica, sbatte la porta chiudendo fuori il canto delle tre figlie del Reno. La violenza di chi, pur intuendo, sceglie di non voler ascoltare ciò che disturba la sua vita di illusoria perfezione è risultata ancora più attuale se messa in relazione con ciò cui assistiamo oggi, nel nostro mondo. Con grande gioia Konieczny tornerà per i prossimi capitoli del Ring, andando a costruire, insieme a Homoki e a Noseda, un vero elemento di continuità in questo nuovo viaggio intrapreso dall’Opera di Zurigo.
E veniamo dunque al vero protagonista della serata. Gianandrea Noseda dirige magnificamente l’opera, saldando insieme le ampie volte della partitura di Wagner, sapendosi alternare con acume tra la direzione più energica e muscolare per cui è noto, alla cura dei dettagli che lo contraddistingue. Forte della sua capacità di imporre un vero dominio sulle masse orchestrali, Noseda poteva forse trovare ancora più nuances e colori nell’apparizione del Valhalla, in cui veramente si possono raggiungere effetti di smaterializzazione sonora impressionanti, ma eccetto questo dettaglio il resto è stato condotto con vera maestria. La concertazione in buca ha fatto da naturale contraltare a quella con il palco e l’effetto è stato di un insieme avvolgente e pastoso in cui tutte le voci erano udibili, senza per questo perdere di forza e maestosità. Questo ha permesso a tutta l’opera di compiersi come in un soffio, con notevole coerenza ed efficacia teatrale. La dimensione epica si è unita così ad una tensione nervosa interiorizzata, che ben si sposava con lo spettacolo, affondando bene nel grottesco quando necessario, concedendosi slanci appassionati ma anche improvvisi ripiegamenti interiori, ad esempio nei menzionati dubbi di Wotan. Se questo è il prologo del nuovo progetto di Zurigo, non possiamo che restare in attesa trepidante della Walküre di settembre.
Alessandro Tommasi
(14 maggio 2022)
La locandina
Direttore | Gianandrea Noseda |
Regia | Andreas Homoki |
Scene e costumi | Christian Schmidt |
Luci | Franck Evin |
Drammaturgia | Beate Breidenbach, Werner Hintze |
Personaggi e interpreti: | |
Wotan | Tomasz Konieczny |
Donner | Jordan Shanahan |
Froh | Omer Kobiljak |
Loge | Matthias Klink |
Fricka | Patricia Bardon |
Freia | Kiandra Howarth |
Erda | Anna Danik |
Alberich | Christopher Purves |
Mime | Wolfgang Ablinger-Sperrhacke |
Fasolt | David Soar |
Fafner | Oleg Davydov |
Woglinde | Uliana Alexyuk |
Wellgunde | Niamh O’Sullivan |
Flosshilde | Siena Licht Miller |
Philharmonia Zürich | |
Statistenverein am Opernhaus Zürich |
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