Atlas 101, il trionfo di una Diva (e della macchina per la pasta)

Non c’è nulla da fare, le vestali dei tempi passati, i fidi custodi delle “tradizioni”, i numi tutelari di “la musica contemporanea è brutta” e di “l’opera è solo quella dell’Ottocento” se ne facciano una buona volta una ragione: l’opera è vivissima e vitale. Non smetteremo mai di ripeterlo, a mo’ di mantra; l’abbiamo già detto e scritto e continueremo a scriverlo e a dirlo.

La prova, ove ce ne fosse bisogno, sta nel fatto che nel volgere di tre giorni abbiamo assistito alle prime assolute di due lavori tra di loro assai diversi ma entrambi di grande valore: alla Scala Ti vedo, ti sento, mi perdo di Salvatore Sciarrino (qui la recensione) e Atlas 101 di Giovanni Mancuso al Teatro Comunale di Treviso, che da qualche anno commissiona composizioni nuove attraverso il suo ente di gestione Teatri e Umanesimo Latino Spa. Se non è esser vivi questo, allora che altro?

Atlas 101 è nella definizione dell’autore, che firma anche il sapido libretto in inglese ed altre lingue fantastiche oltre che in dialetto siciliano, Spy-opera onirico-matematica e, una volta tanto, è davvero così.
I piani narrativi si incrociano fino a compenetrarsi gli uni negli altri in un susseguirsi di eventi che tra sogno e realtà assumono sempre più connotazioni filmiche.

Hedy Lamarr, femme fatale del cinema hollywoodiano degli anni Trenta e Quaranta, non fu solo una “pretty face”, anzi; laureata in ingegneria nella natia Austria la Lamarr, insieme all’amico George Antheil brevettò una quantità di scoperte scientifico matematiche, tra cui l’antenato del wi-fi, che trovarono applicazione a servizio degli americani durante il Secondo Conflitto Mondiale. Tutto fu ovviamente secretato dalla CIA che solo negli anni della sua vecchiaia l riconobbe alla diva la maternità delle patenti.

Nell’opera di Mancuso il progetto Atlas 101 assume caratteri che travalicano la scienza tout-court per assumere valenze filosofiche. Le scoperte di Hedy e George conducono ad una mappatura delle relazioni universali, con tutte le conseguenze politiche prima e poi soprattutto etiche, che sembra sfuggire ad ogni controllo.

Qui la realtà si fonde con il sogno nel quale Ganesh, il dio che rimuove gli ostacoli, aiutato da tre figure femminili (come non pensare alle Tre Dame della Zauberflöte) in qualche modo protegge gli inventori dai servizi segreti, dalla criminalità organizzata, dai militari e dalla chiesa, tutti bramosi di possedere la chiave del sapere universale portandoli in una dimensione altra.

Alla fine Atlas 101 sarà salvato e ai nemici della scienza, alla fine tutti puniti, resterà in mano il manuale d’istruzioni di un’altra Atlas 101, ovvero di una macchina per fare la pasta. La conclusione è tuttavia amara ed è affidata a Santa Rosalia, ovvero alla credulità popolare, che si contenta di ripetere una cantilena di parole incomprensibili ma in certo modo rassicuranti: specchio del nostro tempo, che sembra sempre più bisognoso di credere più che di comprendere. Ricco e ben articolato risulta il disegno di luci di Andrea Gritti.

La musica di Mancuso nasce da una fusione intelligente di generi e stili tra loro del tutto diversi che trovano tuttavia perfetta sintesi in una narrazione melodica convincentissima e sorretta da un impianto contrappuntistico fascinoso e pungente. John Cage convive con Frank Zappa e tutti e due con il jazz freestyle e i grandi standard di Porter e Gershwin.

La regista Chiara Tarabotti, con la complicità perfetta dello scenografo e costumista Matteo Paoletti Franzato, compie un’operazione di ribaltamento della realtà nella quale la sala cinematografica che occupa con le sue poltrone gran parte della scena è lo spazio del sogno nel quale Ganesh porta i protagonisti e i loro nemici, mentre lo schermo è il mondo reale. Alla fine tutto si mescolerà a creare una sensazione di indefinitezza.

Tutto funziona perfettamente mettendo in risalto tutta l’ironia ma anche la disillusione presente nel testo; i movimenti sono volutamente esasperati, i gesti ampi a sottolineare quanto di grottesco e in certo qual modo di tragico sia contenuto nella narrazione drammaturgica.

Impeccabile anche il versante musicale a cominciare dal Chironomids Outerspace Group, che già basta il nome a renderlo simpatico, compagine formata dai giovani talenti del Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia e che è una fantastica miscela di jazz-band e ensemble contemporaneo. Il suono è pieno, turgido a tratti irridente: puro godimento. Mancuso dirige la sua musica senza nessun autocompiacimento e la restituisce all’ascolto in tutta la sua freschezza.

Ottima la compagnia di canto con su tutti Fernanda de Araujo a dare voce e corpo ad una Hedy Lamarr sensuale e volitiva, Francisco Bois che tratteggia un George Antheil di bel carisma, Francesco Basso irresistibile nel doppio ruolo di Ganesh e del Funzionario del Governo americano, la splendida Sara Fanin, Maria la cameriera di Hedy e Luca Scapin nei panni del Bishop.

Completano il cast le convincenti Tre donne del sogno Claudia Graziosi (Killa), Debora (Qucha) e Alba Dal Collo (Allpa), il bravo Luca Lopes Pereira come Generale Spy, Nina Baietta, ieratica Santa Rosalia, Veniero Rizzardi nelle vesti del matematico John Conway e Nicola Candreva che si sdoppia nei ruoli del Cronista televisivo e del Sovrintendente.

Teatro pienissimo, tanto pubblico giovane, successo meritato per tutti.

Alessandro Cammarano

(Treviso, 17 novembre 2017)

La locandina

Direttore Giovanni Mancuso
Regia Chiara Tarabotti
Scene costumi Matteo Paoletti Franzato
Disegno luci Andrea Gritti
Hedy Lamarr Fernanda de Araujo
George Antheil Francisco Bois
Ganesh / Un funzionario del governo americano Francesco Basso
Maria cameriera di Hedy Sara Fanin
Tre donne del sogno Claudia Graziadei Debora Petrina Alba Dal Collo
Vescovo/Boss Luca Scapin
Santa Rosalia Nina Baietta
Generale Spy Lucas Lopes Pereira
John Conway Veniero Rizzardi
Cronista televisivo / Sovrintendente Nicola Candreva
Chironomids Outerspace Group

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