Martina Franca: Beatrice delle meraviglie
Beatrice di Tenda non è un’opera “minore” tra quelle del catalogo belliniano; al contrario è un lavoro sperimentale al quale la malasorte ha destinato di venirsi a trovare tra quei due pilastri che sono Norma e I Puritani.
Genesi tormentata, tempi stretti, una rottura tra il compositore il suo librettista di fiducia Felice Romani e un quasi insuccesso alla prima veneziana del 1833 hanno fatto sì che Beatrice finisse pressoché dimenticata e relegata in quegli sgabuzzini della memoria musicale in cui si accatastano lavori che per pigrizia mentale o semplicemente per faciloneria intellettuale non si ha voglia di riprendere e approfondire.
Certamente non siamo di fronte all’opera perfetta, mende – soprattutto per quanto attiene allo sviluppo dell’azione – senza dubbio ve ne sono, ma non tali da giustificare l’oblio indifferente di cui è stata vittima; in fondo è il primo tentativo di Bellini di approcciarsi al dramma storico dopo libretti “di fantasia” e che in controluce lascia intravvedere ciò che sarebbe potuto divenire un possibile sviluppo nell’estetica del compositore.
Quando finalmente inizierà – e sarà sempre troppo tardi, ahinoi – una Bellini Renaissance di valore musicologico pari a quelle che hanno riguardato Rossini e Donizetti, Beatrice sarà studiata, analizzata e il suo valore pienamente rimesso in un’ottica di corretta interpretazione.
Il Festival della Valle d’Itria sceglie un’esecuzione in forma di concerto, operando in fondo una scelta oculata.
All’annunciato ma improvvisamente indisposto Fabio Luisi si è sostituito in corsa Michele Spotti, bacchetta di punta tra quelle della Generazione Y – che sta producendo talenti meravigliosi – e protagonista ancora una volta di una prova maiuscola.
Alla testa dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari Spotti – al suo debutto bellinano e pochi giorni per “impadronirsi” della partitura – riapre pressoché tutti i tagli di tradizione dando vita ad una narrazione musicale di travolgente bellezza. La sua Beatrice palpita di ricordi e rimpianti, si infiamma di sdegno e si stempera nel perdono, il tutto in un gioco dinamico fatto di minuscole pennellate a sostenere soluzioni agogiche dense e meditate, senza far mai mancare il giusto abbandono alla melodia.
Nel ruolo-titolo si distingue Giuliana Gianfaldoni – che sembra uscita da un quadro preraffaellita – capace di cogliere pienamente la psicologia del personaggio restituendola all’ascolto con gusto e intelligenza. La sua Beatrice è angelicata nei colori ma al contempo volitiva negli accenti; la voce corre sicura, gli attacchi in pianissimo sono di straniante bellezza così come i filati e le mezzevoci.
Biagio Pizzuti pone il suo bel timbro di bronzo lustrato a dare voce e corpo ad un Filippo Maria Visconti sprezzante e al contempo fragile, il tutto su un fraseggio lavorato di cesello.
L’Agnese del Maino tratteggiata da Theresa Kronthaler è tutto sommato convincente dal punto di vista vocale, ma difetta di incisività nell’interpretazione.
Celso Albelo canta svogliatamente – e con voce sempre più simile a quella di Alfedo Kraus nei suoi ultimi anni di carriera – un Orombello troppo spesso forzato.
A completare il cast con onore Joan Folqué nel doppio ruolo di Anichino e Rizzardo del Maino.
Bene il Coro del Petruzzelli, preparato da Fabrizio Cassi.
Successo travolgente, suggellato a metà serata dalla consegna del Premio Celletti a Grace Bumbry, leggenda dell’opera che nel 1977 fu protagonista di una memorabile Norma al festiva , che legge in italiano il suo ringraziamento dando una lezione su come si accenta e si colora la parola.
Alessandro Cammarano
(26 luglio 2022)
La locandina
Direttore | Michele Spotti |
Personaggi e interpreti: | |
Filippo Maria Visconti | Biagio Pizzuti |
Beatrice di Tenda | Giuliana Gianfaldoni |
Agnese del Maino | Theresa Kronthaler |
Orombello | Celso Albelo |
Anichino / Rizzardo del Maino | Joan Folqué |
Orchestra e coro del Teatro Petruzzelli di Bari | |
Maestro del coro | Fabrizio Cassi |
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