Zurigo: Un brunch con Bruckner all’Opernhaus

Nella full immersion all’Opernhaus di Zurigo che mi trovo a compiere per questo fine settimana non è mancato il momento concertistico. Apparentemente instancabili, Gianandrea Noseda e la sua Philharmonia Zürich hanno aperto la giornata di domenica 15 maggio con un matinée alle 11.15. E visto che la colazione è il pasto più importante della giornata, ci hanno proposto un concerto di Čajkovskij e una sinfonia di Bruckner, facendoci transitare senza soluzione di continuità all’orario di pranzo.

Il concerto di Čajkovskij era quello per violino, con Janine Jansen finalmente riascoltata dal vivo dopo Verbier 2021. Recentemente i suoi concerti sono spesso a rischio cancellazione (per tendiniti, pare) e non ero sicuro che arrivato a Zurigo l’avrei potuta sentire. Per fortuna la violinista ha confermato e sabato era in città per le prove. Non nego che ero un po’ preoccupato: Jansen non è celebre per essere una che si risparmi e quando inizia a suonare dà sempre tutto ciò che ha, anche se questo significa farsi del male. E anche questa volta, la violinista olandese non si è risparmiata, ma con alcune accortezze. Jansen è parsa, in particolare nel primo tempo, contenersi leggermente, evitare alcuni eccessi che sono propri del suo modo molto enfatico di suonare. L’effetto è stato in realtà positivo: la cavata più piena, una maggiore nobiltà di approccio, una tensione espressiva meno spasmodica hanno esaltato quella componente più elegante del concerto, senza per questo rinunciare allo scatto nervoso che contraddistingue una delle più viscerali musiciste al mondo. Non sono mancati nemmeno i suoni acidi e più aspri, in questo primo tempo, ma avevano sempre una buona collocazione drammaturgica. Dove sono risultati eccessivi è stato all’inizio della cadenza, in cui la violinista ha un po’ esagerato con l’aggressività e per quanto potessi comprendere l’idea, la realizzazione ha ecceduto, mancando di la coerenza con ciò che precedeva. Rimessasi in sesto, comunque, Janine Jansen ha condotto la cadenza magnificamente, in un crescendo di tensione che ha raggiunto sul climax un’intensità maestosa, da torcere le budella. Avendo esagerato nella cadenza, però, la stanchezza si è fatta sentire nel finale del movimento, in cui la violinista ha leggermente perso il controllo dell’archetto, mangiandosi qualche nota. La Canzonetta è scorsa per fortuna senza intoppi e ha permesso alla musicista di riprendersi un po’, grazie anche al un tono disteso e mesto ben condotto in tutto il movimento. Nel finale Allegro vivacissimo, Jansen ha dato tutto ciò che le era rimasto (e le era rimasto molto), chiudendo con un finale veramente esplosivo che ha generato una spontanea standing ovation, tra le ovazioni generali.

In generale, nonostante qualche difficoltà e una minore disinvoltura rispetto al passato, ciò che non è cambiato della violinista è la incredibile capacità di fraseggiare. Jansen conduce le frasi con libertà, rubando per caricare di intensità, ma senza mai perdere il senso musicale di ciò che sta suonando. Janine Jansen casca sempre in piedi, può storcere quanto vuole una frase, ma gli accenti si adagiano dove si devono adagiare, la cantabilità della linea è sempre ben condotta e le note si susseguono con un’inevitabilità di senso che non si irrigidisce mai nella prevedibilità. Tutto ciò che suona Jansen è vivo e se ne sono accorti bene tanto il pubblico in sala, quanto orchestra e direttore, che sono riusciti a seguire la violinista nel suo turbine di note, tanto più appassionato quanti più capelli sfuggono al controllo della molletta e le si riversano in faccia. Che fosse esausta al termine, però, è risultato evidente dal bis, la Sarabanda dalla Seconda Partita di Bach, in cui alcune incertezze di arco non le avevo mai sentite nelle molte volte in cui l’ho ascoltata. Spero sinceramente che Jansen riesca ad uscire da questo momento difficile; noi ci saremo sempre, ad ascoltarla e ad applaudirla fino a spellarci le mani.

La seconda parte di questo nostro brunch musicale è stata la Sesta Sinfonia di Bruckner. Questo capolavoro non gode purtroppo della fama delle ultime tre Sinfonie, ma per inventiva e forza espressiva non è seconda a nessuna, tranne forse all’Ottava. Noseda ne è ben consapevole e lo dimostra con il lavoro di fino che ha condotto sul suono dell’orchestra. Nonostante la stanchezza, che nei momenti più balzanti creava qualche piccolo scollamento, il suono degli archi della Philharmonia Zürich rimarrà a lungo nelle orecchie di chi l’ha sentito. Noseda è riuscito a donare un’omogeneità totale, tanto nel pianissimo quanto nel fortissimo, costruendo ampie masse e trovandovi delle splendide screziature timbriche. L’architettura era ben solida, e questa è in genere una costante con il direttore, ma Noseda ha ben risolto anche i grandi blocchi sonori, riuscendo a non fermarsi eccessivamente nelle dinamiche ma a creare costante movimento interno e varietà di fraseggio. Anche a livello generale, i bordi un po’ smussati hanno permesso al direttore di contrapporre questi grandi blocchi sonori senza necessariamente creare urti e attriti. Il risultato è stato dunque la creazione di un maestoso flusso, in cui non mancavano i passaggi più violenti e possenti, così come l’interiorità inquieta, ad esempio in secondo e quarto tempo.

Ancora più lavoro si può fare nella cura delle seconde voci, in un’impalcatura polifonica strutturatissima i cui fraseggi si rincorrono e si inseguono anche tra un movimento e l’altro. Ad esempio, la citazione nel finale dall’inciso ritmico che apre la Sinfonia è stata soffocata sia quando compare ai legni (e questo succede quasi sempre perché l’orchestrazione non aiuta), sia quando si aggiungono i corni. A volte un po’ meno pesantezza nei bassi, che nella piccola sala saturavano facilmente l’acustica, avrebbe dato più respiro alle voci centrali, così importanti in questo monumento sinfonico. Proseguendo con l’ascolto, infine, mi sono accorto che vi era ancora un po’ del Wagner del Rheingold, nel Bruckner di Noseda (una parentela peraltro più che evidente). Questo mi ha fatto realizzare, arrivato al quarto tempo, che ciò che io ero abituato a pensare come ad una musica se non sacra almeno sacrale, era letta da Noseda con una plasticità evidentemente teatrale. I colpi di scena, come le saette che conducono dall’introduzione al primo tema del quarto tempo, gli scarti, i fraseggi lirici e cantabili, la spinta in avanti per dare unità ai quattro lunghi movimenti, tutto questo ha dato una lettura profondamente operistica (ovviamente di opera wagneriana parliamo) alla Sesta Sinfonia. E devo ammettere che la musica di Bruckner ben si presta ad esser letta con queste lenti. Ovazioni per tutti e pubblico felicissimo, pronto a riunirsi di nuovo in sala per gli altri appuntamenti del giorno.

Alessandro Tommasi
(15 maggio 2021)

La locandina

Direttore Gianandrea Noseda
Violino Janine Jansen
Philharmonia Zürich
Programma:
Pjotr Il’ič Čajkovskij
Concerto per violino e orchestra in Re maggiore op. 35
Anton Bruckner
Sinfonie Nr. 6 in La maggiore

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